di Aldo
Fiorenzano
Tra i tanti
marinai del porto ormai passati emerge la figura di Zu Monaco.
Io l’ho conosciuto quando era già anziano e
gli altri marinai già raccontavano episodi della sua vita, passata sempre in
continua competizione con gli altri e custode geloso dei segreti del mestiere.
Mi raccontava Juccio, un altro marinaio, che una volta stavano
pescando al largo di Fiumicello - una località vicino al Porto - le alici con
Ad un tratto Zu Monaco ebbe un
lampo di genio, calò la rete in modo insolito ma producente, catturò tre o
quattro quintali di alici in una sola cala. Il capobarca dell’altro equipaggio,
Juccio appunto, resosi conto che Zu Monaco era
riuscito a prendere le alici, si avvicinò e chiese ad alta voce come bisognava
calare
Il giorno dopo
il marinaio fu sbarcato e si racconta che fu pure malmenato in
quanto aveva svelato al concorrente il sistema per pescare le alici in condizioni
estreme.
Tra me e Zu
Monaco c’era una stima reciproca, io usavo tutte le buone maniere, dandogli del
Vui e lui mi diceva che ero intelligente
e che potevo imparare.
Il primo impatto
che ebbi con lui però non fu tra i migliori.
Avevo sette anni
ed era il periodo natalizio, stavo allestendo a casa, insieme ai miei fratelli ed ai miei genitori sia l’albero di Natale che il Presepe.
Quest’ultimo era a buon punto e mio fratello mi disse che bisognava andare a
prendere sulla spiaggia della sabbia fine e pulita per fare le stradine. Prendo
il secchio e scendo in spiaggia. La spiaggia al Porto
era grandissima e la sabbia in alcuni punti era sottilissima, in altri un po'
più a ciottoli e vicino al fiume che la solcava verso ponente era a ciottoli
rotondi.
Mi sono diretto
verso la parte della spiaggia dove la sabbia era più
sottile, mi sono riempito il secchio e mi sono avviato verso casa passando
proprio davanti quella di Zu Monaco. Lui era davanti la
porta ed aveva seguito ogni mia mossa, mi chiamò e mi disse:”Se la lasci qua la sabbia è di tutti, se te
la porti a casa diventa solo tua. La sabbia è di tutti quindi
svuota il secchio e vattene a casa”. Senza dire una parola, deluso e mortificato svuotai il secchio e me ne tornai a
casa.
I rapporti
migliorarono col tempo e spesso ci ritrovavamo a pescare con la canna insieme.
Tante volte pescavo più pesci di lui perché più giovane e quindi più tempestivo
nel ferrare le occhiate e i cefali, lui era bravissimo con i saraghi perché più
paziente nell’attesa. In mia presenza, era sempre un poco burbero con me invece con gli
altri, in mia assenza, parlava di me in modo positivo.” Tridici cocci è svegliu”, così soleva dire. Tridici cocci era il mio soprannome.
Un giorno andai con lui e con Michele, un mio coetaneo, a togliere una
coffa che lui aveva calato al largo di Fiumicello la sera precedente. Lui
toglieva la coffa dal mare ed io e Michele ci alternavamo
ai remi. La coffa è un sistema di pesca fatto con degli ami legati ad un filo di nylon lungo un migliaio di metri ai quali si
innescava o pezzi di polipo o pesci azzurri (in genere alici o sarde).
Essendo le prime
volte che avevamo ottenuto l’onore di andare a pesca con lui eseguivamo alla
lettera le indicazioni che ci impartiva, consapevoli di essere costantemente
sotto esame. Avevamo già preso un dentice di un paio di chili quando Zu Monaco ci allertò dicendoci che era abboccato un grosso pesce, per
giunta vivo, visto che tirava la lenza con violenza. Remavo con molta
attenzione mentre Michele preparava il gancio e sbirciava verso il fondo del
mare per vedere il pesce che combatteva. Anche io mi
sporsi dalla murata della barca per cercare di vedere questo pesce che doveva
essere enorme, visto il lavoro e lo sforzo che faceva Zu Monaco nel tirare il
filo. Immediatamente arrivò
la sua sgridata e l’ordine di” siare a
poppa”, remare cioè verso poppa per agevolare il suo lavoro. Pescammo alla
fine, dopo avere spezzato anche il vecchio gancio, un dentice di venti chili,
il più grande che io abbia mai visto ancora oggi.
Crescendo in
quell’ambiente marinaro anche io imparavo quelle
furbate che servivano per rubare il mestiere, visto che nessuno era disposto ad
insegnartelo. Volevo imparare a rattoppare le reti e con un ago speciale - la
crocella - mi accingevo a riparare i buchi di una rete tutta rotta appesa
vicino al bar dei marinai proprio sul porto. Quando poi passava un marinaio a
controllare il lavoro e vedeva i buchi che avevo riparato, mi sgridava perché avevo fatto il piede, avevo cioè sbagliato. Mi procurai un pezzo di rete di una
decina di metri, l’appesi sotto il bar e ogni tanto,
quando c’era Zu Monaco me la mettevo a rattoppare.
Lui, con fare
molto distratto, guardava sott’occhio quello che combinavo ed io,
accorgendomene, facevo ancora di più errori grossolani che provocarono la sua
pazienza e alla fine mi tolse la crocella dalle mani, mi
chiamò ad alta voce: CIUCCIU e
cominciò ad aggiustarmi quella rete che era di colore marrone, mentre il filo
che usava era bianco, in maniera così precisa e perfetta che venne poi presa come
modello. Le parti bianche della rete superavano quelle marroni
tanto era stato il suo intervento di restauro.
Quanti pesci
pescai con la rete incazzillata che
mi aveva fatto Zu Monaco! La mettevo la sera tra due scogli
dove c’era il passaggio dei cefali e delle salpe. Al
mattino spesso la trovavo piena di pesci ed io non disdegnavo di vantarmi della
bella pescata mostrando a tutti il pesce appena preso, in barba agli
insegnamenti i quali volevano che si nascondesse per evitare le pericolose
invidie. Fatto sta che un bel mattino non la trovai più dove l’avevo posizionata.
Zu Monaco era
considerato da tutti molto furbo e scaltro e raccontavano i marinai, divertiti
e soddisfatti, di un pescivendolo calabrese che era riuscito a fregarlo.
Venne un giorno
al porto un calabrese che aveva da poco aperto, verso
Diamante (paese calabro) una salagione e parlò con i marinai per contrattare
l’acquisto delle alici. Offrì un buon prezzo e un regolare contratto
registrato. Zu Monaco accettò il contratto impegnandosi a vendere, al prezzo
pattuito, tutte le alici che pescava ed il signore
sottoscrisse che avrebbe acquistato tutte le alici adatte alla sua salagione.
Sembrava tutto regolare, ma un giorno che si pescarono tantissime alici ed il loro prezzo crollò, Zu Monaco si vide rifiutato
l’acquisto del suo pescato perché il calabrese non l’aveva reputato Adatto alla sua salagione.
Dovendo decidere
lui quali pesci erano adatti o no alla sua salagione il furbone era sempre
libero di decidere se comperare o meno il pesce mentre
il venditore era condizionato a venderlo solo a lui.
Zu Monaco,
comunque, con questo contratto aveva insegnato a vendere il pesce oltre il
confine di Maratea usando il treno merci come veicolo di trasporto verso i
paesi vicini.
Morì colpito da
malore mentre si accingeva a tirare la sua barca sulla spiaggia.
Occupa tutt’ora un posto importante nella storia del nostro piccolo
borgo marinaro.