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Città di Maratea
Provincia di Potenza
Piazza Biagio Vitolo 1 – 85046 Maratea (Pz)
Tel. 0973 874111 – Fax 0973 874240
Codice Fiscale
00144100765 |
PRESENTAZIONE GEOSTORICA DI MARATEA
Maratea
condivide il suo nome con molti luoghi della Grecia(1) tra cui “Marathon” la storica città di Maratona, ove Milziade con
soli 11000 ateniesi vinse
600.000 persiani (490 a.C.).
E proprio come Marathon, significherebbe
secondo Racioppi, Rholfs
e Pugliese Carratelli,(2) “il luogo dove
cresce il finocchio”, pianta che vi vegeta ancor oggi abbondantemente.(3)
Farà parte
della Lucania, che sarà la Regio III Augustea
e dal V sec. d.C. della Provincia Bizantina, che dopo
il Mille si chiamerà Basilicata.
Si affaccia sul Tirreno con una costa lunga 32
km, incuneandosi tra la Campania e la Calabria. Ricca di sorgenti, fiumi e torrenti, si
estende per oltre 67 km quadrati, tra ubertose valli e colline, con i monti di Coccovello (m. 1508) Cerrita (m.1083) Crivo (m.1277) e Minerva, ora S. Biagio (m.623),
che le fanno corona,
avendo alle spalle i Parchi del Cilento
e del Pollino. La sua popolazione che superava le settemila unità, si è
ridotta a causa dell’emigrazione, che ha fatto seguito all’Unità d’Italia.
Conta ora 5194,
abitanti presenti nel centro storico del Borgo, nella valle che degrada con le
sue colline dai monti al mare e nelle frazioni marine di Acquafredda, Cersuta, Fiumicello,
Porto, Marina e Castrocucco e montane del
Castello - Santa Caterina, Massa e Brefaro.
Il primo insediamento umano sul suo territorio
risale al XV secolo a.C.:
sono pastori di “Civiltà Appeninica”, che scelgono il
promontorio di “Capo la Timpa”, quasi a metà della
fascia costiera, in posizione prominente sul mare e perciò strategica sia ai
fini della navigazione e dei commerci, sia per ragioni di difesa. La tecnica
costruttiva delle capanne col pavimento a battuto steso, su sottofondo di
ciottoli, testimonia influenze culturali dal Mediterraneo orientale, ivi
compresi probabili rapporti con la civiltà micenea, mentre i motivi decorativi
rinviano a relazioni commerciali con le Isole Eolie. (4)
Nel VI secolo a.C., mentre continua a vivere l’insediamento di Capo la Timpa, altri nuclei si attestano nella fascia costiera, a Castrocucco, ove gli scavi archeologici hanno riportato in luce
una necropoli del IV secolo a.C., con tombe ad “ustrinum” e alla “cappuccina” e nell’immediato retroterra,
a Massa. Se la ceramica indigena rientra nel repertorio formale e
decorativo dell’area enotria, altra ceramica
testimonia, tra i prodotti coloniali, la presenza di tradizione ionica.
Peraltro, anche la campagna di archeologia subacquea,
disposta dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, ha restituito vasi
del VI secolo a.C. di area ionico-massaliota, assieme
ad altro vasellame romano e punico e con essi ben 64 ancore: il più importante
giacimento per qualità e genere di quel Mediterraneo, che Sabatino Moscati ha
definito “il più grande museo archeologico del mondo”.
Sempre sulla costa, a “Capo la Secca”, altro
insediamento lascia la testimonianza di un impianto della salsa tanto
apprezzata dai greci e romani, il “garum”, ma anche di altra salagione di pesce, con due vasche di forma
quadrangolare, posto a ridosso di una splendida villa, dove esiste un approdo
naturale, mentre sull’isolotto di Santo Janni si rinvengono i resti di un’ara e
di un impianto per la produzione e il commercio del “garum”,
costituito da ben sette vasche allineate tra loro e poste a quote diverse oltre
i ruderi di una laura basiliana.
Sia a Santo Janni, sia a Capo la Secca si registra la presenza di anfore e di altre ceramiche fini tipo sigillata italica e
africana di particolare interesse. E’ molto probabile che il porto greco-romano
abbia occupato lo spazio di mare compreso tra “Punta della Matrella”
e “Santo Janni”, come induce a pensare il rinvenimento in tale aerea del
suddetto giacimento di ancore e di numerosi frammenti anforici (Dressel 21/22), nonché
dei resti di un carico onerario, compreso
il fasciame della nave, con anfore, che al momento del naufragio erano riempite
e che partivano, appunto, dai suddetti insediamenti, dove il pesce veniva
lavorato.(5)
Sempre lungo la costa, in contrada “Santavenere”, sono stati rinvenuti, secondo la testimonianza di
Andrea Lombardi, di inizio ‘800, i resti di un tempietto in fabbrica
reticolata, dedicato a Venere, mentre, secondo una antica e radicata tradizione,
altro tempio, dedicato a Minerva, sarebbe sorto sulla cima dell’omonimo
monte, sul sito occupato poi dal tempio
cristiano, che ne avrebbe utilizzato in parte marmi di risulta.
Ed è appunto su tale monte che si costituisce il primo nucleo abitativo,
che prende il nome di Marathea o Marathia.
La storia di Maratea, da allora in poi, si identifica sempre più con la storia religiosa dell’area e
ciò costituirà la caratteristica peculiare di questo sito, che finirà per
identificarsi in quella “Maratea sacra”, di cui si dirà in appresso. (6)
Sempre sulla fascia costiera (come già indica
Plinio) e appena a sud di Castrocucco, la stessa Blanda (7) città lucana, conquistata da Roma nella II
guerra punica (214 a.C.), giusto quanto riferisce Livio, diviene subito cristiana, con l’avvento della
nuova Era.
In località Castrocucco
sono state rinvenute, nella suddetta necropoli , tombe
di una comunità ormai cristiana ed una lucerna col simbolo del “Crismon”, che testimonia anche il legame col Nord Africa
subito cristianizzato. Per il rapido diffondersi del cristianesimo nell’area,
Blanda diviene sede di Diocesi, come risulta dalla
lettera di Papa Gregorio Magno a Felice vescovo di Agropoli,
del 592 d.C.. Peraltro ai
Sinodi romani del 595 e del 601 partecipa Romanus Episcopus Ecclesiae Blandane, e prenderanno parte al sinodo del 649, indetto da
Papa Martino, “Pascalis Episcopus
Santae Ecclesiae Blandanae” e all’ altro Sinodo, indetto da papa Zaccaria,
nel 743 “Gaudiosus
Blandarum Episcopus”. Da allora in poi non si hanno più notizie di Blanda, che
forse scompare per calamità naturali o forse per le micidiali incursioni
saracene. E’ probabile che la sua gente fuggiasca abbia trovato accoglienza nel
nucleo abitativo marateota sul monte Minerva. Sta di
fatto che, da quel tempo in poi, si verifica un
incremento demografico non più contenibile nel piccolo paese arroccato sulla
cima del monte.
Incomincia allora l’insediamento da parte della
popolazione marateota nello spazio che si estende a piè del monte, protetto dal bosco dei Carpini e
comunque escluso dalla vista dal mare, ed in
esso si registra, intorno al Mille, un
secondo nucleo abitativo, che si chiamerà “Capocasale”
e che, svolgendosi nei secoli successivi verso la valle, si completerà in altro
nucleo dal nome di “Casaletto” ed entrambi
prenderanno il nome di “Borgo”, così distinguendosi dal primo insediamento, che
resta su monte Minerva, e che, essendo fortificato, ha preso il nome di
“Castello”.
Intanto, dal V-VI d.C., il Castello ha accolto i monaci, che, seguendo la Regola
di San Basilio (che, come noto, non fondò alcun Ordine monastico, ma ne ispirò
la vita), si diffondono nell’Italia meridionale, che, caduto l’Impero Romano
d’Occidente (476 d.C.), resta sotto l’Imperatore di Oriente. La loro presenza si incrementa durante la battaglia condotta dagli
Iconoclasti, che si inasprisce con l’imperatore Leone III Isaurico,
il quale ordina la distruzione delle immagini e delle reliquie (726), che da allora i monaci fuggiaschi
trasferiscono in Occidente. Come noto, il
contrasto tra gli Iconoduli, che si rifanno al nuovo
Testamento e cioè al Dio che si è fatto uomo e che è perciò rappresentabile in
forma umana e gli Iconoclasti che con Leone Isaurico,
paventano la contaminazione del cristianesimo con ritornanti forme di
idolatria, si risolve col Concilio di
Nicea del 787, che, riconoscendo valide le argomentazione degli iconoduli, favorisce, tra l’altro, lo sviluppo dell’arte
sacra. Un terzo incremento della presenza dei monaci si registra a seguito
della caduta di Taormina (902) e l’occupazione di tutta la Sicilia da parte
degli arabi, ma anche dei continui assalti saraceni, che si consumano in
Calabria.
Maratea assume una funzione particolarmente
importante nella “Eparchia del Mercurion”
(8) per la sua collocazione nel Golfo di
Policastro, per l’abbondanza delle grotte, per l’amenità del clima e la
ricchezza delle acque e per trovarsi in un punto di snodo tra la Calabria e la
Campania, sulle tracce della via Popilia costruita
nel 132 a.C..
I monaci basiliani
caratterizzano la storia di questa terra con la loro vita di ascesi,
di studio e di raccoglimento, donde i
numerosissimi eremi, laure e cenobi e la
significativa produzione agiografica,
calligrafica e melodica ma,
anche, insegnando e diffondendo tecniche di bonifica, di canalizzazione e di
coltivazione, nonché di costruzione di
edifici sacri e civili. Peraltro, proprio nel periodo della più aspra lotta
iconoclasta, nel 732, secondo la tradizione, approda sull’Isolotto di Santo
Ianni l’urna delle reliquie di San Biagio vescovo, medico e martire di Sebaste (Armenia). Maratea-Castello, che ha già nella
chiesa di San Basilio la sua parrocchia, accoglie la suddetta urna in una delle
sue cinque chiese, quella dedicata alla Theotokos
che, da allora diverrà di “San Biase”, tempio probabilmente eretto su quello in
antico dedicato a Minerva e che, a testimonianza della continua diffusione del
culto, si svilupperà architettonicamente nel tempo,
rivestendo il paleocristiano con opere delle epoche successive fino al barocco,
meritando privilegi papali da Clemente VII a Pio IV (che la visita), Pio V,
Benedetto XIII e Leone XII, l’attenzione di Filippo IV di Spagna, che vi eleva
la Regia Cappella e, infine, la dignità di “Santuario Basilica Pontificia” da
parte di Pio XII ( 1940). (9)
Nel 1079, una bolla di Alfano
I si riferisce alla città di Maratea, con
le prime due parrocchie (Maractie e Castrocucco). Nello
stesso periodo la presenza bizantina va meglio definendo la nuova regione, che
da essa si
chiamerà Basilicata (nome che
compare per la prima volta in un documento del 1175), e
che riduce l’area dell’antica Lucania, che, come noto, si estendeva dal fiume Sele, e perciò da Paestum, fino
al fiume Lao, dopo Scalea. Maratea resta contesa, con l’intero territorio
lucano, tra i Longobardi, che fortificano il castello, dopo che si sono
insediati, a seguito della divisione del Ducato di Benevento nell’850, nel Principato di
Salerno ed i Bizantini, che intanto devono difendersi, anche, dai continui
attacchi saraceni, che costringono molte popolazioni a rifugiarsi sulla sommità
dei colli o tra le montagne.
Maratea entra dopo il 1077, a far parte dei
territori ormai di dominio normanno. Con i Normanni, convertiti al
cristianesimo di Roma, comincia la latinizzazione
della chiesa di rito greco e i Monaci Benedettini, in particolare i Cavensi, prendono gradualmente il posto dei basiliani. E tutto ciò mentre inizia lo Scisma tra la
Chiesa d’Oriente
e quella d’Occidente, originato nel 1054, quando Leone IX e Michele I° Cerulario si scomunicano a
vicenda.
Al tempo di Federico II (1194-1250), Maratea
entra nell’ordinamento
territoriale del Giustizierato, comparendo nei
registri della Cancelleria sveva ed in particolare
nel documento del 5 ottobre 1239, in cui
l’Imperatore detta disposizioni che
obbligano gli “homines" di Viggianello,
Rotonda, Castelluccio, Lauria, Aieta
e Papasidero a provvedere, ovviamente insieme ai marateoti, al mantenimento in funzione del “Castrum Maractie”.(10)
Con gli Angioini,
Maratea è riconosciuta “città libera”, ossia non infeudata. Tra i privilegi
confermati da Giovanna II nel 1414 è rilevante quello del divieto assoluto di
cessione in feudo; divieto che permarrà anche
con gli Aragonesi, che, anzi, aggiungono altri
privilegi, quali quelli concessi da Ferdinando I (1469) e da Federico II (1496),
nonché da Ferdinando III di Spagna (1506).
L’imperatore Carlo V, le attribuisce (donandole, come è stato detto, l’attuale stemma), il titolo di Città
(1531), dopo che i marateoti si sono riscattati dalla
cessione in feudo operata dal cardinale Colonna a favore del conte Carafa.
Il Vicereame spagnolo conferma i privilegi di
Città Libera e, per
meglio tutelarla, affianca ai già esistenti Castello di Castrocucco
e Torre “l’Imperatrice” o
l’“l’Imperatore” di Santavenere, nella seconda metà
del 500, le torri costiere, dette di avvistamento anti-saraceno o fumaiole dei Crivi, di Acquafredda, di Apprezzami l’Asino, di Filocaio
e di Punta Caina, oltre quella di Santavenere
(che il Pacichelli definirà “la migliore del Regno”).
Dal ‘400 intanto Maratea-borgo registra, con l’incremento demografico,
quello dei suoi edifici monumentali, che costituiranno anzitutto il suo
eccezionale patrimonio religioso, con le sue innumerevoli chiese (ancora oggi se ne contano 60, di cui 44 aperte al
culto, 5 conventi, la colonna di San
Biagio, la stele della Madonna Addolorata, cui si aggiungeranno la Croce
Monumentale e il monumento al Redentore
e quello a Padre Pio, oltre le innumerevoli edicole sparse su tutto il
territorio), ma anche l’importante patrimonio civile con i suoi tanti Palazzi
storici e le splendide ville pubbliche e private.
Ma Maratea, già nel corso del
XV secolo dovrà difendere la sua autonomia prima contro il conte Sanseverino di Lauria, che fa cingere d’assedio il Castello
(1440) e poi dall’esercito francese di Carlo VIII, che tenta parimenti di
espugnarlo (1495). In entrambi gli episodi Maratea resiste
valorosamente e si accredita la vittoria. Anche la nuova Maratea dovrà difendersi nel
secolo XVII, ma stavolta da un esercito di banditi (ben 160), che spargono
terrore sull’intero territorio e da cui si salva grazie all’intervento della
fucileria del Castello.
In pieno illuminismo la classe colta accoglie le
idee di libertà, propagandate dalla rivoluzione francese e da Napoleone e
illustri cittadini marateoti partecipano alla gloriosa e sfortunata
Repubblica Partenopea del 1799 (11) ; ma l’aggressione dell’esercito
francese, al tempo di re Giuseppe Napoleone, divide il Castello filo- borbonico
dal Borgo, prevalentemente filofrancese ed il
Castello, con le sue mura fino allora inviolate, deve cedere alla proponderante forza francese e, il 10 dicembre 1806, dovrà subire la sconfitta, sia pure con l’onore delle armi, cui faranno seguito
la soppressione dei conventi (escluso quello delle Visitandine)
e la incorporazione dei beni ecclesiastici, la perdita della qualità di Capo Ripartimento, da cui dipendevano 29 Comuni e di tutti i privilegi di Città libera, con la chiusura
del municipio di Maratea-Castello (12).
Maratea è tra i centri che pacificamente
aderiscono all’annessione
al Regno di Italia, nel plebiscito del 21 ottobre 1860. Subirà, come gran parte della popolazione del
Mezzogiorno d’Italia, l’emorragia dell’emigrazione, con tutti i problemi della cosiddetta “Questione Meridionale”(13). Si
arricchisce nel tempo di
un buon sistema viario (le SS. 18 e 19 e la linea ferroviaria), che però riduce
l’importanza del porto, che cessa di essere
l’unico sbocco per il vasto retroterra, di un eccellente sistema
scolastico con istituti di istruzione media e superiore e convitti maschile e
femminile e di un importante sistema ospedaliero.
Negli anni ’50 viene
industrializzata, ma viene provvidenzialmente,
anche inserita nei circuiti turistici internazionali e dotata di un elegante
porto turistico.
Nel 1964 il Ministero della Pubblica Istruzione
la ritiene meritevole di
tutela, sottoponendola a vincolo, a norma della legge 1497/1939.
Anche Maratea è colpita dal terremoto degli anni
80/81, ma ne risorge con sorprendente impegno di recupero dell’esistente e di ammodernamento degli impianti, ai fini di una
valorizzazione intelligente del territorio. Affida a valorosi architetti nuovi
insediamenti residenziali per i colpiti dal terremoto nonché
la progettazione urbanistica, promuove la rivisitazione della struttura alberghiera, che supera le
venti unità; amplia la rete viaria, ammoderna i lidi, si dota di un impianto
esemplare di depurazione e restaura, con il concorso delle Soprintendenze, gli
edifici monumentali ed in particolare le sue 44 chiese, affidandone l’apertura
ai giovani, con un interessante progetto di “adozione dei monumenti”;
istituisce il “Centro Culturale Maratea”, riordina l’Archivio e apre al
pubblico la Biblioteca.
Nel 1985 il Ministero per i Beni Culturali e
Ambientali rinnova
e definisce meglio il vincolo, a norma della legge 431/1985 e vi istituisce il
Centro Operativo Misto delle 3 Soprintendenze,
progettando nel restaurato Palazzo “De Lieto” il Museo del Territorio.
Nel quarantesimo anniversario della Costituzione
italiana entra
a far parte degli storici “100 Comuni d’Italia”.
Negli anni ’90 entra nella Rete Europea di
protezione ambientale “Natura 2000”, con 4 aree SIC e 5 Habitat
di pregio.
Il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, con provvedimento del 10 dicembre 1990, le conferma il
titolo di Città.
Intanto diventa meta ambita di turismo piuttosto
elitario, “location” per opere teatrali, per films e
servizi televisivi, paradiso dei subacquei, ma anche sede di Premi letterari,
cinematografici, teatrali e giornalistici, di congressi nazionali e internazionali (si ricordano in particolare quelli di
Architettura, Archeologia, Parchi, ville
e giardini storici, Ingegneria, Sanità,
Attività forense e su “Memorabilia” ed il
Paesaggio) , mentre il nome di Maratea viaggia nel cielo con un
aereo della flotta Alitalia e per terra con un comoda
berlina della Fiat. E dal Palazzo di
Città sventolano da anni
le bandiere blu e delle cinque vele, che attestano la qualità del
mare e delle spiagge, della gestione del territorio, dell’educazione
ambientale e della promozione del turismo sostenibile (14) .
(vedi allegati)
(1) “Marathea”
in Laconia, “Marathea” in Argolide e “Marathia” in Ilia,
tutte nel Peloponneso; “Marathea” in Tessaglia; “Marathia” di Evrytania nella Sterea Ellada, “Marathia” stupendo promontorio dell’isola di Zante, “Marathonissi”
dell’omonima isola, “Marathonisi” della Morea, “Marathi”, isola del Dodecaneso.
(2)
Giacomo Racioppi Storia dei popoli della Lucania
e della Basilicata, 1889; Gerhard Rohlfs,
Dizionario storico dei cognomi in Lucania:
repertorio onomastico e filologico,
ristampa Ravenna 1985; Giovanni Pugliese Carratelli
“Per la storia antica di Maratea” in Agenda- Istituto Poligrafico Zecca dello
Stato 1996
(3)
v. anche Trinchera, Syllabus
Graecarum Membranarum,
Napoli, 1865
(4)
Paola Bottini ( a cura di ) Greci e Indigeni tra Noce e Lao, Lavello 1998
(5) Fabrizio Mollo in Quaderni di Archeologia- Università degli
Studi di Messina, 2014
(6) Francesco Sisinni
( a cura di ) Maratea Sacra- Istituto Poligrafico Zecca dello Stato, 1997
(7) Giovanni Guzzo
in Bibliografia topografica della
colonizzazione greca in Italia e in
Sicilia, 1985
(8) Francesco Russo “ Il Mercurion” in Rivista Potenza, 1967
9) Carmine Iannini Discorso Istorico
“ Di San Biase e di Maratea”, 1835 – Domenico Damiano “ Maratea nella storia e
nella luce della fede” 1954
(10) Soprintendenza Belle arti e
paesaggio della Basilicata - Francesco Canestrini (a cura di) “Castelli Mura e Torri della Basilicata”- Potenza 2015. Eugenio Martuscelli,Il “Castello di Muro Lucano”, Roma, 2014
(11) Diocesi di Tursi Lagonegro – Card.
Casimiro Gennari – 2014
(12) Carmine Iannini – Discorso Istorico – “
Di San Biase e di Maratea “ – 1835
(13) Tommaso Pedio – Storia della
storiografia lucana … – 1984
14) Josè Cernicchiaro (a cura di) “Conoscere Maratea” – Napoli, 1975