Il colonizzatore

di Aldo Fiorenzano

Alla fine degli anni settanta capita al Porto un personaggio particolare, un avvocato di Milano con moglie e figlia.

Attirò subito la mia attenzione perché mi accorsi che davanti al bar del porto offrì ad una bella ragazza che passava una bottiglia di Cointreau: un piccolo omaggio alla sua bellezza  disse. Poco dopo comperò in una boutique del porto un intero mazzo di pareo che puntualmente regalava alle belle ragazze che passavano.

Se ne stava spesso seduto ad un tavolo davanti al Bar e giocava a carte con la moglie. Scopa d’assi era il gioco che preferiva fare. Aveva un gommone con un motore da 25 cavalli col quale girava gran parte del giorno. Aveva fittato una casa al Porto e una camera dell’albergo Santavenere per tutto il mese d’agosto. Non ricordo bene come ma ci conoscemmo e subito mi invitò a fare una scopa d’assi con lui. Mentre giocavamo arrivò la moglie, me la presentò e l’invitò a prendere qualcosa al bar: Tanto paga chi perde disse. Poco dopo entrarono al Bar delle ragazze e lui subito si prodigò ad offrire loro delle bottiglie di Cointreau e dei gelati: “Tanto paga chi perde” disse. Io non ricordavo nemmeno bene come si giocasse la scopa d’assi e già mi cominciavo a preoccupare perché il conto diventava sempre più salato. Arrivarono dei ragazzini del porto e lui subito: che non è niente ragazzi, prendete un bel gelato, tanto paga chi perde. Si sparse subito la voce e in un batter d’occhio arrivarono altri 7 o 8 ragazzi che vennero invitati dall’avvocato a prendere un bel gelato. Uno addirittura si prese una torta gelato e gli altri, visto il prezzo, i gelati più costosi. “ Su che non è niente ragazzi, vediamo chi è l’alpino della Julia che paga il conto  continuava a ribadire. Io intanto perdo la prima partita e mi affretto a dire che volevo la rivincita ed eventualmente la bella, che era la partita definitiva. Un ragazzo che lavorava al bar si prodigava con un foglietto a scrivere tutti i gelati, le bottiglie di liquore, le bibite, le granite e tutto quanto veniva offerto dall’avvocato.

Facemmo la rivincita ed io mi impegnai tantissimo, non avevo addosso nemmeno un terzo dei soldi che occorrevano per pagare il conto.” Ma chi me lo ha fatto fare”! Continuavo a ripetere tra me e me ed intanto vinsi la rivincita e ci accingemmo a disputare la bella. Facemmo una breve pausa per bere anche noi qualcosa ed offrire ancora altri gelati e bibite a chiunque ne facesse richiesta. Mai visti circolare tanti ragazzi in quel bar. Ho un poco di difficoltà a raccontare questa storia perché sembra una palla mentre invece è sacrosanta verità. La partita iniziò bene per me, sudai freddo ma stetti attento e concentrato a non fare errori,  ma ad un certo punto la fortuna mi volse le spalle, l’avvocato fece un sacco di punti consecutivamente ed infine vinse la partita. Ricordo che avevo un sacco di difficoltà nel deglutire ed intanto prendevo tempo per pensare come fare a dire al barista che non avevo i soldi addosso e che quindi mi doveva fare credito. Non volevo nemmeno che l’avvocato si accorgesse del mio stato di difficoltà, tengo molto ad essere brillante in queste occasioni. L’avvocato intanto con le braccia alzate festeggiava la vittoria, mi chiamava alpino della Julia ed offriva ancora da bere ad un folto pubblico. La lista del conto intanto faceva paura, il frigo dei gelati quasi svuotato, i lavandini del bar pieni di bicchieri vuoti e tra le bottiglie di liquore esposti si erano creati ampi spazi. Mi alzai dal tavolo e mi avviai verso il banco per parlare in disparte col proprietario e comunicargli che lo avrei pagato in serata, per questo non c’erano problemi, avevo una ottima reputazione di Pagatore. Non riuscii ad arrivare in quanto l’avvocato mi chiamò e mi disse che voleva offrirmi l’estrema prova d’amicizia, la rivincita della rivincita. Detto ciò invitò ancora una volta tutti a bere e a prendere un gelato; nel frigo c’erano ormai solo i ghiaccioli e le torte, un bambino del porto mi passò davanti con una torta gelato più grande di lui.

Ci sedemmo al tavolo e ci rigiocammo il tutto. Questa volta vinsi due partite consecutivamente, a questo punto mi rivolsi all’avvocato e gli dissi che pur dispiacendomi, non gli potevo offrire nessuna prova di amicizia perché quel conto risultava troppo esoso per le mie tasche.

Tutto il mese di agosto, con altri amici, abbiamo giocato a scopa d’assi al bar insieme a lui e, tranne pochissime volte, ha sempre pagato lui.

Un giorno mi invitò a pranzo in un ristorante sopra l’isola Dino a Praia a Mare. Vi arrivammo col suo gommone e pranzammo divinamente a base di pesce pregiato e freschissimo. Il conto veniva intorno alle 340.000 lire e lui tirò fuori dalla tasca 500.000 lire e li pose sul piattino insieme al conto. Reputai subito che la mancia di 160.000 lire fosse esagerata e cercai quindi di mandare avanti l’avvocato restando ancora al tavolo per prendermi almeno 100.000 lire dal piattino. La manovra non mi riuscì in quanto l’avvocato capì che stavo tramando qualcosa e non mi mollò fino all’uscita dal locale.

Venne a Maratea per qualche anno ancora, l’avevamo soprannominato il colonizzatore per la sua aria di onnipotenza che ostentava. Poi un giorno telefonò a Pinuccio, un amico comune, comunicandogli che la sua moglie stava per diventare vedova in quando stava entrando in camera operatoria per subire una operazione al cervello, colpito da cancro. Dopo qualche giorno, con molta ironia comunicò che la moglie era stata sfortunata, l’operazione era andata bene e quindi non era morto. L’abbiamo sentito qualche altra volta ma poi abbiamo saputo che il male si era ripresentato e questa volta non gli aveva concesso scampo.

Una volta volle venire con me a Salerno a prendere una barca e facemmo insieme il viaggio di ritorno. Impiegammo una decina di ore ma lui fece portare a bordo un approvvigionamento per una settimana di navigazione. La barca era a vela e a motore ma, essendo una bellissima giornata, procedemmo sempre a motore ed ebbi modo di parlare tanto tempo con lui, questa volta senza ironia, da soli, al largo, dove la costa è un filo indistinto. In questo contesto si parlò con l’anima e lui mi disse che sapeva benissimo che quasi tutti i suoi amici erano interessati più al suo denaro che alla sua persona e che quindi nel suo atteggiamento spesso si nascondeva un disagio dettato dal senso di solitudine che spesso lo invadeva.

Io gli dissi che lo avevamo soprannominato il colonizzatore e che forse anche noi eravamo interessati più al suo denaro che alla sua persona perché la vera amicizia stava diventando un sentimento sempre più raro.

Quando mi sposai lo invitai e lui mi telefonò facendomi gli auguri e scusandosi perché era impossibilitato a venire ma un corriere mi consegnò due colli, uno conteneva uno stereo della SABA e l’altro un televisore della TELEFUNKEN.

Un paio di giorni dopo la cerimonia mi arrivò per posta un assegno circolare di due milioni e un bigliettino di auguri.

 

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