LA FOCACCIA

La Seconda Guerra Mondiale volgeva ormai quasi al termine e se anche le terre della Lucania erano ri­maste in gran parte immuni da bombardamenti, lutti e distruzioni connessi disagi e penuria di mezzi si face­vano sentire (eccome!) sulle popolazioni di paesi e pae­sini, molti dei quali sperduti tra le montagne. Dei loro uomini, i pi si trovavano a combattere una guerra vo­luta da altri e sul cui esito non cera ormai alcuna spe­ranza, anche se la propaganda di Partito si ostinava ad occultarne alla gente la piega disastrosa, dovuta non solo ad impreparazione ed a scarso armamento, quanto al tradimento di chi voleva abbattere ad ogni costo il Regime, incurante dei danni e dei lutti che con tale comportamento procurava al Paese. 

Il razionamento, la produzione stagnante e la mancanza di entrate facevano il resto; e molte famiglie potremmo dir quasi tutte furono costrette ricorrere al mercato nero per procurarsi il necessario al proprio sostentamento, quando non potevano ottenerlo in modo legale.

Un chilo di pane, che con la tessera costava se­dici lire, a mercato nero si pagava oltre cento, e in proporzione lo stesso accadeva con il resto, mentre la penuria di denaro portava sempre pi spesso al barat­to. Molti corredi vennero, cos, sacrificati alle neces­sit della pancia e molti patrimoni furono dilapidati, fagocitati dagli approfittatori del momento.

Ha da pass a nuttata! [1] si invoca in una celebre commedia di Eduardo De Filippo, e la nuttata degli italiani per la verit fu molto lunga a passare: ci vollero anni ed anni a riprendersi!    

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E in tale frangente, che incontriamo i protagonisti del racconto, Ciccio, Pompeo e Franco, due fratelli e un cugino, i quali giovani e di buon appetito mal sop­portavano le ristrettezze del momento.                       

Di fame arretrata, ne avevano a iosa e, i due fra­telli (luno di tredici, laltro di undici anni!), erano addi­rittura nel pieno dello sviluppo. Franco il cugino toc­cava, invece, gi quasi i venti; ma, anche per lui, la fame si era sistemata di stanza fissa dentro lo stomaco, come del resto capitava, a quei tempi, a quasi tutti gli italiani. 

Fu cos che, il giorno di Ognissanti, con pochi soldi e alcuni capi di biancheria sacrificati ai rispettivi corredi materni i Nostri si mettessero in cammino, per impervi sentieri tra i monti, decisi a barattarli nelle campagne del paese vicino con qualcosa da mettere sotto i denti. Si erano alzati che la notte era ancora nel cielo, pur se prossima a cedere ai bagliori dellalba: ad oriente cominciavano ad intravedersi rosati chiarori incalzanti e le stelle che alla luna avevano fino allora fatto da splendide damigelle impallidivano a poco a poco per confondersi nella luce del giorno novello.

Come sempre, i contadini si erano dimostrati di­sponibili e comprensivi con quei ragazzi, smunti e gar­bati, giunti di buon mattino tutti infreddoliti, il cui unico torto era quello di avere sempre appetito, i quali senza profittare della loro giovinezza venivano a ba­rattare dignitosamente la propria fame con quello che riuscivano a racimolare presso le rispettive famiglie.

I risultati erano stati, perci, abbastanza proficui, e oltre a qualche litro di olio, due sacchetti di grano, qualche castagna, due belle caciotte, un po di frutta e verdura di stagione quella volta potevano contare anche su tre belle focacce, che  i contadini gli aveva­no generosamente regalato e che si riservavano di con­sumare sulla via del ritorno: tanto allandata aveva­no avuto gi occasione di appuntare lo stomaco con del pane e del latte loro offerto dagli ospiti. Ciccio e Pompeo bravi figli si promettevano, da parte loro, di dividersi una ciambella e di portar laltra alla mam­ma, che, a malincuore, aveva sacrificato un altro len­zuolo del corredo.

Erano gi oltre la met del cammino, quando, im­provvisa-mente, sentirono echeggiar degli spari e un furioso abbaiare di cani, che si avvicinava nella loro di­rezione.

Si ricordarono, cos, che proprio quel giorno si apriva la caccia al cinghiale (di cui, a quel tempo, la zona era ben popolata): i cacciatori che avevano atte­so con ansia quel Primo di Novembre per dare sfogo alla passione come loro si erano alzati di notte e la battuta si trovava in pieno svolgimento

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Per i nostri amici la situazione, a quel punto, si presentava assai complicata: logico sarebbe stato farsi notare gridando, onde evitare di prendersi qualche schioppettata per sbaglio, considerato che fuori dalle pste non doveva esserci, in quel momento, che solo la selvaggina da abbattere. I poveri ragazzi rischia­vano, quindi, di grosso, e non solo perch al cinghiale si sparava a pallettoni e a palla, ma perch potevano es­sere addirittura aggrediti dallo stesso animale, se ferito!

Ma con quanto si portavano appresso, che senza contare la fatica per procurarselo era costato un len­zuolo al corredo di mamma, non appariva consigliabile farsi notare: cera pericolo che venisse sequestrato dal­le guardie del paese, il cui Capo patito dellarte vena­toria si trovava sicuramente tra i cacciatori parteci­panti. Senza contare che provenendo la merce da mercato nero il fatto costituiva anche reato, e per Franco, il pi grande, poteva comportare addirit­tura larresto.

A quel punto, che fare?...

I Nostri erano seriamente perplessi, e tra leven­tualit di rimediare una schioppettata e quella di veder­si sequestrare il prezioso carico (con tutte le conse­guenze connesse) preferirono rischiare: zitti e tre­manti andarono ad acquattarsi in una fratta, in attesa che il pericolo passasse.

Ma la canizza si avvicinava sempre pi, e Vuoi vedere che i cani ci prendono per cinghiali e cercano di stanarci? paventarono tutti e tre, disperati.  E lipo­tesi si dimostr alquanto fondata, atteso che alcuni se­gugi separatisi dal gruppo si fermarono, abbaiando per richiamare lattenzione degli altri. Per fortuna il cin­ghiale era stato felicemente stanato e il grosso della muta quello bene addestrato prefer disinteressarsi di quegli intrusi fuori campo.

I fessacchiotti, invece, continuavano ostinati a puntarli, abbaiando...

Ciccio ebbe, allora, una trovata geniale, anche se penosa ad attuare: estratta dal tascapane la sua focac­cia e sminuzzatola in piccoli pezzi, prese a lanciarli ver­so i ringhiosi assedianti, che acchiappandoli a volo cominciarono a... desistere dallabbaiare, senza, tutta­via, mollare la punta. Visto il buon esito del tentativo, Pompeo e Franco presero, a loro volta, a imitarlo, pur se con... la morte nel cuore.

Tra i cani e i Nostri venne, cos, a formarsi una sorta di tacita intesa: quelli a scodinzolare, ammansiti, in attesa daltri bocconi, e questi a sacrificar le focacce, di cui a stento riuscirono a salvare per s qualche misero­ boccone.

E noto come tra fanciulli ed animali le possibili­t di familiarizzare siano pi accentuate, ma ad ogni buon conto lassedio cess solo quando i segugi si ac­corsero che non cera pi modo di ottener altro cibo.

Solo allora, continuando a scodinzolare e ormai inoffensivi, corsero a unirsi al resto della muta, mentre Ciccio, Pompeo e Franco  potevano, finalmente, ripren­dere il loro cammino, dispiaciuti per aver dovuto immo­lar le focacce, ma lieti dello scampato pericolo, che avrebbe potuto comportare danni ben pi consistenti.

Indice

 

 



[1] - Ha da pass a nuttata dal 3 atto di Napoli milionaria, di Edoardo De Filippo (1945) fa riferimento alla situazione del Paese, distrutto dalla guerra.

         In senso pi generale, si riferisce  ad un periodo difficile che si sta attraversando, per superare il quale necessario avere pazienza ed aspettare: in ogni caso, la frase sicuramente improntata all'ottimismo.