LINGEGNERE

Ritengo che, in Italia, ben pochi siano coloro che non hanno ancora visto il famoso film di Peppino e Tot nella veste di Fratelli Capone[1] , due benestanti terrie­ri: luno, rozzo e sempliciotto tutto dedito a lavorare e ad accumulare danaro , laltro, piuttosto evoluto e scapolo gaudente, cui unica occupazione sgraffigna­re al fratello soldi, da spendere in divertimenti ed alle­gre donnine , impegnati a salvare, con lausilio dellodiato vicino Mezzacapa, il nipote studente dalle grinfie della malafemmina, che si dimostrer, inve­ce, una brava ragazza e unottima mogliettina.

I prota­gonisti della nostra storia anticiparono in certo senso di parecchie decine d'anni i fratelli del film, e si chiama­vano Tommaso e Lodovico, o meglio Masino  e Vicuccio. 

Masino, il primogenito lavoratore instancabile dal carattere mite, tutto intento a coltivare il podere e ad accrescere il benessere della famiglia non aveva avu­to tempo per andare a scuola a studiare, e la sua istru­zione si era fermata s e no alla terza elementare. For­tuna che, invece, era toccata a Vicuccio, con il ginnasio, il liceo, fino allUniversit, la prestigiosa Federico II di Napoli, facolt dingegneria, cosa abbastanza rara per lepoca. 

Di carattere volubile e dal comportamento origina­le, la vita movimentata e le distrazioni avevano fatto s che questi, ad un certo punto, abbandonasse gli studi e per non gravar troppo sui suoi partisse per Milano, ove trovava impiego presso lAzienda delle Tranvie me­neghine. Aveva anche occasione di conoscere e sposare una bella ragazza docente nei licei e di mettere al mondo due figli. Presto, per, era tornato in paese, in seno alla famiglia a conduzione patriarcale, composta dal vecchio zio, da una zia e da una sorella, nubili entrambe, tutte dedite alla casa e alla chiesa.

Il fratello Masino, intanto, si era anchegli sposato, ma viveva per conto suo, e dallunione non erano sortiti eredi. 

Sicch volente o nolente lunico che potesse preoccuparsi a come alleggerire il patrimonio comune era Vicuccio, o meglio, lIngegnere, come tutti avevano preso a chiamarlo.

Lintelligenza, di gran lunga superiore alla media, unita alla facilit di eloquio e alla ricercatezza nel vestire, ne facevano un tipo fine e piacente, tale da colpire favorevolmente chiunque avesse occasione di conoscerlo, considerazione oltremodo importante.

La bont danimo e lassoluta assenza di calcolo in ogni sua azione lo mettevano, poi, a riparo da ripicche e rancori, tanto da fargli perdonare facilmente quella sua innata originalit.                                 

E s che, nel corso della sua vita scombinata tra tiri mancini e geniali trovate lIngegnere ne combin di tutti i colori!

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Erano giunti da poco, trasferiti in paese, il nuovo Pretore e il nuovo Maresciallo comandante la Stazione Carabinieri, i quali, una mattina, si videro recapitare da parte dellIngegnere Landi l invito ad una conferenza sullElettricit; al termine si leggeva ci sarebbero stati vermouth e paste per tutti.

Ben conoscendo Vicuccio e certi di non annoiarsi, i giovani del posto accorsero in massa, assieme ai nuovi arrivati, che ignorando la personalit dellanfitrione avevano ritenuto poco educato non intervenire alla se­rata culturale.

Nellampio e ricco salone di Casa Landi, alla pre­senza di un pubblico numeroso, impreziosito da tali Au­torit, il Nostro pot, cos, dedicarsi a interessanti dis­sertazioni sugli Esperimenti di Galvano e la pila di Vol­ta, e fino al termine la conferenza fil liscia come lolio.

Le difficolt cominciarono quando, esaurito lar­gomento il conferenziere se ne usc, asserendo che in casa sua era stata da poco distaccata una Sezione del Manicomio Provinciale, ed invitava i presenti a visitare i vari reparti: quello Maniaci costituito dalla zia e dalla sorella, che, accanto al fuoco in cucina, alla vista di tanta gente, si schernirono, pregando di lasciarle in pace alle loro faccende e quello Furiosi  costituito dallo Zio Tommaso , il quale, comodamente sprofondato nella sua vecchia poltrona e stanco delle stramberie di Vicuccio, non manc di mandarlo abbondantemente aquel Paese, in maniera cos eclatante, da giustificare in parte le affermazioni del nipote.

La serata fin, poi, quanto mai movimentata, dato che nell invito erano previsti paste e vermouth per tutti: al rifiuto dello zio a scucire le cinquanta lire necessa­rie, volarono i piatti dun pregiato servizio, finch il po­vero vecchio si vide costretto accondiscendere alla ri­chiesta.

Il tutto tra levidente disagio degli ospiti, che, nel­la circostanza, non sapevano proprio come comportarsi in casa altrui. 

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La mania per le conferenze implic ancora che, una mattina, Vicuccio si presentasse presso il Convento Femminile del paese, pregando la Superiora di conce­dergli lAula Magna dellIstituto Magistrale per una con­ferenza di Elettrofisica e ne ricevesse un netto rifiuto.

Per lavare laffronto, non trov, allora, di meglio che introdursi furtivamente nel dormitorio delle Mona­che e collegare i lettini di ferro con un sottilissimo cavo elettrico a bassa tensione, in modo che appena vi poggiavano le mani prendessero un leggera scarica elettrica.                                                                        

Alle incolpevoli Sorelle non rest, cos, che tra­scorrere una notte dinferno a pregare il Signore affin­ch le liberasse dal demonio, che sera impossessato del dormitorio, e stante l ignoranza quasi completa in materia non cՏ da meravigliarsi che scambiassero una scossa elettrica per la presenza del Malefico.                                                  

Comunque, la mattina seguente, come si era in­trodotto, il Nostro si affrett a scollegare i lettini, s che allEsorcista convocato di tutta urgenza non rest che raccogliere, nella circostanza, un inatteso e immeritato successo.

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Agli inizi del Novecento la ferrovia Napoli-Reggio non era stata ancora elettrificata, e i treni venivano trainati dalla gloriosa locomotiva a carbone, mentre la segnaletica era affidata alle vecchie lanterne ad acetile­ne. Il Direttissimo per Reggio Calabria transitava, poi, in piena notte, per cui non essendo prevista alcuna fermata la lanterna della Stazione era perennemente fissa sul segnale di transito, mentre il Capo ed il mano­vale di turno se ne restavano rintanati, a riparo dal freddo, accanto alla vecchia stufa a legna, unica fonte di riscaldamento.

Fu cos che allIngegnere, una notte, balen lidea di andare a ispezionare quel treno, spacciandosi per Ispettore delle ferrovie. Vestito come sempre di scuro e con limmancabile bombetta zitto zitto e senza che nessuno se ne accorgesse Vicuccio gir la lanterna sul rosso, per cui al macchinista non rest che fermare di botto il convoglio, tra limprovviso, assordante cigolare delle ruote e lo sferragliare dei freni: il tempo di salire a bordo e dare al Capotreno lordine di rimettersi in mar­cia, mentre il Capo Stazione e il suo aiutante si affac­ciavano, mezzo assonnati, per rendersi conto a cosa at­tribuire quella sosta fuori programma.

La competenza acquisita durante la permanenza presso le Tranvie del Nord e gli studi dingegneria a suo tempo interrotti erano tali da non far dubitare ai pre­senti sulla validit dell ispezione, e va da s che, alla fermata successiva, qualcuno si premurasse avvisare lArrivo sulla presenza a bordo dellautorevole Perso­naggio. I controlli procedevano, intanto, soddisfacenti, lIspettore aveva lodi e compiacimenti per tutti, mentre a destino si cercava apprestargli la migliore accoglien­za. Ma avendo captato l insolito fermento appena fu nei pressi dellimportante Scalo, questi, con un abile pretesto, pens bene squagliarsela, scendendo dalla parte opposta alla pensilina e dandosela a gambe nellaperta  campagna.

Fermato dalla Polizia e costatato che, ovviamen­te, gli mancava qualche rotella, Vicuccio fu rispedi­to al paese e internato presso la nota casa di Cura per malati di mente in quei di Miano.

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Due simpatiche trovate dellIngegnere, si riferi­scono, poi, proprio al fatto che consapevole del pro­prio stato dinstabilit mentale di tanto in tanto si sot­toponeva di sua spontanea volont a brevi periodi di cura a Miano.

 Si era ai primi ricoveri, e il Nostro non era ancora noto al personale della Clinica; capit, cos, che, al mo­mento di entrarvi, venisse a discussione col fratello, in­caricato daccompagnarlo, e glimponesse ad evitare complicazioni di mettersi a camminare davanti a lui.   

Non trovandoci niente di male, lingenuo Masino con­sent d accontentarlo e, col fratello alle spalle, attende­va in sala daspetto che intervenissero glinfermieri.    

Lo scaltro Vicuccio, invece, aveva bene in mente il suo piano, e appena li vide apparire fece loro cenno col dito che il pazzo era chi stava davanti, col risultato che questi corsero subito ad afferrarlo.                      

Preso alla sprovvista, Masino cominci a gridare che il pazzo non era lui, cercando di svincolarsi dalla stretta; ma, ormai, era fatta! Quel comportamento non faceva che rafforzare la convinzione degli infermieri, i quali non ci pensarono su a portarlo dentro per il solito trattamento a base di se­dativi; Vicuccio, soddisfatto della geniale trovata, saf­frettava a tornarsene a casa con un taxi preso a noleg­gio, col quale si present tutto trionfante nella piazzetta del paese, proprio davanti al Bar Centrale, dove Zio Tommaso stava a fare il solito tressette con gli amici.  

Larrivo di un taxi, a quei tempi, era avvenimento assai raro e non manc limmediato accorrere di curiosi. La meraviglia fu quando ne videro scendere il loro com­paesano, lIngegnere vestito come sempre di scuro e con linseparabile bombetta , che, avvicinandosi allo zio (al limite dellinfarto), gli diceva di pagare lautista e andarsi a prendere Masino, rimasto in manicomio a Miano, al posto suo.

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Laltra volta fu quando, giunti a Napoli a sera inol­trata, Masino e Vicuccio decidevano di pernottare in al­bergo e proseguire per Miano il mattino seguente: tan­to, a quellora, chi gli avrebbe dato retta?                                                  

Masino cerc di prendere, in ogni caso, le sue bra­ve precauzioni e appena in camera chiusisi a chia­ve, and a nasconderla sotto il cuscino insieme al por­tafoglio. Vicuccio, da parte sua, se ne stava buono buo­no e tranquillo, e con fare assente assecondava le vo­lont del fratello: si era spogliato e sembrava sul punto di mettersi a dormire.

In realt, anche questa volta tramava un tiro man­cino. Infatti, appena il fratello, stanco del viaggio, co­minci a ronfare, Vicuccio quatto quatto e senza fare rumore corse a sfilargli chiave e portafoglio, non sen­za avergli accuratamente nascosto gli abiti dismessi; lo svegli, quindi, e lo avvert che stava per tornarsene a casa.   

Immaginarsi la sceneggiata nel pieno della notte: Vicuccio, vestito di tutto punto ed elegante come sem­pre, che scendeva tranquillamente le scale dellalbergo, e Masino in mutande che cercava di fermarlo, gridando che si trattava di suo fratello, un pazzo da accompa­gnare in manicomio.

Ma le apparenze, purtroppo, gli erano tutte contro: lui rozzo, esagitato e svestito, laltro raffinato, calmo e gentile.

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La differenza era tale da non lasciar dubbi su chi fosse il pazzo: Basta guardarci in faccia aveva opposto, peraltro, Vicuccio per accorgervi se possiamo essere fratelli!, rilevando, poi, che quel chiasso non faceva certo onore allalbergo. Egli, un gentiluomo, avrebbe evitato per lavvenire di metterci pi piede! Provvedessero in conseguenza!                                                          

Chiamata la polizia e consegnatole lesaltato, Vi­cuccio aveva, nel frattempo, potuto prendere il treno e presentarsi ancora una volta al povero zio Tommaso, che come sempre fu costretto adoperarsi per rimet­tere ogni cosa al suo posto.

Intanto, col trascorrere degli anni e il raggiungi­mento duna pi cosciente maturit lIngegnere si era alquanto calmato, pur non rinunciando completamente a quella vita scombinata, ma sempre originale e ricca di simpatiche trovate.

La ruota del Tempo aveva continuato a girare, stri­tolando nei suoi ingranaggi uomini e cose. Il paese era molto cambiato: alle pittoresche competizioni, in cui si contrapponeva il Partito dei Professionisti a quello degli Operai (la Sciammereca a la Giacchetta), era so­pravvenuto il Fascismo, col suo Ventennio di esaltazioni e rovine.

Erano passati pure il Secondo conflitto Mondiale, l Occupazione, i Tedeschi, lesercito dei Liberatori, col loro bagaglio di miserie e di progresso. Si erano spenti, frattanto, il vecchio Zio Tommaso e la Zia, mentre lan­ziana Sorella continuava a badare a Vicuccio e, di tanto in tanto, alla Cognata professoressa e ai nipoti del Nord, nelle brevi puntate in paese.                  

Solo Masino se ne continuava a stare per conto suo, perennemente impegnato con la sua campagna inaffi­dabile ed esigente.                                    

Con la Liberazione erano tornati i Partiti, le Lotte politiche e le prime Elezioni: era stata riaperta la Sezio­ne del Partito Socialista, quello originale, che non aveva ancora figliato Scissioni e Surrogati, ed alcuni adepti reputando, nella loro ignoranza, l Iscrizione al Partito come uninvestitura di Pubbliche Funzioni , pretende­vano dal Segretario Politico l autorizzazione a recarsi in Piazza in concorrenza con le Guardie Municipali   per calmierare il Mercato!

 Il nostro Ingegnere costituiva, ormai, per il paese, stravagante e inoffensivo, qual era una specie dI­stituzione, trattato con simpatia e tollerato da tutti, ivi comprese le Forze dellOrdine.

E durante le campagne elettorali non furono poche le volte, in cui Vicuccio, intervenendo dal balcone accanto, controbattesse con arguti e originali rilievi loratore di turno, mettendolo in serio imbarazzo.                             

Ne venivano, allora, proteste e discussioni, con lin­tervento, spesso, anche dei Carabinieri; ma tutto si ri­solveva alla fine in gustose risate e benevoli commenti: chi osava ormai pi infierire contro quellinnocuo e sim­patico Personaggio?...

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Parecchi lustri sono passati dallora, anche Vicuccio lIngegnere riposa finalmente in pace or sono gi mol­ti anni accanto ai suoi cari nellimponente Cimitero del paese natio, mentre le sue geniali e simpatiche trovate rivivono nella nostalgia e nel ricordo del narra­tore impiccione, suo compaesano.

Indice

 

 



[1] Tot, Peppino e la Malafemmina,  Film commedia del 1956, con Tot, Peppino de Filippo, Teddy Reno e Dorian Grey - Regia di Camillo Mastrocinque