IL LATTE O LA SPOSA

Ninuccia si era fatta proprio una bella figliola: sbocciata come rosa a primavera, Gennarino nera ri­masto abbagliato. E pensare che lanno prima era anco­ra una ragazzina insignificante, anche se da sotto i ve­stiti cominciavano ad affiorare certi particolari piuttosto interessanti.   

Era, forse, per i capelli raccolti dietro la nuca con le forcine, o per la veste ancor alta alla vita; certo che passava del tutto inosservata. Ma, ora che se li era ta­gliati alla maschietta in occasione del rientro del padre dal Venezuela, appariva ben altra cosa!

Gennarino se nera innamorato; e glielo aveva fat­to capire quando, scesa in paese con tutta la famiglia, le si era piazzato vicino non staccandole gli occhi da dosso, mentre seguiva la processione del Santo Patrono sotto il sole di maggio. Ninuccia fingeva di guardare a terra, con fare casto e devoto; ma di tanto in tanto lan­ciava occhiate allindirizzo di Gennarino da mettergli il fuoco nel cuore. E si vedeva che non le era indifferente, se a quelle occhiate assassine univa certi sorrisi com­piaciuti e maliziosi, che lo mandavano in estasi e gli fa­cevano toccare il cielo con le dita.

Di questa cotta improvvisa Gennarino aveva parla­to a Peppino, Mario e Roberto, gli inseparabili amici per i quali non aveva segreti. E poich facevano tutti parte della Filarmonica del paese al pi intraprendente, Peppino, balen subito lidea di portare la serenata alla bella Ninuccia e vedere come si mettessero le cose.

Bench fossimo alla fine degli Anni Venti ed in pie­no Regime, questusanza tanto cara al donizettiano Ernesto (del Don Pasquale) e al rossiniano Conte di Almaviva (de Il Barbiere di Siviglia) era ancora di moda e in genere ben accetta, anche se non si poteva escludere il rischio: nel qual caso ci si esponeva ad unannaffiata notturna o, peggio ancora, al maleodoran­te contenuto di qualche vaso da notte, rovesciato dallarcigno genitore sulla testa del malcapitato menestrel­lo. 

Convinti dalle argomentazioni di Peppino ma con una certa ritrosia da parte di Gennarino i quattro ami­ci si prepararono allavventura: armati di violino, man­dolino, chitarra e banjo, appena annottato si posero sulla via della Rocca, diretti a casa di Ninuccia.

La strada era lunga e buia, ma lansia e la giovi­nezza furono propellenti efficaci; e non mancarono gli spunti per farsi quattro risate, con Gennarino in veste di capro espiatorio: eroe e bersaglio predestinato, se le dov sorbire ancor tutte, anche se la magnificazione delle belt di Ninuccia in fondo in fondo gli riusciva mol­to gradita; un po meno la possibilit che la serenata non incontrasse i favori di don Giovanni: a questo non voleva pensare.

E non si era sbagliato.

Alle prime note della celebre Serenata di Schu­bert in casa Perrone fu tutto un insolito movimento: dai balconi si notarono le sagome di don Giovanni e di don­na Bettina comparire e sparire, mentre Ninuccia e le so­relle erano corse dietro le finestre e indugiavano ad ascoltare incantate.

Gennarino ce la metteva tutta con la voce e col banjo, Peppino sul violino modulava note appassionate, seguito da Roberto col mandolino, men­tre Mario con la chitarra superava se stesso con ispirati virtuosismi e accordi meravigliosi.  

Alle note immortali di Silenzio cantatore, la ce­lebre serenata di Gaetano Lama e di Libero Bovio, vide­ro aprirsi il portone ed apparir don Giovanni, che con fare gioviale invit i giovanotti a salire, dichiarandosi onorato di tanta attenzione.   

*    *    *

Nellentrare Gennarino fece locchietto a Ninuccia, che arross compiaciuta: oh, che bella figliola!

Si sentiva tutto zucchero e miele e, mentre ne ten­tava lapproccio, gli amici cercavano distrarre don Gio­vanni, chiedendogli notizie dei compaesani di Caracas, tra cui alcuni parenti, col emigrati da tempo.

Ma presto dovettero esibire il loro repertorio.

         I pezzi forti appartenevano al Canzoniere Napole­tano: O sole mio, Torna a Surriento, Santa Lucia luntana, Te voglio bbene assaie, Fenesta ca luci­ve e tante altre, con Fili doro, Signorinella, Mattinata, Come le rose inondarono di melodie im­mortali il salone di Casa Perrone.

Don Giovanni non si era mai sentito cos soddisfat­to: quei giovanotti erano proprio simpatici, simpatici e bravi. Di Peppino e Gennarino Del Conte conosceva il padre, noto avvocato del posto, cos di Mario Scarf, gi orfano da alcuni anni.

Ma Roberto?... di chi era fi­glio?   

Roberto non era del paese: carabiniere in servizio presso la locale Stazione dellArma, era dorigine cam­pana e la canzone napoletana se la portava nel sangue, con lallegria e quellaria scanzonata di scugnizzo felice.

Don Giovanni era proprio onorato ch tra tante ragazze del paese lattenzione di quei baldi giovanotti fosse rivolta alle proprie figliole; ma era convinto che la serenata riguardasse la primogenita Rosina, con la qua­le, per, San Giuseppe aveva lavorato dascia e di sega, anche se la povera ragazza faceva di tutto per valoriz­zare quel... poco, che madre natura le aveva concesso. 

 

Peppino e Gennarino, afferrato lequivoco, gli fece­ro subito intendere che non si era sbagliato: Mario era venuto proprio per Rosina. Accadde cos che questi a sua insaputa si trovasse al centro delle attenzioni di don Giovanni, il quale cominci a parlargli di sistema­zione e di famiglia, magnificandogli le virt della figlia, che a sua volta prese a insidiare il malcapitato.

A tavola furono messi luno accanto allaltra e, di tanto in tanto, il piede di Rosina andava a toccare quel­lo di Mario con allusive pressioni. Educatamente, questi cercava di rimaner sulla sua, anche perch non provava alcuna attrazione per la ragazza; ma Peppino accortosi dellarmeggiare consigli lamico di sopportare quelle affettuose attenzioni: non era educato deludere una signorina!   

A riparo da ogni sospetto epperci liberi da sorve­glianza, Gennarino e Ninuccia avevano, intanto, preso a filare damore e daccordo, ed erano tutti felici.

Donna Bettina, da perfetta padrona di casa, cerca­va far del suo meglio per fronteggiare leccezionale ap­petito di quei giovanotti di buona famiglia e tanto sim­patici, che cantavano e suonavano cos bene e che (non si sa mai) potevano diventare dei buoni partiti anche per le altre sue figlie. E, poi, cera Mario, venuto a por­tar la serenata a Rosina, il quale stava per dichiarar­si: quella brava gente, tutta sorrisi e cortesia, non sa­peva pi cosa offrire.

Al momento daccomiatarsi tra calorosi arrivederci e affettuose effusioni, dopo una cena a quanto dir lu­culliana, erano quasi le undici: il vino faceva bravamen­te il suo effetto e per la via canti e suoni continuarono fino in paese.  

Quando vi giunsero, batteva gi mezzanotte.

 *    *    *

In Piazza Mazzini la Trattoria del panciuto Verruca era ancora in... servizio, e di chiudere non si parlava: don Achille Percoco anchegli tornato da poco dal Ve­nezuela e circondato dagli amici teneva, come il soli­to, banco davanti ad un buon bicchiere di vino.

Napoleone cos soprannominato per il suo hobby (la Storia) quella sera lo aveva indotto a parlare di Si­mon Bolivar,[1] lEroe nazionale, e don Achille non si era fatto pregare: aveva preso a magnificarne le gesta, mischiando realt a fantasia (comera gi accaduto, pe­raltro, nella tradizione popolare) e non si decideva a piantarla con la sua parlantina.

Ma, al giungere dei Nostri, lattenzione torn alla vita del posto e latmosfera di leggenda si concentr sui quattro dongiovanni locali: dalle domande si pass ai commenti, con particolare riferimento alle virt culina­rie di donna Bettina e alla cena scroccata.

Fu a questo punto che il Monco se ne usc con un provocatorio: Nonostante il ben di Dio, che ve sie­te mangiato, scommetto che un chilo di spaghetti ve lo fareste ancora...!         

Colto alla sprovvista e senza pensarci troppo, Pep­pino subito aggiunse: Un chilo in quattro!... E che ci facciamo!?... Ci vorrebbero almeno due chili...!

E Roberto, di rinforzo: SՏ per questo, anche tre!.

Tre chili di spaghetti in quattro, dopo una cena da fiaba!... Don Achille aveva seguito con interesse la sor­tita e non pensava pi alle imprese di Simon Bolivar, lEroe del Venezuela; guardava sbalordito quei simpatici spacconi. E, per farsi quattro risate, volle prenderli sulla parola: se avessero mangiato tre chili di spaghetti, avrebbe offerto loro la cena e da bere a tutti i presenti, promossi allistante ad arbitri della scommessa.

In caso non ce lavessero fatta, se la sarebbero dovuta pagare da soli. 

Peppino e compagni, pur di confermare la fama di forchette eccezionali, non si tirarono indietro; anche perch la strada percorsa e le energie consumate al ri­torno avevano messo loro nuovo appetito. Verruca, da parte sua, data lora avrebbe preferito chiudere il locale; onde, per punire tanta impudenza, anzich tre chili, gliene cal quasi quattro. 

Nella trattoria, alluna di notte, fu imbandita la ta­vola della contesa, dove in breve comparvero due enor­mi insalatiere colme di spaghetti fumanti, conditi con dellottimo rag ed abbondante formaggio.  

I nostri amici un po per il tempo trascorso dalla cena precedente, molto per lo sfunno di cui erano ef­fettivamente dotati si misero subito al lavoro, e i pri­mi piatti scomparvero in un baleno. Chi si dava mag­giormente da fare era Roberto il carabiniere, non sap­piamo se per sfunno congenito, o per il rimorso di aver portato la scommessa a tre chili.      

Don Achille, Napoleone e il Monco se la gode­vano di cuore, mentre si erano uniti alla Giuria lAvvo­cato, Beb, Ciccio Picciotto ed altri, accorsi nel locale per non perdersi con lo spasso la bicchierata messa in palio dallAmericano.

A poco a poco la trattoria si era, infatti, affollata, mentre Peppino, Gennarino, Mario e Roberto continua­vano ad armeggiare con gli spaghetti e a mettere a dura prova i propri stomaci, trasformati per loccasione in... Pozzi di San Patrizio. 

Il pi interessante restava sempre Roberto, che con il cucchiaio, brandito con la sinistra, allargava la bocca a mo di divaricatore, mentre con la destra vin­troduceva enormi forchettate di spaghetti fumanti: era proprio uno spettacolo vederlo mangiare con tanta vo­racit e senza scomporsi!

*    *    *   

Ora nella trattoria si faceva un chiasso della malo­ra e si era preso a scommettere su chi mangiasse di pi, con gran soddisfazione di Verruca, che da tanta eu­foria aveva tutto da guadagnare; le richieste di vino erano, infatti, aumentate ed aveva dovuto correre in cantina ad incignare unaltra damigiana per fronteggiar la bisogna.

La prima insalatiera era ormai gi vuotata e la se­conda a met. Frattanto il ritmo mangiatorio era un po rallentato e cominciava ad affiorare la nausea.

  Ora, Verruca si sentiva rimordere la coscienza: la cattiveria posta nel pesar gli spaghetti rappresentava, infatti, una gran carognata! Alla fine si decise e..., fat­tosi coraggio, confess pubblicamente linganno.

Tutti furono a quel punto daccordo: la scom­messa era vinta.

A don Achille non restava che offrire da bere e... pagare!

Sennonch, in fondo allinsalatiera, cera rimasto ancora un buon piatto di spaghetti, condito meglio degli altri per via del sugo ammassato sul fondo. Roberto il carabiniere il pi duro a mollare stava ancora man­giando, e nellapprendere il tiro di Verruca ebbe una reazione affatto imprevista: mettendosi davanti linsalatiera, tra lo stupore di tutti, con aria solenne esclam: Amici, lArma sՏ fatta sempre onore! Ed io mantengo glimpegni! e continu a lavorar di cuc­chiaio e forchetta, finch lultimo spaghetto non scom­parve nella voragine dello stomaco.

Don Achille era fuori di s dallo stupore e poich quei fenomeni non si mostravano sazi ordin anche del salame e del caciocavallo, specialit della zona, mentre qualcuno correva a chiamare il fotografo per immortalar la serata.

Quando Martino comparve, mezzo assonnato, con la sua macchina enorme e la polvere di magnesio per il lampo, i Nostri erano ancora impegnati col fuori pro­gramma e non mostravano alcuna fretta a terminare.

  La scommessa fu, cos, tramandata ai posteri del paese ed ai compaesani di Caracas alle tre di notte, grazie a don Achille lAmericano e a Martino il fotografo.          

       La comitiva si sciolse.     

*    *    *

     Dopo le attenzioni di don Giovanni e di sua figlia Rosina, per il nostro Mario, per, non era ancora finita. Come tutte le sere, lo aspettava Mamma Scarf con una grossa ciotola di latte, necessaria a suo dire per mantenersi in salute. 

        E vai a metterle in testa che non sempre era vero!

Nel tornar verso casa, il solo pensiero della ciotola, alla quale sarebbe stato impossibile sottrarsi, gli dava il voltastomaco. Ma, raccontar della scommessa, sarebbe stato ancor peggio: con i meritati rimbrotti avrebbe volu­to dire olio di ricino, ...e questo non lo sopportava!

Alle tre e passa di notte, Mario venne, cos, a im­molarsi sotto lo sguardo vigile di mamma, che non riu­sciva a spiegarsi tanta ritrosia per il solo alimento natu­rale capace di disintossicar lorganismo.

Ma, stavolta, a rovinarlo furono proprio quegli ulti­mi sorsi, che fecero traboccare col latte anche il resto. Onde Mario si ritrov a non poter evitare nemmeno lo­diato olio di ricino, con lindigestione e la febbre, che lo tennero a letto per tutta la settimana.

N gli amici osavano andarlo a visitare, paventan­do la reazione di donna Assunta, la quale dalla notta­ta del figlio e dalle condizioni, in cui aveva trovato il ga­binetto non aveva tardato a capire come stavano realmente le cose.

*    *    *

Intanto don Giovanni e Rosina aspettavano sem­pre lignaro pretendente, che dopo la serenata non si era pi fatto vivo; mentre Gennarino e Ninuccia ave­vano preso di nascosto a incontrarsi e a volersi un gran bene: a loro conteso, comera, tra Mamma Scarf col suo latte portentoso e Pap Giovanni, che lo voleva sposo a Rosina il povero Mario faceva tanta, ma tanta tenerezza!

Indice

 

 



[1]  Simn Jos Antonio de la Santsima Trinidad Bolvar y Pala­cios de Aguirre, Ponte-Andrade y Blanco, noto come Simn Bol­var (1783/1830), fu un generale, patriota e rivoluzionario vene­zuelano, insignito del titolo onorifico di Libertador (Liberatore) in ragione del suo decisivo contributo all'indipendenza di Bolivia, Colombia, Ecuador, Panama, Per e Venezuela. Fu, inoltre, pre­sidente delle repubbliche di Colombia, Venezuela, Bolivia e Per.