Dal libro di Sergio De Nicola:
Maratea … parliamone ancora
RICORDO DI PADRE
AMEDEO MACCACARO
Già parroco di Maratea
Solo
quattro ceri ed un feretro posto sul nudo pavimento
riscaldavano, nell’uggiosa mattina del 9 novembre 1980, la penombra della
chiesa dell’Addolorata.
Mi ci ero recato, prima di andare al lavoro, per porgere
l’estremo saluto a Francesco Limongi, un disadattato di paese.
Nel
deserto dei pochi banchi e nel disordine delle sedie scorgo, solitaria, la
sagoma breve di una signora in preghiera.
In quei
momenti si sarebbe dovuto celebrare un funerale.
Mi
avvicino alla bara prossima all’altare, nel silenzio reso più misterioso dalla
sacralità del luogo, dal profumo di cera bruciata e dei pochissimi fiori,
smorzati mi giungono dalla sacrestia dei rumori strani, come di una persona sofferente.
Entro, e
nella penombra ancora più accentuata che esaltava ancor di più la tua
solitudine, incontro te, Padre Amedeo, in piedi, appoggiato con i gomiti sul
piano del voluminoso armadio della sacrestia, con il volto stretto tra le tue
grandi mani, in preda ad un pianto dirotto frammisto a singhiozzi.
Rivolgendo
la parola a me, rimasto silenzioso e perplesso,
testualmente dicesti: Se la chiesa non
sarà gremita non celebrerò mai il funerale di quest’ultimo.
Quella
mattina posso dire di averti conosciuto.
In quel
pianto, in quei singhiozzi ho letto la robustezza della tua etica e nello
stesso tempo la tua disperata amarezza di fronte all’indifferenza che anche la
nostra comunità spesso destina a chi è emarginato ed
umile.
Avevo apprezzato già in precedenza il tuo pragmatismo nel farti
puntualmente carico delle sofferenze morali dei tanti sventurati che di volta
in volta occupavano la corsia medica del nostro ospedale e la concreta
partecipazione alle miserie degli ultimi del nostro territorio noncurante delle incomprensioni di quei pochi avvezzi a giudizi
ingenerosi e pieni di luoghi comuni.
Oggi che non sei più fra noi voglio testimoniare questo aspetto del tuo carattere, forse meno conosciuto da chi era abituato a vederti nel pieno del tuo dinamismo, delle tue fatiche manuali, nella serenità dei tuoi frequenti incontri conviviali.
Sei stato parroco a Maratea dal novembre
1975 al marzo 1981.
Già
conoscevi la nostra comunità per essere stato, in precedenza, viceparroco in
questo paese, distinguendoti particolarmente per un rapporto aperto e schietto
con i giovani, i quali in quel periodo conobbero
particolari momenti di aggregazione.
Tra
l’altro ad essi, come mi dicesti in un colloquio la
mattina dell’otto febbraio di quest’anno, cercavi di trasmettere il culto ed il
rispetto della persona e della natura, facendo conoscere ed apprezzare
l’importanza della vita sociale e, in questo paese di mare, l’ebbrezza della
montagna che tu tanto amavi e che, come dicesti, con i suoi silenzi ti
avvicinava e avvicinava tutti a Dio.
Ti abbiamo conosciuto nell’operosità e nella fatica dei lavori manuali,
grazie ai quali hai contribuito a salvare e a restituire a Maratea, nella loro
originalità, testimonianze storiche ed artistiche
espressione della sua passata religiosità.
Nel 1975, trenta giorni circa dopo la tua nomina a parroco, fosti costretto
a chiudere al culto, non senza contrasti, la nostra chiesa madre in seguito al
crollo di parte del pavimento, già in precedenza parzialmente rifatto, dando
l’avvio così ad una radicale bonifica della chiesa e
del campanile, che senza quegli interventi, secondo i tecnici, avrebbe corso
col terremoto del 1980 il rischio di crollare.
Nel 1977,
fosti informato che la più antica chiesa di Maratea, quella di San Vito, col
suo campanile, adibita da qualcuno come locale di allevamento per conigli,
dava in alcuni settori segni imminenti di cedimento. Di fronte ad inerzie
burocratico-amministrative, non curante di vincoli e leggi di tutela fino ad allora ignorate, non ti esimesti a caricarti sulle spalle
sacchi di cemento e sabbia e con l’aiuto di alcuni volontari, ad eseguire le
prime opere di sostegno al tempio, recuperato poi, con intervento pubblico, al
culto.
Identica cosa compisti
con la chiesa di Santa Barbara consolidando con il tuo lavoro il tetto e
costruendo il piccolo campanile che ancora oggi l’arricchisce.
Nel 1978
ti adoperasti per il rifacimento del tetto della chiesa di
San Francesco e di una sua parziale bonifica, restituendola dignitosamente al
culto, ma principalmente ci riconsegnasti, restaurata, la cappella della
Madonna della Pietà, ricostruendone, fra l’altro, il tetto e la facciata, in
parte crollati, aiutato in tali opere da uomini e donne che nel pellegrinaggio
penitenziale del mercoledì, portavano sul posto mattoni, acqua e altro
materiale da costruzione.
Ossequioso
ad una tua volontà voglio ringraziare questi uomini e
queste donne in particolare, come tu mi hai raccomandato, i signori Antonio Glosa, Biagio Maimone, Giuseppe
Panza che in questa occasione come per i lavori di San Vito, ti furono
materialmente e disinteressatamente vicini.
Il 1980 lo
dedicasti al recupero dell’antica chiesa di Sant’Anna, con il rifacimento
completo del tetto, della soffittatura, del pavimento restituitoci così
nell’integrale sua antica bellezza e ti adoperasti affinché venisse
restaurato l’antico dipinto del 1500, raffigurante l’Annunziata, posto
nell’omonima chiesa e il coro ligneo della chiesa madre.
Oggi che
non sei più tra noi voglio ringraziarti insieme ai
tanti che come me ti stimarono, per quanto umanamente ci hai insegnato e per
quanto praticamente ci hai conservato con il tuo impegno e con la tua personale
fatica.
Questo
popolo, che tanto ti ha voluto bene e che in parte tanto, come mi dicevi, ti ha
fatto soffrire, serberà, ne sono sicuro, con affetto il tuo ricordo.
Siine
certo e ... arrivederci P. Amedeo.
Da “Il Sirino” Agosto 2001