Mi aggiro tra le
croci e le lapidi del cimitero del mio paese.
Davanti ai miei
occhi una teoria di volti e nomi risvegliano storie e
memorie sopite nel tempo.
Rivedo Nicola, Giuseppe...
e con meraviglia Maria, Biagio... e i miei cari; con essi rivivo, insieme ad affetti, vicende e storie personali e collettive.
Nel silenzio
apparente di questo luogo è registrata l’iscrizione di lunghe vite vissute e
morti a lungo ricordate; penetrante si percepisce, come un’eco lontana, una
voce viva e vibrata, che parla all’essenza del l’essere e che risveglia nella
mente intorpidita dalle gabbie del vivere quotidiano l’incommensurabilità di
concetti e valori delicati ed infiniti.
E’ un luogo
paradossalmente vivo, in questo senso, il cimitero e il profumo dei tanti fiori
rende sensorialmente e metafisicamente tangibile
questo colloquio.
Sono stato
testimone dell’estremo saluto alla vita di molti miei concittadini, ho vissuto
spesso con loro le ore in cui si dissolvevano quelle maschere, che li
soffocavano e li tormentavano e che credevano necessarie per la loro
sopravvivenza terrena.
In quei momenti,
sembrava che il mondo per essi si ribaltasse: denaro, passioni, egoismo,
cupidigia, tramontavano come la messa in scena di un
melodramma e sull’alba di un nuovo orizzonte vedevo in esse sorgere bontà,
umiltà, dolcezza.
E’ l’immagine
ignota di Dio, sopita in ciascuno di noi, che dopo una vita di ambizioni e di
sogni prepotentemente si risveglia per creare un uomo nuovo destinato, per chi
crede, ad una vitale sfera celeste.
Sono in tanti, nei
giorni di novembre, a girare tra le croci di questi nostri piccoli e semplici
cimiteri di paese, ognuno con il suo mazzo di fiori, col suo cero, con le
labbra protese a bisbiglii e orazioni nascoste,
mentre rotolano nella mente, come in un film, immagini di un passato recente o
lontano e che comunque ci rendono consapevoli che anche per noi inesorabilmente
il tempo fugge.
Dalla chiesa
parrocchiale del mio paese, nel giorno dei morti, con una semplice croce
lignea, si va in processione al cimitero.
Nel volto dei
partecipanti si nota una compostezza e una partecipazione non sempre presente
in altri riti professionali.
É tutto un popolo
che sembra portare materialmente il peso della sua storia collettiva per
consegnarla poi, nel cimitero, attraverso lo sciogliersi dei sentimenti e delle
preghiere all’indefinibile infinito del mistero.
In questo luogo,
poi, il rapporto con i defunti si individualizza
attraverso il concreto ricordo degli affetti perduti, e le tante preghiere, una
volta recitate col rito della Libera
insieme ai sacerdoti presenti.
In questi giorni il
mio pensiero va alle numerose croci solitarie che si notano ai margini delle
nostre strade.
Sono tante, espressioni
di tragedie improvvise piombate nelle famiglie e nella collettività come il
brivido scuotente di un movimento tellurico.
Vicino ad ogni croce una foto, una data, un fiore: atto notarile di
un addio prematuro.
Vicino ad alcune, in ricorrenze particolari, alimenti, bibite
augurali, testimoniano la indissolubilità di affetti e
ricordi non cancellati del tempo.
É anche in questi
gesti che l’antichissima tradizione dell’uomo si perpetua dimostrando la
persistenza, attraverso i secoli, di valori e abitudini che sarebbe
opportuno rendere, anche nella nostra vita relazionale, più tangibili e
concreti.
I giorni di
novembre, attraverso il culto dei defunti, sono dunque un momento di
meditazione e di riflessione.
A tal proposito,
attuale è l’invito di K. Gibran
quando fa dire ad un defunto:
asciugate le vostre lacrime,
amici,
levate il capo
come fiori che alzano
le loro corone allo spuntare dell’alba
e guardate la sposa della morte
ergersi come colonna di luce
tra il letto e il
vuoto.
Trattenete per un
attimo il respiro e ascoltate insieme a me
Lo stormire delle
sue ali
Non parlate con
dolore della mia dipartita
Ma chiudete gli occhi e mi vedrete tra voi.