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Città di Maratea Provincia di Potenza
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RELAZIONE SINTETICA A DIMOSTRAZIONE DEL VALORE MONDIALE DEL SITO ,
CORREDATO DALLA BIBLIOGRAFIA ATTESTANTE L’ATTENZIONE DA PARTE DI
STUDIOSI A LIVELLO INTERNAZIONALE
Le caratteristiche peculiari, che fanno di Maratea un ”bene di eccezionale valore”
identificano la stessa in quel “paesaggio culturale”, che altro non è se
non il prodotto dell’azione millenaria
di fattori naturali ed umani e della loro interrelazione.
Vedendo Maratea, infatti, ben si comprende Lewis
Munford
quando definisce “gli insediamenti umani sul territorio la più grande
opera d’arte insieme al linguaggio, (essendo il territorio) teatro di azioni
sociali e simbolo estetico di una collettività, espressione e matrice di
cultura” (1) .
Se dell’interrelazione uomo-ambiente esiste autorevole letteratura, dal Trattato Pseudoippocrateo “Sulle
aree, le
acque e i luoghi” e dalla Naturalis Historia di
Plinio il Vecchio, all’Idealismo e in
particolare allo Schelling
ed al Neoidealismo e in specie al Croce,
(v. “Relazione al Senato del Regno”
del 25 settembre 1920), fino alla linguistica estetica da Antistene
a Wittgenstein ed alla geografia politica, a partire dal Gribaudi,
qui la mirabile osmosi tra realtà
naturali e presenze umane è ovunque significata in quello stesso “adspectus urbis”, che
Che, se diverso è l’effetto che produce la vista di Maratea a chi
viene dai paesi montani limitrofi, da quello che coglie chi viene dal Golfo di Policastro, in entrambi i casi è
solo lo stupore che fa da padrone. Stupore da cui non hanno
potuto o saputo restare immuni, nel visitarla, quegli innumerevoli scrittori, poeti,
musici, artisti, giornalisti,
cineasti e fotografi (2) , che hanno dato
voce e forma, secondo il proprio linguaggio, al
senso profondo dell’incanto, commisto al senso eloquente della
storia; stupore sempre generosamente
gratificato dallo spettacolo del mare
col suo colore, la sua trasparenza e la sua varietà luminosa; dalla costa, alta e superba al nord, bassa e smerlettata al sud; dalle cento e più grotte, ricche di stalattiti e stalagmiti, come quella di Marina,
di ossa di animali predatori e predati, come la grotta “Lina”, di resti del
Paleolitico, di industria litica e di faune pleistoceniche, come le grotte di
Fiumicello o di figure antropomorfe, come la grotta dei Monacelli;
dalla ubertosa vegetazione di ville
e parchi, orti e giardini; dall’abbondanze delle acque celebrata nella lunga “Via dei Mulini” e dalle fontane persino monumentali, come la
“Dal Verme”, di “Ciurtiano” (loci hortulani),
la “Peschiera” , la “Fontana Vecchia” e la “Fontana della Sirena”, o ancora,
delle baie e delle spiagge, bianche e nere e delle montagne verdi di ulivo, e carrubo, querce e pini, agavi e fichidindia,
che si precipitano in mare e che tanto
ebbero ad impressionare Fernand Braudel,
come racconta Folco Quilici, nonché dalle rarità
della flora, come la primula di
Punta Caina e l’orchidea “ Maratea” e della fauna, come l’airone cenerino e il
drago di Santo Janni. Ma se tale spettacolo è la ragione profonda di una così
copiosa produzione estetico-letteraria, ciò lo è in
quanto rivela le peculiarità di siffatto paesaggio proprio in una natura, eccezionalmente
bella che ha il respiro dell’ anima
della sua gente. E a dimostrazione par qui sufficiente dare voce ad almeno
qualcuno di loro, come l’Algranati, che per l’UTET
scrive, nel 1929: Maratea “sorta probabilmente sul luogo dell’antica
Blanda… declinando lungo le rocce fino ad un piccolo Porto, alza un castello
sul colle, poi si affonda e quasi sparisce tra le pareti di una gola, mentre
ciuffi di ulivi le incoronano il florido capo e ricompare più giù alla
spiaggia”, o come Indro Montanelli che, nel 1957, sul
“Corriere della Sera”, scrive: “Forse in Italia non c’è paesaggio o panorama
più superbi. Immaginate decine di chilometri di scogliera
frastagliata di grotte, faraglioni e morbide spiagge davanti al più
spettacoloso dei mari, ora spalancato e aperto, ora chiuso in piccole
rade, piccole come darsene.
La separa da una catena dolomitica tutta rocce color carnicino
punteggiata di vecchi borghi, castelli diruti e
antiche torri… un declivio boscoso rotto da fiumiciattoli e torrenti e sepolto
sotto le fronde dei lecci e dei castagni”, o come Cesare Pavese, che negli stessi
anni, con Bianca Garufi, in “Fuoco Grande” scrive: ”Maratea è un paese meraviglioso… magnifico…
non c’è nessun altro luogo che sia valido in me come questo che vedi. I colori
soprattutto sono colori primordiali”. E ancora come
Bruno Zevi, che nel 1985 rivisita Maratea per un importante
congresso internazionale di architettura, con l’inglese Ralph
Erskine, il francese Pierre
Vago e l’argentino Korge Glusverg
e scrive sull’Espresso: “Cuneo della civiltà lucana sul Tirreno, l’assetto di
Maratea è stato definito un miracolo. Preserva incontaminati
Non vi è dubbio che l’abitare in uno spazio di eccezionale
bellezza, come questo, avrà pure comportato e comporta una particolare tensione
a quel bello, che qui non può non mostrare la sua ascendenza metafisica,
alimentando quella significativa creatività, che si è espressa prevalentemente
nella religiosità e nell’ arte; una spiritualità interprete
e testimone della sacralità del Bello e della bellezza
del Sacro.
Bellezza e sacralità
fanno, infatti, di questa terra “il luogo dello spirito”.
Proprio riflettendo sugli esiti di tale interrelazione non si può
qui non pensare allo Schiller quando parla
della bellezza quale
“forma vivente”, che guida
l’uomo sensibile alla forma e al pensiero e l’uomo spirituale a
riconoscersi in quella sensibilità ed in quell’armonia
che conduce alla libertà.(4) Sta di fatto che la considerazione della peculiarità di siffatto
paesaggio culturale rileva come la gente di questo luogo, in quella semplicità,
che il Vico chiama “sapienza poetica”, ha compreso che la cifra della bellezza
è il mistero, senza la cui esperienza- come ebbe a dire Einstein-
si resta ancor adulto nella culla, con gli occhi offuscati (5) , tant’è che uno studioso, quale Gabriele De Rosa, ha potuto
vedere nella spiritualità di questo popolo un fiume di metafisica, che corre
sul letto dei secoli.
E’ perciò che siffatta spiritualità
si è espressa anzitutto e soprattutto nella religiosità della sua gente.
Maratea pagana celebra in Minerva e nel tempio a lei dedicato,
Maratea cristiana ha il suo
primo luogo di culto nelle Grotte, tra cui quella dell’Angelo ( o
San Michele Arcangelo) e di “Zù Iancu”
( il bianco eremita ), ove sono ben visibili i segni della più antica
frequentazione. Le stesse saranno, appena più tardi, ricoveri di anacoreti. (7)
Dopo l’Editto di Costantino (313 d.C.) la prima comunità cristiana,
non più catacombale, si insedia a Castrocucco,
come provano gli scavi archeologici e, in particolare, la bella lucerna col
simbolo del Crismon. D’altra parte, nello stesso
sito, insiste Blanda e
se tale città diviene una delle prime sedi vescovili della Chiesa, par
ragionevole pensare ad una rilevante presenza cristiana in questa area. (8)
Blanda scompare nell’VIII secolo d.C. e i suoi abitanti, scampati ad una
tremenda calamità naturale o a un micidiale assalto saraceno, riparano – come
concordano gli storici - sulla parte
alta del territorio marateota, la vetta del monte Minerva,
ove già da qualche secolo i monaci venuti dall’Oriente e chiamati, sia pure
impropriamente Basiliani, hanno creato laure, eremi, cenobi e chiese, quali quelle di San
Basilio (cui si ispira la loro Regola e che sarà la prima parrocchia), di San Nicola di Mira, dei Santi Quaranta
Martiri e di Santa Maria Maggiore, o della Theotokos,
nonché quella di Santa Maria della Visitazione, che, nel 732, secondo la
tradizione, al tempo della iconoclastia
di Leone III Isaurico, accoglie l’Urna contenente le
Ossa di San Biagio,vescovo medico e martire di Sebaste,
approdata sull’isolotto di Santo Janni ( su cui insistono, oltre un’ara pagana
e un impianto per la produzione del garum, una chiesa
basiliana dedicata appunto a Santo Ianni ed una
piccola necropoli) e che, da allora, si chiamerà di “San Biase”, arricchendosi
nei secoli di opere significative, quali l’affresco della Madonna del
Melograno, la regia Cappella, dono di Filippo IV di Spagna, sculture lignee e
d’argento come il simulacro del Santo firmato De Biase, tele, arredi e
paramenti di alto valore storico-artistico, divenendo méta di pellegrinaggio
per tutto il golfo di Policastro ed il vasto retroterra.(9)
I monaci orientali, compresi quello che hanno
accompagnato l’Urna del Santo, costituiranno la celebre “Eparchia del
Mercurion”(10) , presto definita “la nuova Tebaide”,
di cui restano le laure di San Paolo, di San Giovanni
e della Madonna delle Grazie, gli eremi e le chiese della Madonna ad Nives o
degli Ulivi e della Madonna della Pietà o del Soccorso, tutti impreziositi da
affreschi.
Dal secolo IX alla metà del secolo X Sant’Elia
di Enna, il suo
discepolo, detto lo Spelota,
i Santi Cristoforo, Saba e Macario e lo stesso San
Nilo ed il suo biografo San Bartolomeo si fermano in questo luogo, come risulta
dalla Bios di
San Nilo e da quella di Sant’Elia lo Spelota, in cui, tra l’altro, si legge di un “ Giorgio
monaco il quale da principio abitò nei precipizi di Marathone”.
L’evoluzione del costume dei monaci dalla vita di anacoreta
a quella di cenobita è pur essa testimoniata
dal passaggio dalla frequentazione criptica delle grotte all’apertura
dei cenobi.
Una prima eredità culturale discende proprio dalla tipica
spiritualità orientale, che fonde la comunità nella comunione: ”koinonia”, mentre coniuga la
cristologia con la pneumatologia, nel suo precipuo carattere escatologico:”eschaton”.(11) Ma se tale spiritualità
induce a vivere oltre la storia, sì da consigliare una lettura della
bellezza della natura vissuta che quei monaci profeti in chiave di teologia
estetica, alla maniera di un Florenskij,(12) la lettura dello stesso paesaggio, proprio
così come quei monaci l’hanno consegnato nella particolare
struttura dei segni, rivela l’impegno operativo esplicato in una coltivazione
sapiente non solo delle arti e dei mestieri, ma anche dell’Arte e delle
Lettere, che fa ancor meglio comprendere
la mirabile interazione, appunto, tra gli elementi ed i fattori naturali
e quelli propriamente umani.
Intanto dall’alto del monte Minerva, sempre più insufficiente ad
accogliere un popolo demograficamente cresciuto, inizia il lento trasferimento
delle famiglie “castellane”, che lasciano la città turrita, ma troppo esposta
alle aggressioni barbaresche, in località più sicura e più produttiva, ai piè dello stesso monte.
Siamo attorno al Mille ed il
primo nucleo di quella che sarà l’attuale Maratea e che si chiamerà “Capo
Casale”, si svolgerà, degradando, dalla Chiesa di San Vito, che è succursale
della citata chiesa parrocchiale di San Basilio, formando un secondo nucleo, che si
chiamerà “Casaletto”, costituendo entrambi la nuova
entità civile, che prenderà in nome di “ Borgo”, così distinguendosi dalla
cittadella fortificata, che si chiamerà “ Castello”. Comunque,
Alfano I, Vescovo di Salerno, in una sua bolla del 1079, parla semplicemente di
Maratea, senza l’aggettivo “Superiore” e “Inferiore”.
Bisogna giungere al Trecento per
registrare la presenza di due nuove chiese nei due casali del Borgo: Santa
Maria, che, rinvenuta sotto la chiesa Madre, conserva solo lacerti di affresco e San Pietro, sotto la chiesa della Immacolata,
che ha perduto l’affresco della Madre di
Dio, ma conserva quello raffigurante San Pietro, San Paolo e gli altri
Apostoli, opera di un grande maestro, che ha visto Giotto, si esprime in
gotico, senza dimenticare Bisanzio e forse viene
dalla Provenza.
Il Quattrocento segna il tempo
della nuova parrocchia e del nuovo Comune nel Borgo: è il 1434 e la chiesa in
stile francescano, con suggestioni gotiche, viene
dedicata a Santa Maria Maggiore, come quella già esistente in Maratea Castello
e da cui trarrà una importante scultura della Vergine Assunta o degli Angeli,
in alabastro. La stessa ingloberà una
delle tre torri della città, di proprietà Santoro De Vescis, arricchendosi di
significative opere d’arte, tra cui un
pregevole coro ligneo.
Nel corso del Quattrocento si
costruiscono, anche, le chiese di Sant’Anna, del
Rosario, del Calvario e
di Santa Lucia. La chiesa di Sant’Anna, la più antica del secondo rione, conserva opere
di particolare pregio, tra cui statue lignee, tele e un organo settecentesco.
La chiesa del Rosario è annessa al Monastero dei Padri Domenicani, come si desume dalla
stessa dedicazione, dalla bella tavola della Madonna del Rosario e dall’
importante tela del Miracolo di Soriano.
La chiesa del Calvario conserva all’interno affreschi pregevoli di G. Palumbo, datati al 1443, mentre
l’affresco esterno rinvia a Luce da Eboli.
La chiesa di Santa Lucia
conserva un affresco parimenti interessante dello stesso Palumbo.
Dello stesso periodo sono
E’ collocabile tra il
Quattrocento ed il Cinquecento la presenza benedettina che sostituisce
gradualmente quella basiliana:
Appartiene agli inizi del
Cinquecento
Nella prima metà del Cinquecento
i Frati francescani, in particolare i Minori della Osservanza
occupano il Monastero già dei
Domenicani, con la annessa chiesa del
Rosario, che ingrandiranno e arricchiranno con decoro barocco ed opere
importanti sì da farne una sorta di pinacoteca.
Nel 1615 i Frati Cappuccini si insediano nel Convento, annesso alla Chiesa di Sant’Antonio, che, pur caratterizzandosi per la sua
semplicità, vanta sull’altare in marmo un importante polittico della prima metà
del ‘600, con
Nel 1620, l’Arciconfraternita di
Maria Santissima Addolorata, costituitasi presso
Dello stesso secolo è
In questo stesso periodo
Maratea, ove sono attivi, tra altri, come ricordato, Simone da Firenze,
Giovanni Palumbo e Francesco da Sicignano,
dà i natali al pittore manierista Filippo Vitale, che firma le sue numerose e
pregevoli opere con
l’aggiunta “ da Maratea”.
E’ sempre del Seicento
Nel ‘700
viene istituito il Convento femminile delle suore “Visitandine”
(poi Salesiane), che si distingueranno per la cura pedagogica verso la gioventù
non solo marateota, tanto apprezzata si da essere
esclusa, nel decennio francese del successivo secolo, dalla soppressione. Nel
1758 viene elevata la colonna in onore di San Biagio e
trent’anni dopo viene eretta la stele in onore della
Madonna Addolorata, mentre si rivisitano in stile barocco molte chiese tra cui
quelle di San Biagio e di Santa Maria
Maggiore.
Sono dell’800 il Convento delle
“Donne Monache” e le Chiese di Santa Caterina, Massa, Brefaro,
Porto, Fiumicello, Castrocucco, Marina, Cersuta e Acquafredda,in luogo delle preesistenti piccole cappelle o laure.
Tra l’800 e il
‘900 Maratea si dota di un efficiente sistema di istituti di istruzione
e di cultura, quali un Ginnasio e una Biblioteca pubblica, nonché di un
Convitto maschile e di uno femminile particolarmente apprezzati per la
formazione che assicurano.
Nel 1907 le Suore di Nostra
Signora al Monte Calvario si insediano nel Monastero,
annesso alla Chiesa del Rosario, ove istituiscono un importante Educandato, con
collegio, che ospita ragazze provenienti dal golfo di Policastro e dal vasto
retroterra lucano, riattivando una istituzione educativa del 1730, eretta in
Ente Morale (De Pino-Matrone Iannini) nel 1867.
Nello stesso secolo si
costruiscono le cinque cappelle cimiteriali, le cappelle
della Madonna di Lourdes e della Madonna di Fatima, l’Altare della Patria,
Un patrimonio religioso dunque, certamente
straordinario in relazione alla dimensione del sito
(una sessantina di Chiese, 5 Conventi ed Edicole sull’intero territorio), che
si integra con un patrimonio immateriale,
fatto di tradizioni, usi e costumi, che danno vita ad eventi, che si ripetono
da secoli, come le oltre venti
celebrazioni festive, con altrettante processioni; alle Confraternite laico-religiose
all’associazionismo cattolico e a non poche iniziative umanitarie e
ospedaliere (13) che testimoniano una
radicata spiritualità lirico-profetica, come quella basiliana, colta e operativa, come quella benedettina ed evangelico-pauperistica, come quella francescana, una
spiritualità che ha ispirato gli Artisti, cui Maratea ha dato i natali (Vitale,
Diodato, Brando, Schettino, Di Puglia, Di Dio Castagna….) o che hanno qui
operato (Simone da Firenze Palumbo, Luce da Eboli, Galtieri,Cusati, Colucci, Trombadore e allievi del
Solimena e di Luca Giordano ed altri), cui si
associano i non pochi italiani e
stranieri tuttora attivi, che quando non si esprimono nell’arte sacra, sanno
sempre dimostrare che ” il valore
dell’arte dipende – come afferma Tolstoj - dalla qualità morale dell’emozione trasmessa”.(14).
Ed è la stessa spiritualità che,
straripando dal sacro, ha innervato la cultura laica, dando ragione a iniziative civili di
un popolo, che non conosce l’accattonaggio, il crimine e la violenza,
grazie anche a quella “ indole mite e pacifica che non scende agli eccessi di
furie”, come ebbe già a riconoscere il re Filippo III di Spagna nel concedere
ai cittadini di Maratea il permesso di porto di armi ed ha dato, nel contempo,
un peculiare carattere di semplicità ed eleganza agli edifici storici tra cui i
tanti palazzi e ville e lo splendido teatro, nonché a quell’architettura
“spontanea” che fa pittoreschi gli antichi borghi disseminati sul suo
territorio.
Ma la storia di Maratea sarebbe
monca se, accanto alle peculiarità testè indicate, si
tacesse di quella vocazione alla
comunicazione e al dialogo, che da sempre la fa referente di interessanti relazioni locali, nazionali e
internazionali; una vocazione che ha certamente un cuore antico, come avrebbe
detto Carlo Levi e come prova l’Archeologia, che ci ha restituito reperti che
testimoniano rapporti dalle Eolie alla
Ionia, alla Tuscia ed a Roma. Peraltro, studi recenti
a cura dellUniversità di Messina, muovendo da
ricerche su Castrocucco e la foce del fiume Noce fino
al palecastro di Blanda ( punta
E trattasi sempre e comunque di una vocazione
che appartiene soprattutto a quella spiritualità,
che si esprime nella religione e
nell’arte, a partire dal culto verso
San Biagio, che per Maratea non è solo il taumaturgo, cui ci si rivolge in caso
di necessità materiale e morale, ma è il Patrono indiscusso, che, addirittura,
in un certo tempo dell’anno è il capo della Municipalità, cui il Sindaco pro tempore, secondo un rituale che si svolge da secoli,
consegna le chiavi della città, sicché la storia di questa terra si identifica
per buona parte in quella stessa del Santo. Or è che a
un culto così ancestrale urge diffusione e proselitismo, che si innerva di
relazioni, anche di solidarietà, con quelle comunità, che ne condividono il
senso e la storia. Ne conseguono gli innumerevoli “gemellaggi” con città
italiane e straniere, ma
anche il trasferimento del rito in paesi lontani, come il Venezuela,
E’perciò che Maratea,
candidandosi alla Lista del Patrimonio Mondiale Unesco,
si impegna, altresì, a valorizzare questa sua precipua
vocazione, candidandosi, anche, quale centro propulsore e curatore di rapporti
di comunicazione e dialogo, ossia di quella cultura che è e resta insurrogabile garanzia di pace.
A conclusione di questa
sintetica relazione, afferente alle peculiarità del sito, piace ricordare
quanto è stato osservato da non pochi fruitori della
sua bellezza, ovvero, che a Maratea vi è un posto, il bosco dei Carpini, ove il vento quando soffia sussurra una
sinfonia, che par venga da patria lontana e v’è altro luogo, detto il “Litomuseum”,
ove gli elementi empedoclei e in specie l’acqua e
l’aria – da millenni – scolpiscono nella pietra figure antropomorfe, che
celebrano l’epopea degli dei e degli eroi e vi sono località, come quella di Santavenere, che cristianizza la dea dell’amore o come Filocaio (da Filokalòs) e Macarro (da Macariòs), che forse
vogliono semplicemente dire che qui :“ l’uomo che ama il Bello, è beato “ (16) .
E se ha ragione Hermann Hesse, quando, proprio mirando il paesaggio afferma :“ Tutto il visibile è espressione, tutta la natura è immagine, è linguaggio, è scrittura, con un suo colore”(17), vero è che il colore che fa “culturare” il paesaggio di Maratea è quello proprio del Bello, che, come è parso a Platone, è l’unica Idea visibile, nel mondo delle idee, che per loro natura sono invisibili(18) . Qui, infatti, è il Bello che si fa visibile nell’immagine della natura che incanta, nel linguaggio dell’arte, che crea, nella scrittura della storia di un popolo, che ha ansia di Dio.
(1)
v. elenco allegato
(2)
Lewis Munford “ La cultura delle città”, 1954
(3)
v. elenco Emeroteca allegato
(4)
Friedrch Shiller - Della grazia e dignità, trattato estetico,
1793
(5)
Alber Einstein – Berliner
berichte, 1917
(6)
Angelo Lombardi – Saggio sulla
tipografia e sugli avanzi delle antiche città italo-greche,
lucane, 1840
(7)
Vera Von Falkenshausen in “
(8)
Fabrizio Mollo – Il Museo di Blanda,
2014
(9)
Pavel A. Florenskij – L’arte…. - 2004
(10)
Delle dodici Confraternite, ne restano in vita tre; tra le
associazioni umanitarie si ricordano l’”Istituto di Mutuo Soccorso”
ottocentesco, che diede vita alla Banca di Maratea e,
per i nostri tempi, l’Avis,
(11)
Carmine Iannini – Di San Biase e Maratea - 1835 Domenico Damiano – Maratea nella
storia e nella luce della fede - 1954
(12)
Francesco Russo “ il Mercurion” in
Rivista Potenza, 1967
(13)
V. Zizioulos “ Cristologia, pneumatologia…”
(14)
Anna Grelle Jusco
- Arte in Basilicata – 1981
(15) V. elenco iniziative Relazioni nazionali ed internazionali
(16) Josè Cernicchiaro, , Vincenzo Iacovino Giuseppe Antonello Leone in “Maratea sacra” – 1997
(17) Hermann Hesse “La natura ci parla” – 1998
(18) Platone - Fedro, Simposio, Ione – (a cura di Giovanni Reale) - 1991