Solenne, con le sue linee austere, proiettata sui mitici
flutti di Palinuro, a guardia di un passato che si confonde tra la leggenda e
la storia, si erge la torre Santavenere.
La
vetustà delle sue mura, impregnate di salsedine, immerse tra il vere il profumo di balsamiche pinete ispirano memorie e leggende di tempi lontani.
Tale costruzione fu una delle 379 torri fatte
costruire dagli Spagnoli in tutto il regno di Napoli, a guardia di un
territorio le cui coste erano infestate dal mare da bande piratesche, specialmente
turche che, guidate da Adriadeno Barbarossa,
razziavano e distruggevano paesi facendone schiavi gli abitanti. In
conseguenza di tali continue incursioni, nel 1532 Don Pietro di Toledo emana
un’ordinanza per
Tali costruzioni, accolte prima con riluttanza
dalle varie università, su cui grava parte della spesa per la loro
realizzazione, sono poi dalle stesse sollecitate, come accade per l’università
di Maratea che nel 1580 ricorre al viceré per la mancata costruzione di una torre, già ordinata dal governatore,
conte di Briatico nel luogo detto di
Acquafredda, presso la grotta della Scala, approdo e dimora di pirati.
La torre Santavenere è una delle sei fatte
costruire dagli Spagnoli a guardia della costa di Maratea.
Il Pacichelli nella descrizione
delle torri di Maratea così si esprime Sei
torri custodirono la sua riviera, l’ultima delle quali
verso settentrione, divide il suo da quel di Sapri. Nel più nobile del mare, giudicasi la migliore del regno, quella gran torre, che viene detta Imperatrice, con più cannoni e il regale
artigliere.
Da sempre, dunque, la torre Santavenere, detta
l’Imperatrice, è stata considerata, fino a qualche decennio fa, tra le più
belle e meglio conservate tra quelle edificate nel regno di Napoli. La stessa struttura
architettonica ne fa intuire la diversità della funzione difensiva. Tutte le
torri costruite nella università di Maratea, risultano
omogenee nella
struttura: si tratta
sempre della classica formula a tre caditoìe per
lato (Crivi Acquafredda, Apprezzarni
l’asino, Caino) a cinque caditoie su tre lati (Filocaio)
a caditoie multiple e monocaditoie (Santavenere).
La complessità della struttura, quindi, e della
mole, fa pensare che la torre Santavenere fosse una vera e propria torre di
difesa, ben armata e protetta, oltre che da, mura robuste, superiori ai due
metri di spessore, anche da un certo numero di soldati, al contrario delle
altre torri, così dette guardiole
poste sulla sommità delle colline e di impervi dirupi
che hanno la funzione di mettere in comunicazione le torri marine o cavallare (munite di cavalieri a cavallo) con i paesi e
le borgate dell’interno. Le torri marine, infatti, completano l’articolato
sistema difensivo, e hanno la funzione di avvistamento
e di mettere in stato di allarme le torri di difesa.
La torre Santavenere, posta su un largo promontorio che si protende nel mare, con spiazzo alto di notevole ampiezza, in zona molto verde, piantumata ad alta fusto è raggiungibile facilmente dall’abitato di Fiumicello, ed è protetta da vincolo paesistico (legge 1497 del 29/6/1939) e da vincolo monumentale (1089 dell’1° Giugno 1939) e che godesse ottima salute lo dimostra il fatto che, agli inizi del secolo, è un luogo di dimora e di meditazione di uno dei più illustri figli di Maratea: il Cardinale Casimiro Gennari, tra l’altro fondatore, del Monitore Ecclesiastico, rivista di informazione teologica tuttora edita e promotore della codificazione del diritto canonico sotto Pio X°.
Ciò che però,
le avversità naturali miracolosamente hanno conservato nei secoli, viene deturpato in poco tempo, agli inizi degli anni
cinquanta dalla famiglia Rivetti, attuale proprietaria dello stabile, come
chiaramente denunciato nel N° 12 di Castella,
organo dell’istituto italiano dei castelli, edito in Roma nel 1975.
In esso testualmente si legge: L’intervento restaurativo della torre Santavenere, realizzato negli
anni cinquanta, ha avuto il grave inconveniente di una destinazione ad
abitazione, non dimensionata sulle possibilità della torre, che (...) ha
richiesto l’impegno di una tecnica restaurativa integrativa con ampie e
generose, anche se controllate sovrastrutture, con la giustificazione morale
che il cattivo esempio vene dai secoli passati, e senza giustificazione alcuna
per le concessioni dei beccatelli alla torretta dell’ascensore e al camino della centrale termica e quel che è peggio per lo
svuotamento interno dei muri così da ridurre il tutto ad una pelle.
La stessa fonte fa rilevare che è indispensabile un accurato esame dell’importanza
testimonianza, che è comunque essenziale allo studio della difesa costiera
della Basilicata e fa ulteriormente notare che il detentore della torre non ha recepito di
essere depositario di un bene culturale non comune, che deve quindi essere a disposizione
degli studiosi.
I troppi corpi aggiunti, dunque, hanno
letteralmente sconvolto l’architettura di questa costruzione, il cui profilo risulta notevolmente degradato specialmente nel versante che
guarda il mare, e un ulteriore ridotta vigilanza della Soprintendenza, come
si legge sempre nel N° 12 di Castella,
può essere causa di un futuro e ulteriore deterioramento di questo monumento.
Se
Questa torre,
così totalmente ridisegnata negli anni cinquanta, ha perduto il suo fascino
architettonico e simbolico, pieno di storia e di mistero, per diventare
espressione di quel gusto estetico e utilitaristico che purtroppo ha
deturpato gran parte delle coste del nostro Mezzogiorno.
Ciò che è più grave è che tali innovazioni sono
state ideate e realizzate da quella famiglia che, calata dal Nord, ha preteso e
pretende ancora oggi, con i suoi progetti. di essere per la nostra comunità maestra di estetica, di
gusto e di progresso.
BIBLIOGRAFlA ESSENZIALE:
Guzzo Angelo, Da Velia a
Sapri
- itinerario costiero tra mito e
storia.
Ed. Palumbo Esposito,Cava de’ Tirreni 1978.
Faglia Vittorio, Tipologia
delle torri costieri nel Regno di Napoli. Castella vol. 12 -Istituto
Italiano dei Castelli - Roma 1975.
Dizionario Enciclopedico - De
Agostini - Novara
1986.