Comera bella la
mia Maratea
La Piazzetta, i bar, la spiaggia, i potentini, i
napoletani e i romani.
un nostalgico racconto delle vacanze
negli anni Settanta
di Renata Perretti
un ricordo
dolce-amaro quello che ho della Maratea della mia adolescenza. Parlo degli anni
70 e 80. Gli anni 90 lhanno vista cambiare lentamente, il nuovo secolo lha
completamente trasformata.
Maratea, la mia
Maratea, come lho sempre pensata.
La piazzetta di
Fiumicello, centro della vita del paese e fulcro della vacanza, lo stabilimento
delle Pergole, uno dei pochi aperti e raggiungibili via terra,
leleganza del Santavenere, i tornei di tennis organizzati dallazienda
turistica, quando cera ancora un campo da tennis e non un ibrido fra tennis e
calcetto, la squadra locale di pallavolo che sfidava i villeggianti, il bar
Sambacco, le serate al night del Santavenere, Le Ginestre, la discoteca
Santojanni, le feste inaccessibili del Conte Rivetti.
Ci conoscevamo
tutti, o quasi, in quegli anni. Ritornare era un appuntamento annuale per
ritrovarci ed osservare come eravamo cambiati in
dodici mesi.
Le giornate
sembravano pi lunghe, a volte interminabili, cera sempre tempo allora, non
occorreva trascorrere lintera giornata, sotto il sole a picco, in spiaggia o
su una barca.
La mattina ci si incontrava in piazzetta o si andava a fare la spesa.
La frutta la
vendeva Diavolo Scatenato, non ho mai conosciuto il suo vero nome. Poteva
essere un po noioso a volte, troppo rumoroso, quasi invadente, ma andavamo da
lui in ogni caso, e la frutta era davvero buona. Arrivava con
il suo furgone decorato, suonando il clacson e urlando nel megafono: Arriva
Diavolo Scatenato! Anguria, pesche belle, uva da
Diavolo Scatenato!
Poi , scomparso,
andato via da unestate allaltra, non sono felice, mi aveva detto un giorno,
soffro di depressione.
A Maratea oggi
rimasto il fratello Biagio, che vende frutta e verdura in Piazza Europa, ma non
pi lo stesso. Anche la frutta non pi la stessa, i sapori cambiati.
Dopo un caff al
Sambacco, nella piazzetta, si decideva cosa fare il resto della giornata e,
soprattutto, dove andare al mare. Le comitive di giovani e adolescenti erano
separate in modo abbastanza netto, anche se in realt ci conoscevamo un po
tutti, almeno di vista se non di nome. Cera il gruppo imponente dei Napoletani
che si incontrava sempre in piazza, ma che si riuniva
vicino al muretto della Chiesa del Bambin Ges, al
lato del bar cerano i Potentini, che spesso si mescolavano al gruppo dei
Romani, seduti ai tavolini del Sambacco. Non importava dove
fosse la casa, se in paese, ad Acquafredda o a Marina, come ci si spostasse: se
accompagnati, in motorino, con lautostop o in macchina; in tutti i casi si
andava a Fiumicello almeno due volte al giorno. Si passava di l anche dopo la
spiaggia, non si rientrava dal mare sempre tardissimo, come la maggior parte
dei villeggianti si sente in dovere di fare oggi: il pomeriggio si facevano i
programmi per la serata, si passava allAzienda Turistica per qualche
informazione, si giocava a tennis, si guardavano i costumi dellAsfodelo o di
Bosone (chi poteva permetterselo gi allora andava da Moda e Mare) o si
compravano, ancora una volta i sandali Pescura del Dr. Scholl: piatti per gli uomini,
con un leggero tacco per donne e ragazze. Erano pesanti quegli zoccoli di
legno, eppure ci si camminava bene, almeno dopo averci fatto labitudine. Non
era ancora esplosa la moda degli infradito, solo qualche ragazzo gi li
portava: erano del tipo di gomma nera, molto pesante.
La comitiva del Porto era pi alternativa e audace: era al Porto che si
fumavano le prime sigarette, o per chi la preferiva, la prima canna ed era l
che si pomiciava, sulla spiaggia del Crivo (incorporata oggi nel porto) o sulle
rocce. Ci si sedeva nascosti tra i cubi di cemento alla fine della passeggiata
(ancora non cerano gli orribili frangiflutti a tre dita che proteggono oggi il
porto) finch giungeva lora di rientrare a casa. Spesso si faceva anche
lalba, dipendeva dallet: chi era pi grande aspettava che sfornassero i cornetti
e il pane caldo iu un piccolo forno di Ondavo, sulla strada del paese, per poi
mangiarseli, nella cornice dai toni rosa-arancio del nuovo giorno.
Il piazzetta, invece, tutti
vedevano tutti, anche gli adulti e i familiari: era come essere in vetrina.
Erano pochi ad
avere una barca in quegli anni e, comunque, barca era una parola grossa. In genere erano gommoni Zodiac,
piccoli motoscafi Boston Whaler o Sessa o vecchi
gozzi, non ancora di moda come oggi. Chi aveva un natante cabinato o una
pilotina era guardato con invidia mista a ammirazione:
il porto era piccolo e non cera la sfilata di yatch veloci e rumorosi che si
vede adesso. Inizialmente cera soltanto un molo,
quello di Franco, meglio conosciuto come Cacciatore. La cooperativa non
esisteva ancora e le poche barche erano tirate in secco sulle spiagge, ancorate
nella baia del Porto, a Marina o ad Acquafredda oppure
legate ad una boa. Il porto era un luogo tranquillo: ci passavano poche
macchine e in genere ci si arrivava con una passeggiata da Fiumicello lungo la
strada o tagliando attraverso la strada comunale nel
parco del Santavenere. Cera soltanto il bar dei Pescatori, dove si riunivano
soprattutto i locali, i villeggianti semmai ci compravano da bere, ma poi
consumavano sulla banchina, sugli scogli o in spiaggia. Ci si andava anche a
fare il bagno di mezzanotte alla spiaggia del Crivo. Era bellissima: una baia
naturale con la montagna che vi cade a picco, degradando solo alla fine, quando
si ricopre di fichi dindia, piante di pittosporo e buganvillee color fucsia.
Lacqua era sempre turchese e trasparente e lasciava intravedere gli scogli
minacciosi, ricoperti di alghe e ricci scuri. Era normale prendersi qualche
spina. Chiunque conosceva il rimedio pi facile per tirarle fuori: olio caldo e
ago disinfettato, poi una pinzetta e buona fortuna!
Inizialmente non
cera accesso da terra alla spiaggia Nera, al Macarro
o Don Nicola (allora da noi chiamata I pini), a Ilicini o alla Secca di Castrocucco.
Si scendeva a
piedi solo a Fiumicello, a Marina, dove gi cerano il Friab
e la spiaggia dellalbergo Marisdea, alla darsena
prima del Porto o alla spiaggia degli Olandesi, ad
Acquafredda. Tutte le altre si raggiungevano solo via mare; non cerano le file
di boe galleggianti a indicare il limite dove ormeggiare: si arrivava fino alla
spiaggia, si tirava su velocemente il motore, per non far toccare lelica, si
scaricavano gli ombrelloni, i teli e le stuoie, i panini e le bibite, che si
portavano subito allombra, sotto le rocce. Ma non
tutti facevano il pic-nic al mare, si tornava spesso a casa a mangiare, verso
le due, per poi riposare al fresco e magari ritornare in acqua pi tardi, nel
pomeriggio inoltrato.
Le spiagge erano
meno affollate: in genere il turismo di Maratea era limitato a coloro che ci
avevano casa o che laffittavano ogni anno per il
periodo estivo. Nessuna ci andava solo per la giornata, anche chi stava a Praja, andava al mare a Praja, chi soggiornava a Scario, Marina di Camerota o
Sapri, preferiva starsene dallaltra parte del golfo. Non cerano tutti gli
stabilimenti di oggi, a parte Le Pergole e pochi altri lidi, le spiagge erano
pubbliche e ci si metteva quindi dove si preferiva: in
riva al mare o sotto le rocce, distesi sui teli, su quei sassolini roventi
dove, dopo le dieci del mattino, diventava impossibile muoversi a piedi nudi.
Non si parlava troppo in quegli anni dei danni del sole: la minaccia di rughe e
tumori, ancora lontana. Si tiravano
fuori, da borse e cestelli, olii di bergamotto, tubetti gialli della Lancaster
e, per i pi audaci, gli imbattibili barattoli rossi di emulsione Eutra: una specie di burro che si scioglieva al sole e che
assicurava unabbronzatura da primato, se si riusciva ad evitare le terribili
ustioni dei primi giorni: altro che spellature, cera da restarsene a casa
immobili cosparsi di Fargan, pelle a brandelli, bolle
su tutto il corpo e, nei casi peggiori, anche la febbre!
Ma alla fine, riuscivamo ad
abbronzarci tutti, chi pi chi meno: i tempi della vacanza erano pi lunghi.
Non offrendo Maratea molte strutture alberghiere, la maggior parte dei
villeggianti aveva casa e, quindi, ci trascorreva da uno a due mesi, spesso
anche tre, visto che le scuole riaprivano il primo di
ottobre.
Mamme, figli e, a
volte, nonni, restavano stanziali, i mariti-padri facevano la spola con la
citt e si fermavano dal venerd alla domenica sera o
al luned mattina. Per Ferragosto le famiglie si ricomponevano e potevano
godersi insieme la Sagra del Pesce organizzata al
Porto.
Calamari, totani,
seppioline e gamberi friggevano nellolio bollente dei padelloni giganti. Ci si
metteva in fila per prendere il cartoccio unto, attenti a non scottarsi le
mani, che ci veniva offerto da alcune donne marateote:
grembiule in vita, fazzoletto annodato in testa per coprire i capelli, maniche
dei vestiti arrotolate. Era forse quella una delle poche occasioni in cui i
villeggianti si mescolavano ai locali. Non era come oggi allora, le divisioni
erano ben definite. Cerano quelli che erano nati a Maratea, che ci abitavano e
ci lavoravano e gli altri che, come me, ci andavano in vacanza: ognuno viveva,
felice o meno, nel proprio mondo.
Di solito la sera
si cenava in casa; non cerano tutti i ristoranti che esistono oggi, buoni o
mediocri che siano.
I pi famosi, ma
anche i pi cari, erano Za Mariuccia, al Porto, dovՏ
tuttora, e la Taverna Rovita, in paese; il primo
rinomato per il pesce, il secondo per le specialit lucane: pasta di casa,
agnello e salumi. Spesso si mangiava la Pizza a Fiumicello, da El Sol, ma, la non si faceva altro che restare l, a bere e
a chiacchierare. Era la passerella dove mostrare i nuovi acquisti della
stagione, il nuovo look, il nuovo fidanzato. Se penso
che oggi un deserto, che il povero Sambacco passa di
gestore in gestore, per cercare di sopravvivere, che lunico ristorante aperto
in piazza resistito poco e cos il negozio di antiquariato e il bar di
Michele, il burbero faceva quasi paura. Eppure i suoi clienti ci tornavano
fedeli, si sedevano ogni giorno per una granita o un gelato ai tavolini in
pendenza, che stavano in piedi soltanto per miracolo.
Oggi, in
piazzetta, lAzienda turistica programma qualche serata ad agosto, per lo pi
presentazioni di libri, niente a che fare con le serate degli anni 80, quando
il negozio Moda e Mare organizzava importanti sfilate e le signore facevano di
tutto per accaparrarsi gli inviti.
Il Santojanni era
ina discoteca bellissima, disposta a terrazze affacciate sul mare: offriva un
ristorante in alto, il bar sotto una tettoia, tante piccole aree
dove sedersi e chiacchierare, rilassarsi su unamaca o ballare quando la
pista centrale era troppo affollata. Cerano le scalette che scendevano in
spiaggia, per chi voleva appartarsi e per coloro che
arrivavano via mare e si infiltravano senza pagare il biglietto
dingresso. Si ballava, si beveva qualcosa, mai troppo in genere, e si parlava.
Musica disco alternata a una serie di lenti da fare abbracciati. Si sentivano
le note dei dischi in vinile per quasi tutta la costa di Maratea. Ma il Santojanni non era il solo locale dove si ballava. Io
ero piccola allora, ma ci sono stata, ho ballato anchio, sulle mattonelle
gialle, lisce e sconnesse, delle Ginestre, la mitica discoteca del Santavenere.
Era pi un night quello, pi da genitori ma per qualche anno ha anche offerto
nottate indimenticabili alle comitive pi giovani di Napoletani, Potentini e
Romani. Sulle note di Barry White e Gloria Gaynor, si
ballava in quel posto speciale, aspettando la mezzanotte per assaggiare gli
spaghetti al pomodoro piccante, offerti su piatti di
plastica con forchettine bianche. Quando arrivava il momento della spaghettata,
la serata era gi al culmine, quindi in discoteca si andava alle dieci o gi di
l. Che cosa civile! Che orari pi umani! Eppure ci si divertiva lo stesso,
anzi, di pi. Era alle Ginestre che avveniva la premiazione del Torneo di
Tennis, un torneo niente male, che ha visto tra i suoi partecipanti anche lo
scrittore Giorgio Bassani. Ci si allenava durante linverno per fronteggiare
chi ci aveva sconfitto lestate passata. Cera il pubblico interessato, cerano
i completini Fila e Ellesse, bianchi e stirati di
fresco. Che fine hanno fatto? Che fine ha fatto quel tennis?
Lo so, sono una
grande nostalgica; per Maratea, almeno, e per quello che era e che
rappresentava, non lo nego, lo sono. Ricordo la mia tristezza a settembre,
quando si avvicinava la fine delle vacanze: gli acquisti invernali alla
boutique Pasquale a Praja a Mare, la chiusura della
casa, i saluti e le promesse di rivedersi anche in inverno. Forse capita a
tutti crescendo, invecchiando, di pensare al passato come a un posto migliore,
di ricordare solo le cose belle, eppure con Maratea io non ho dubbi: era
senzaltro migliore. Un gioiello incastonato nel golfo
lucano, unico sbocco della regione sul mare Tirreno, una perla dove si
mangiavano in spiaggia ostriche e ricci, appena presi dal mare, con un po di
limone; dove la statua del Cristo troneggiava inviolata, senza essere sminuita
dalle costruzioni moderne; dove il mare era sempre un cristallo, incontaminato
da scarichi e barche; dove il cibo aveva altri sapori: lr
focacce, i taralli, i bucconotti, e le torte di noci
di Panza; ma, soprattutto, dove latmosfera era unaltra. Come Maratea,
tanti altri luoghi sono oggi cambiati, cos come lo sono le vacanze e persone,
ma, se ripenso alla localit che era un tempo, non troppo lontano, non posso
non provare rimpianto per quanto si perso, per quanto mutato e per sempre.
Ebbene s, ho nostalgia, ho nostalgia della mia
Maratea.
Renata Perretti – Da IL QUOTIDIANO – Domenica 14 febbraio 2010