La
mareggiata
Aldo Fiorenzano
Era lĠ11 gennaio 1987É
Le previsioni
del tempo portavano tempesta da sudovest. Un vento impetuoso soffiava dal
mare e le onde si facevano sempre pi alte. Il porto era pieno di barche:
quelle stanziali,i pescherecci e le paranze, anche
quelle di San Nicola Arcella e di Torre del Greco. CĠerano dei lavori in corso
e quindi si trovavano nel porto anche due chiatte: un pontone e un contenitore in ferro per il trasporto della sabbia. La tempesta era annunciata perch la pressione atmosferica era
bassissima. Solitamente, al Porto, la tempesta inizia da scirocco, poi continua
da libeccio e, infine, gira da maestrale per poi placarsi; pertanto la
mareggiata dura, nella sua massima potenza, qualche ora o al
massimo mezza giornata.
Quel giorno la fase di libeccio che, a seconda dellĠintensit del vento, quella che produce le
onde pi alte e impetuose non dur poche ore bens pi di unĠintera giornata,
martellando impietosamente il molo con forza inaudita e mettendo a durissima
prova, come vedremo, uomini e cose. Sin dalla mattina si era capito che quella
non sarebbe stata una mareggiata come le altre, tanto che molte barche erano
gi state tirate in secco, dove ora cĠ la piazza, altre sulla spiaggetta
dentro il porto, e altre sulla salita dellĠex Ômbraiata. Le barche che erano a mare avevano gli
ormeggi tutti rinforzati; molti marinai e operatori portuali giravano sulla
banchina con aria allarmata.
Il mare intanto
saltava il molo con grande disinvoltura e raggiungeva anche la strada che porta sulla banchina tanto da trasformarla in un fiume in
piena. La tempesta di vento nel frattempo trasportava la salsedine delle onde
e, con le sue raffiche, oltre a salarti come uno stoccafisso, ti bagnava
completamente. Cercammo riparo sotto la tettoia del bar da dove vedevamo onde
gigantesche che sovrastavano il molo in lontananza, e raggiunto, lo superavano
senza sfiorarlo per infrangersi direttamente nel porto: una cosa incredibile e
mai vista neanche dai marinai pi anziani. Per questo Beniamino, verso le
undici, telefon a Raffaele, proprietario dei pescherecci di Torre del Greco, per
avvertirlo del pericolo di naufragio che correvano le
loro imbarcazioni, invitandolo a precipitarsi a Maratea con tutto il suo
equipaggio. La risacca nel porto era tremenda e superava il livello della
banchina, quindi inondava la piazzetta, e le barche che erano l in secca
iniziavano ad essere mosse e capovolte. Intanto quelle che erano a mare
cominciavano a rompere gli ormeggi, le ancore delle paranze aravano la sabbia e
le barche si avvicinavano pericolosamente alla banchina. LĠistinto invitava a
salire a bordo per trincare le ancore, ma lĠesperienza suggeriva che questa operazione alla fine non premia perch accorciando la
cima si riduce anche la presa dellĠancora sul fondo e, infine, si costretti a
salparla del tutto, mettere in moto la barca e andare a ributtare lĠancora
il pi lontano possibile. Mentre si pensava il da
farsi, il pontone ruppe gli ormeggi cominciando a sbattere a destra e a manca demolendo
tutto ci che urtava. Io riandai a casa a cambiarmi per la seconda volta e,
quando riscesi, il porto era nel caos. Si prendeva la scossa dappertutto, anche
sui muretti; le barche che avevano rotto gli ormeggi cominciavano a naufragare
nel Crivo, altre galleggiavano prive di ormeggi nel porto, altre affondavano. UnĠonda tremenda
butt la chiatta di ferro sulla banchina trascinandola sullo scivolo che era in
prossimit della spiaggetta. Il mare nel porto lambiva le case e quasi entrava
nel bar dove, di tanto in tanto, andavamo a riparaci dalla
pioggia battente.
Una paranza
intanto era stata letteralmente incastrata nella grotta sotto la rotonda,
mentre il pontone con la gru fin nel Crivo dopo aver massacrato tantissime barche. L ÔAlibi, un barca di un pescatore del porto, ruppe gli
ormeggi e fu depositata direttamente sulla banchina e fu quella che ebbe minori
danni. Una barca a vela di oltre dieci metri invece fu sollevata come una mano pu fare con un modellino e incastrata nello spazio tra lo
scivolo e la banchina(foto). Intanto anche la paranza pi grande, la Regina
Maris, di Raffaele detto il Cacaglio,
perch balbuziente, aveva preso qualche colpo in banchina e si attendeva
lĠarrivo dellĠequipaggio da Torre del Greco. Quando i Torresi arrivarono, verso
lĠuna, la tempesta era al culmine ma loro, pur di
salvare la barca, non esitarono a salirci sopra. Misero in moto e salparono
lĠancora. Bench il porto brulicava di relitti, cime e
barche alla deriva, essi sembrava riuscissero, in un certo modo, a gestire la
situazione tanto che arrivarono fuori dal molo interno, punto in cui dovevano
calare lĠancora e poi, a marcia indietro, rientrare e
ormeggiarsi di poppa alla banchina. Purtroppo la paranza, ormai con
la stiva piena dĠacqua per i colpi presi sulla banchina, prese delle cime
galleggianti nellĠelica risultando perci
ingovernabile e, in pochi attimi, affond. I Torresi fecero appena in tempo a
buttarsi sul canotto autogonfiabile. Si diceva che
alcuni di loro non sapessero nemmeno nuotare e a quel punto la loro vita valeva
meno che niente. Remavano affannosamente con delle pagaie verso il largo ma le onde li ributtavano verso il Crivo.
Io mi ero cambiato di abiti per lĠennesima volta e
capii subito che bisognava fare qualcosa per salvare quelle persone da sicura
morte. Chiamai mio fratello Sisino e gli dissi di andare subito nel funnico del Baruddo a
prendere un salvagente con una lunga cima e mi diressi, insieme ad altri, verso il Crivo. L, dove
i marinai della paranza lottavano come leoni contro i marosi.
Qualsiasi cosa
si toccava dava una scossa elettrica e non ci potevamo avvicinare al Mare
perch le onde ci investivano. Bisognava quindi stare
accorti ed attendere quei pochi momenti di tregua che ogni tanto il mare
concedeva. Dal gommone ci facevano dei segni e gridavano ma
non si riusciva a capire niente. Intanto era arrivato Sisino col salvagente e
una lunga sagola, provammo a lanciarlo ma il vento ce
lo rimandava indietro. I Torresi ci fecero segno che quella era la soluzione
giusta e tentarono di remare verso di noi. Io temevo che in tal modo si
potessero sfracellare sugli scogli perch le onde erano mostruose; ma non cĠera
alternativa. Ricoperto di salsedine e tra le grida di ognuno di noi che diceva una cosa diversa, mollai il salvagente a Peppuzzo, una prestante persona di Maratea, che lo
lanci con tutta la forza che aveva.
Il salvagente si
avvicin di molto verso i naufraghi e a stento tenemmo il capo della cima tra
le mani. Remando con la forza che solo la disperazione sa
dare i marinai raggiunsero il salvagente e lo agguantarono. A quel punto noi
cominciammo a tirare e, a forza di braccia, li avvicinavamo sugli scogli dove comunque avrebbero corso il gravissimo pericolo di
sfracellarsi. Grande fu il timore ma loro ormai
disperati gridavano: Òtira! tira!Ó Arrivati
sotto gli scogli, aiutati anche dalla spinta di unĠonda tremenda, tirammo
i malcapitati in secca. Il gommone scoppi sugli scogli ma
loro si aggrapparono e non permisero allĠonda di ritorno di ributtarli in
acqua, un attimo dopo erano a terra, tremolanti e sfiniti, tanto da non
riuscire a camminare, piangevano e parlavano in una lingua incomprensibile.
Solo allĠospedale, dove li conducemmo, si ripresero un poco.
Era quasi buio quando lĠennesima potente ondata si abbatt sul molo
(in cemento!!!) aprendo uno squarcio di una ottantina di metri mentre la
testata dellĠaltro molo, quello di levante, era stata letteralmente ribaltata.
Il mare pertanto, entrava liberamente fracassando tutto ci che
incontrava allagando le case ed entrando nel bar. Di ritorno a casa non
potei entrare, tanto ero inzuppato. Davanti alla porta mi feci porgere un accappatoio
che indossai dopo aver lasciato tutti gli abiti sulla soglia e, scalzo e
tremolante, mi sedetti vicino ad una stufetta. Dopo che la mareggiata sembrava
avesse raggiunto il suo scopo, lentamente cominci a diminuire di intensit pur restando comunque molto forte per tutta la
notte e le prime ore del giorno successivo. Dalle foto si riesce poco a capire
lĠinaudita violenza di una mareggiata che rester nella mente di quanti ebbero
la ÒsorteÓ di potervi assistere. La mente va certamente allĠinfanzia
quando la grande spiaggia del Porto veniva percossa da ondate tremende
che trasportavano quintali di sabbia sulle porte dei funnachi
ricoprendoli fino ad unĠaltezza di pi di tre metri e le barche venivano tirate
in secco sulla Ômbraiata. I Torresi, e Ginuzzo in particolare, uno dei fratelli che si rifatto unĠaltra paranza, dopo qualche anno ritornato al
Porto e, memore delle vicissitudini vissute, il suo primo pescato lo
regal ai pescatori del Porto, il secondo a coloro che li avevano aiutati
e a tutta la cittadinanza. Ancora una volta Ó ÔU
MARI EĠ ACQUA E SALIÉ É MA EĠ FUNNU, EĠ FUNNU ASSAIÓ