Karl

di Aldo Fiorenzano

Notammo un giorno al porto un ragazzo biondo, alto, abbastanza robusto, che zoppicava vistosamente. Aveva un sorriso solare e parlava un italiano che sapeva di tedesco.

Era di Bolzano e gli si leggeva in faccia che era appena uscito da un inferno.

Si avvicinò alla nostra barca, l’ISKRA (dal nome di un giornale russo scintilla) e ci disse che voleva pescare con noi. Capimmo subito che si trattava di un ragazzo che aveva avuto dei problemi e che la sua menomazione era dovuta ad un incidente. Gli mancava letteralmente il tallone del piede destro e un pezzo di carne ad un fianco. Dagli occhi, da come si muoveva e da cosa diceva, capimmo che aveva avuto a che fare con la droga.

La prima volta che venne a pescare con noi era molto agitato e contento e ci chiese più volte dove potesse stare a bordo per non recarci fastidio. Pescavamo di notte le alici con il sistema del cingiorro. Una barchetta con una grossa luce, la lampara, faceva raccogliere il branco di alici e una barca grande, girandogli attorno con la rete, li racchiudeva in un immenso coppo che veniva poi recuperato insieme alle alici le quali venivano in seguito versate dentro delle vasche piene di acqua e ghiaccio in modo che, morendo in acqua gelida, arrivavano al mercato dure e lucenti.

Mentre la luce della lampara stava immobile ad aspettare che il branco di alici diventasse sempre più numeroso, noi stavamo sulla barca grande a mangiare e a parlare. Ogni tanto passavamo sotto la luce e con l’ecoscandaglio testavamo l’entità del branco raccolto sotto e aspettavamo le decisioni del capopesca cui toccava decidere se calare la rete o meno. In questa attesa approfondii la conoscenza con Karl. Veniva da Bressanone, in provincia di Bolzano ed era di buona famiglia, lui evidentemente ne era la pecora nera. Pur essendo molto giovane aveva avuto tante ragazze ed era caduto ben presto nel tunnel della droga frequentando cattive amicizie.

Per potersela procurare era pure diventato spacciatore e un giorno era scappato con una ragazza in Germania con tutto il ricavato della droga venduta. Dopo pochi giorni era stato raggiunto dal racket della malavita nell’albergo dove dimorava e fu letteralmente buttato giù dalla finestra del terzo piano. Cadendo urtò contro la ringhiera di un balcone del piano sottostante lasciandoci un pezzo del suo fianco e poi cadde rovinosamente con i piedi sull’asfalto. Fu subito soccorso e condotto in un ospedale di Amburgo, gli cucirono il fianco ma nulla poterono fare per ricostruirgli il tallone completamente frantumato. Mi raccontava che lo prendevano dal suo letto con una specie di gru per condurlo in una piscina dove un professore gli faceva la fisioterapia per rieducargli la gamba malmessa.

Un anno di convalescenza, un altro di disintossicazione in una comunità, ed eccolo arrivare al Porto in discrete condizioni.

Facemmo una cala sotto la luce e pescammo un paio di quintali di alici e sardine. Li versammo in una vasca piena di acqua mista a ghiaccio ed iniziammo la separazione dei pesci. Dovevamo mettere in cassettine separate le alici dalle sarde, ogni cassettina ne conteneva cinque chili. Per fare ciò dovevamo immergere le mani in quell’acqua gelida e prendere i pesci con una cassettina tutta bucherellata per permettere la fuoruscita dell’acqua mista alle squame. Karl volle aiutarmi e dopo pochi minuti aveva le mani di colore viola, completamente congelate e cercava di riscaldarsele mettendosele in bocca. Si trasferì con tutto il suo bagaglio a bordo della nostra barca dove viveva contento. Usava delle scarpe ortopediche particolari che gli permettevano una discreta deambulazione ed usava una pomata che lasciava sulla barca uno strano odore. Un giorno conobbe una bella ragazza di Praia a Mare, cittadina vicino Maratea, con la quale passava gran parte delle giornate. Ricordo che provai un poco di invidia nei suoi confronti perché era un periodo che non riuscivo a trovare una ragazza ed ogni mio tentativo di rimorchiare, così si diceva, falliva regolarmente. Questa ragazza, oltre ad essere bella, apparteneva ad una famiglia agiata e di larghe vedute che quasi adottò Karl, lo ospitò e gli volle un sacco di bene. Purtroppo ogni tanto beveva troppo e una volta andò a dormire, ubriaco fradicio, dentro una barca tirata sulla spiaggia e per non farsi bagnare dalla rugiada notturna aveva costruito una tenda fissata sulla barca con due grosse pietre. Muovendosi nella notte, aveva urtato con una mano vicino la tenda e si era fatto cadere in faccia una delle pietre. Lo trovai la mattina con la faccia gonfia e piena di sangue.

Una mattina arrivò al Porto il suo fratello maggiore, ci volle conoscere e ci ringraziò tantissimo per quanto avevamo fatto e facevamo per Karl che aveva trovato in buone condizioni. Purtroppo gli spacciatori sentono l’odore dei consumatori di droga e una notte venne avvicinato da uno di questi che gli offrì una pillola che si chiamava Pink Floid, come il noto complesso. Nonostante ci avesse promesso che non sarebbe più ricaduto nel consumo di droga ci accorgemmo che aveva ripreso e non ci prestava più ascolto. Questo gli costò la ragazza e il nostro risentimento. A turno lo sgridammo e gli dicemmo che ci aveva traditi, forse usando un tono troppo duro, d’altronde noi eravamo dei marinai non degli psicologi.

Partì con una ragazza conosciuta il giorno prima e scomparve per tre o quattro anni.

Un giorno tornò e ci disse che se n’era andato in Sud America dove aveva sposato una ragazza Indio ed aveva avuto anche un figlio ma poi era stato lasciato.

Le sue pupille erano dilatate e davano al suo sguardo un senso di smarrimento. Bevemmo insieme a lui della birra al bar del Porto la sera prima che ripartisse. Il suo passaggio ci ha lasciato addosso un velo di tristezza e un senso di sconfitta, perché non eravamo riusciti a tirarlo fuori dalla tempesta che imperversava sulla sua vita.

Di lui non abbiamo saputo più nulla.

 

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