di Aldo Fiorenzano
Alla fine degli anni settanta
capita al Porto un personaggio particolare, un
avvocato di Milano con moglie e figlia.
Attirò subito la mia attenzione
perché mi accorsi che davanti al bar del porto offrì ad
una bella ragazza che passava una bottiglia di Cointreau:
un piccolo omaggio alla sua bellezza disse. Poco dopo comperò in una boutique del
porto un intero mazzo di pareo che puntualmente regalava alle belle ragazze che
passavano.
Se ne stava spesso seduto ad un tavolo davanti al Bar e giocava a carte con
Facemmo la rivincita ed io mi impegnai tantissimo, non avevo addosso nemmeno un terzo
dei soldi che occorrevano per pagare il conto.” Ma chi me lo ha fatto fare”! Continuavo a
ripetere tra me e me ed intanto vinsi la rivincita e
ci accingemmo a disputare
Ci sedemmo al tavolo e ci
rigiocammo il tutto. Questa volta vinsi due partite consecutivamente, a questo
punto mi rivolsi all’avvocato e gli dissi che pur dispiacendomi, non gli potevo
offrire nessuna prova di amicizia perché quel conto risultava
troppo esoso per le mie tasche.
Tutto il mese di agosto, con altri
amici, abbiamo giocato a scopa d’assi al bar insieme a
lui e, tranne pochissime volte, ha sempre pagato lui.
Un giorno mi invitò
a pranzo in un ristorante sopra l’isola Dino a Praia a Mare. Vi arrivammo col
suo gommone e pranzammo divinamente a base di pesce pregiato e freschissimo. Il
conto veniva intorno alle 340.000 lire e lui tirò
fuori dalla tasca 500.000 lire e li pose sul piattino insieme al conto. Reputai
subito che la mancia di 160.000 lire fosse esagerata e cercai quindi di mandare
avanti l’avvocato restando ancora al tavolo per prendermi almeno 100.000 lire
dal piattino. La manovra non mi riuscì in quanto
l’avvocato capì che stavo tramando qualcosa e non mi mollò fino all’uscita dal
locale.
Venne a Maratea per qualche anno
ancora, l’avevamo soprannominato il
colonizzatore per la sua aria di onnipotenza che ostentava. Poi un giorno
telefonò a Pinuccio, un amico comune, comunicandogli che la
sua moglie stava per diventare vedova in quando stava entrando in camera
operatoria per subire una operazione al cervello, colpito da cancro. Dopo
qualche giorno, con molta ironia comunicò che la moglie era stata sfortunata,
l’operazione era andata bene e quindi non era morto. L’abbiamo sentito qualche
altra volta ma poi abbiamo saputo che il male si era ripresentato
e questa volta non gli aveva concesso scampo.
Una volta volle venire con me a
Salerno a prendere una barca e facemmo insieme il viaggio di ritorno.
Impiegammo una decina di ore ma lui fece portare a bordo un approvvigionamento
per una settimana di navigazione. La barca era a vela e a motore ma, essendo
una bellissima giornata, procedemmo sempre a motore ed ebbi modo di parlare
tanto tempo con lui, questa volta senza ironia, da soli, al largo, dove la
costa è un filo indistinto. In questo contesto si
parlò con l’anima e lui mi disse che sapeva benissimo che quasi tutti i suoi
amici erano interessati più al suo denaro che alla sua persona e che quindi nel
suo atteggiamento spesso si nascondeva un disagio dettato dal senso di
solitudine che spesso lo invadeva.
Io gli dissi che lo avevamo
soprannominato il colonizzatore e che
forse anche noi eravamo interessati più al suo denaro che alla sua persona
perché la vera amicizia stava diventando un sentimento sempre più raro.
Quando mi sposai
lo invitai e lui mi telefonò facendomi gli auguri e scusandosi perché era
impossibilitato a venire ma un corriere mi consegnò due colli, uno conteneva
uno stereo della SABA e l’altro un televisore della TELEFUNKEN.
Un paio di giorni dopo la
cerimonia mi arrivò per posta un assegno circolare di
due milioni e un bigliettino di auguri.