di Aldo Fiorenzano
Era il 4
settembre 1934, al porto c’era una tempesta di libeccio, le onde solcavano
quasi tutta la grande spiaggia e lambivano le prime case. Il vento soffiava
fortissimo, ciò faceva presagire un ulteriore aumento
della mareggiata.
Tutte le barche
erano state tirate a secco e le ultime venivano
lambite dalle onde, tanto che i marinai le avevano legate tra di loro e agli
scogli con i libani, corde vegetali di produzione indigena.
Quattro o cinque
ragazzi, come sempre succedeva, non resistettero alla tentazione di tuffarsi
tra i grandi flutti. L’acqua era ancora calda anche se
il vento soffiava sempre più forte. Saverio Romano, il fratello Peppino,
Ciccillo Igno Agno e qualche altro ragazzo si tuffarono sotto le onde per
riemergere appena dopo. Le onde creavano dei vortici tremendi che spingevano i
ragazzi verso il largo. Questi nuotavano con vigore verso terra ma venivano subito richiamati dalla violenta risacca verso il
largo.
Per un po'
Saverio restò ad osservare i ragazzi, poi si accorse
che erano in difficoltà e si tuffò per andarli a prendere. Sulla spiaggia
intanto alcuni marinai, parenti dei ragazzi cominciarono a preoccuparsi e ad
ammonirli dicendo loro di rientrare a riva immediatamente. Il mare diventava
sempre più mosso, il vento soffiava fortissimo e il panico cominciava a
prendere i ragazzi che, pur essendo vicino alla riva,
non riuscivano a montare sull’onda che, anche se rovinosamente, li avrebbe
sospinti sulla spiaggia.
Saverio era il
più grande nuotatore del porto, aveva un fisico possente e una buona dose di
coraggio. Diede uno sguardo ai ragazzi e subito si diresse verso Ciccillo Igno
Agno che sembrava più in difficoltà perché stanco; gli
si avvicinò, lo prese per un braccio e con grande vigore lo spinse sopra l’onda
che lo avrebbe rotolato sulla spiaggia come un pezzo di legno galleggiante.
Subito dopo raggiunse Peppino, suo fratello, ormai stremato ed
impaurito, lo rincuorò e lo sospinse di forza verso riva. Le onde si facevano
sempre più grandi e frangevano sempre più a largo tanto che Peppino fu
letteralmente travolto e centrifugato verso terra dove riemerse sul
bagnasciuga. Restò per un po' carponi nella schiuma esausto e tremolante, poi
si alzò sulle ginocchia per non farsi riportare in acqua dalle onde di ritorno.
Ad un tratto venne buttato a terra da un violento
calcio nel sedere che suo fratello Biasino Romano gli scagliò con violenza per
punirlo dall’ imprudenza che aveva commesso mettendo a repentaglio la sua vita
e quella di suo fratello. Il fratello evidentemente non si era reso conto delle
condizioni di Peppino che quasi svenne e dovettero soccorrerlo. Peppino non gli
ha mai perdonato quel calcio ricevuto. Saverio intanto era andato a soccorrere
l’ultimo naufrago ed insieme a lui si fece rotolare a
terra. Si scrollò di dosso le alghe e la sabbia e incoscientemente ficcò la
testa sotto un’onda di dimensioni mostruose. Non si capì cosa fosse successo,
fatto sta che quando riemerse Saverio non muoveva più il braccio destro e con
l’altro nuotava e faceva dei segni forse di aiuto. In quel momento sembrava che
il mare avesse capito la difficoltà in cui si trovava ed
ancora di più gli inveiva contro. A tre a tre le onde precipitavano a riva
sempre con più fragore e violenza. L’acqua entrava nelle case e intorno alla
spiaggia la gente diventava sempre più numerosa e subito si capì che Saverio era in grande difficoltà, non aveva più quella
padronanza che gli aveva permesso di mettere in salvo gli altri ragazzi. Qualcuno
pensò di aiutarlo buttando in mare dei grossi sugheri che i marinai usavano per
la pesca, altri addirittura le tavole dei letti con la speranza che Saverio
potesse prenderli e sorreggersi. La disperazione colse i parenti quando si
accorsero che lui non riusciva a trattenere i galleggianti, le mani erano
molli, la presa insicura, la furia del mare gli strappava il galleggiante dalle
mani che aveva così faticosamente agguantato. Il tempo passava e Saverio
diventava sempre più debole, si pensò allora di andare a Sapri a chiamare la
Paranza, un grosso peschereccio che subito levò le ancore e prese il largo
diretto verso il Porto. Arrivato al largo di Acquafredda il peschereccio dovette invertire la rotta e
tornare a Sapri, rischiò di affondare sotto i violenti flutti del mare in
tempesta. Le speranze di salvare Saverio divennero così sempre più fievoli. La
gente del Porto ormai disperata assisteva inerme alla
tragedia che si stava consumando sotto i loro occhi. La madre di Saverio non
era presente perché era andata a Scalea a trovare una sorella malata. Non
rivide più suo figlio vivo perché un’onda ancora più grande lo sbattè
violentemente contro la scogliera e subito dopo se lo
trascinò al largo facendolo scomparire tra i flutti. Subito dopo il mare, ormai
pago, cominciò a sedare la sua furia e nel giro di qualche ora era quasi calmo.
Fu ripescato nelle reti dopo qualche giorno a largo della torre Filocaio ed ora riposa nel cimitero di Maratea.
Il suo
soprannome era: CARDINALI.
Cardinali (‘a fattura)
Due ore dopo la scomparsa tra i flutti di
Cardinali, il mare tornò ad essere praticabile, non
del tutto calmo ma molto, molto ridimensionato, sembrò quasi che avesse voluto
divorare la sua vittima e, una volta sazio, quietarsi. La gente restò incredula
e attonita e cominciò a fare tante congetture e nacque il mito… … Chi disse
che, essendo un bestemmiatore, come tanti a quell’epoca, il Signore aveva voluto
punirlo. Ma la più accreditata fu quella legata alla
magia…
C’era una ragazza a cui
Cardinali piaceva molto e, per dare un segno della sua simpatia, ogni anno si
recava a Natale a casa sua e portava ai suoi genitori un cesto pieno di ben di
Dio (la famosa “cista”). Logicamente i genitori di Cardinali ricambiavano
riempiendo di nuovo lo stesso cesto con prodotti del mare, tipo alici salate e
tonno sott’olio.
Grande fu la delusione di questa ragazza
quando seppe che un’altra donna era entrata nelle simpatie di Cardinali e,
appena si accertò della veridicità della notizia, la delusione si tramutò in
odio. Immediatamente si recò da una fattucchiera e gli chiese un maleficio che
lo avrebbe dovuto far morire velocemente in mare…
La fattucchiera si pagò profumatamente e le
dettò una fattura che provocava una morte simultanea… La ragazza doveva effettuare degli adempimenti per far partire il maleficio e
fu proprio durante la preparazione di questo che commise un errore
nell’annodare, con la ginestra, il materiale occorrente. Per questo motivo
Cardinali impiegò più di due ore prima di scomparire in mare…
Questa tesi fece molta presa nell’opinione
pubblica perché sembrava veramente incredibile che un simile nuotatore potesse
affogare in quel mare che per lui non aveva mai avuto segreti…
Queste storie furono l’argomento di
conversazione, sotto le Doganelle, un luogo del Porto
dove si riunivano i marinai, per lungo tempo, anche dopo il suo ritrovamento,
ripescato dentro una rete e con essa ricomposto in una bara e seppellito...