di Aldo Fiorenzano
All’inizio degli
anni ‘60 iniziai a fare la pesca subacquea. I mezzi erano molto rudimentali ma
i pesci nel mare non mancavano. Avevo una maschera ereditata da mio fratello,
molto vecchia, con il vetro lesionato e la gomma ingottata. Ogni momento dovevo
togliere l’acqua che vi entrava e mi faceva bruciare gli occhi. Il vetro era
sempre appannato ed io stavo sempre a sputarci sopra,(così
si usava spannare le maschere). Avevo una sola pinna n° 42-44 di colore nero,
ricucita nel tallone ed ingottata ma con essa al piede
mi sembrava di volare. Tre stecche di ombrello legate assieme facevano da arco
mentre un’altra appuntita faceva da fiocina. Triglie e polipi erano il mio
bersaglio preferito. I saraghi li colpivo spesso ma non restavano legati alla
fiocina, divincolandosi, si staccavano ed io li inseguivo fino a quando non
scomparivano tra gli scogli o tra le alghe: raramente riuscivo a riprenderli.
Ad un paio di metri dalla riva della
spiaggia del porto c’era un dislivello, si chiamava il gradone che aveva un paio di metri di
profondità, su questa linea si svolgeva la mia pescata. Mai tornavo a casa
senza pesci. Mia madre mi sgridava sempre perché diceva che era pericoloso e
voleva che non dovessi pescare mai da solo. Questo problema si risolse quando
prese in fitto una stanzetta, proprio sulla spiaggia, Andrea, un ragazzo di
Maratea, figlio di gente facoltosa, che amava fare la pesca subacquea. Aveva
una vistosa cicatrice proprio sopra un polmone causata
dallo scoppio di un ordigno bellico che aveva ammazzato un suo fratello e
ferito lui. Evidentemente la ferita non gli aveva danneggiato tanto il polmone in quanto aveva un’apnea che superava i due minuti. Nella
sua minuscola stanzetta teneva la sua attrezzatura subacquea, un fucile a molle
che si chiamava cernia sport molto
lungo e dall’aria minacciosa. Per caricarlo bisognava sudare, tanto era lunga e
dura la sua molla. Poi maschere, pinne, fiocine, arpioni, una
muta e un paio di cinghie piombate. Un anziano marinaio del porto,
Giseppo, spesso gli prestava la propria barchetta a remi per andare a fare la
pesca subacquea e ci voleva un ragazzo che lo doveva seguire remandogli dietro.
Io, pur di stare
a mare avrei fatto di tutto e mi offrii di remare e
seguirlo con
Ogni volta che
tornavamo a terra mi regalava sempre uno o due pesci
da portare a casa, si trattava spesso di saraghi corvine e cerniole. Di cernie
ne prendeva tante e grandi, una di esse pesava 22
chili, era un mostro, per salirla se l’era abbracciata e le sue spine dorsali
gli avevano bucato la muta e il petto mentre le branchie gli avevano tagliato
le mani, ma lui non aveva affatto mollato
Quando durante
la pesca si stancava, saliva a bordo e si metteva a sonnecchiare sopra
Andrea aveva una
fidanzata che imbarcava sugli scogli e se la portava in zone appartate perché
la cosa non era ufficiale. Io ero suo complice e spesso mi toccava” tenere la luce”, assistere cioè alle
loro effusioni, in verità mai troppo osé. Spesso mi diceva di andare a pescare
con la sua attrezzatura, ma che non mi dovevo recare da lui a ricaricare il
fucile, quindi andavo con l’arco fatto di stecche d’ombrello. Molto spesso i
marinai ci venivano a cercare per portare Andrea a scarammare il filaccione arrancato .
Quasi sempre quando le cernie abboccavano
se ne rientravano nelle loro tane rendendo impossibile ai marinai il recupero
della lenza. Toccava ad Andrea in questi casi, entrare nelle tane e scarammare il filaccione con la cernia
ancora abboccata. I marinai ringraziavano e volevano pagare Andrea, magari regalandogli
un pezzo di cernia, ma
lui non voleva
Quando il mare
era un poco mosso mi tornava difficile seguire Andrea,
a volte lo perdevo di vista, lui quando si accorgeva che non lo seguivo più, mi
aspettava e si faceva vedere alzando il suo lungo fucile, ma, a volte, preso
dalla pesca non si accorgeva nemmeno lui di non essere più seguito e una volta
mi sono disperato perché non lo trovavo davvero più. Dopo lunghe e infruttuose
ricerche me ne sono tornato da solo al porto piangendo, sicuro che fosse morto
annegato. É ricomparso, invece, al Porto nuotando per
un paio di miglia e camminando sugli scogli con tutto il suo armamentario e
quando mi ha visto mi ha sgridato.
Il destino aveva
però deciso che Andrea dovesse veramente morire, molti anni dopo, proprio in
quel mare che aveva tanto amato, mentre faceva pesca subacquea, per un
incidente o forse per un malore.
Il suo volto
bonario aleggia sempre in tutte le menti della gente che lo ha
conosciuto e un’associazione di subacquei porta il suo nome.