Dietro quella nuca, secoli di storia.
Di Francesco I ricordavo vagamente la
costituzione solida, il portamento ben equilibrato nei gesti e nellĠandatura,
misurato nellĠeloquio, cortese e socievole, intelligente in quella testa
rotonda e tenace – quasi capotica –
del mercante abituato a valutare ed a soppesare
crediti ed entrate, rischi e guadagni, ma soprattutto a guardare lontano dove
la bussola ti pu condurre e tu devi tenerla a bada perch non ti trascini
fuori rotta.
Fedele a quanto diceva Shakespeare Òancora
prima che il vento imperversi, devi pensare ai broccati ed
alle mercanzie del tuo vascello, poich la tua fortuna e i tuoi capitali sono
sempre in balia del mare!Ó, Francesco I apparteneva a quella sofferta civilt
del mare e della Repubblica Marinara di Amalfi, simbolo di una sapienza seconda
forse solo a quella degli antichi Fenici, fiorita in virt di quelle teste
solide e rotonde, che gli Inglesi del Seicento poi chiamarono ÒroundheadsÓ – teste rotonde – e che gli
intellettuali Reaganiani degli anni Ottanta avevano elevato al rango
superiore di ÒEggheadsÓ – teste dĠuovo -, i
soli intelletti degni di affiancare il Presidente.
Dietro quel cozzetto sferico
degno di un teorema pitagorico abitava una testa quadrata impiantata su una
base piramidale che doveva costituire la struttura di famiglia, o di dinastia,
o di squadra, o di clan destinata ad essere forza
aggregante verso il vertice.
Cosa che egli fece creando quel piccolo
castro-fortezza che dalla piazzetta di fronte a Monsignor Crispino gener
figli, aggreg affini, parenti e nipoti che sciamarono dal mondo delle
Ferrovie, dei mercati, delle arti e dallĠartigianato fino a creare un ordito di
societ autosufficiente fondata sul coraggio dellĠintraprendere e
dellĠintelligenza fattiva.
Non vantavano ascendenti accademici avendo
acquisito esperienza e mestieri di vita che non si reperivano
nelle biblioteche ma risiedevano nel sangue, creando falangi autodidatte
– ricordiamo il musicista Gambardella – e poi le falangi amalfitane
dei Colavolpe, degli Scoppetta,
Di Lieto, Lucibello, Alfieri, tutti per uno nella costruzione della loro
piramide di casta.
E crearono dinastie, mai compiacendosi
nelle velleit di effimere luminosit personali.
Un mattino di Mezzagosto,
settantacinque anni pi tardi, rivedevo nel vico di Bellisantoro, come in unĠimmagine da caleidoscopio quello
stesso cozzetto, come risorto dalle vicende del
tempo ed affinato da quella distinzione che solo il fluire della storia pu
conferire allĠindividuo, alla creazione rinnovata ed evoluta: era il nipote di
quel Francesco I che nella sua nuca brizzolata sembrava ripercorrere i
tracciati storici del nonno Ciccillo.
Lo proclamai Francesco II, tanto fedelmente
rispecchiava lĠimmagine del nonno. A 100 metri di distanza da quello
che era stato il piccolo nucleo originario di famiglia, si perpetuava il ciclo
di una nuova e identica stagione nel nipote, non mercuriale come il nonno, ma filosofico, una specie di Diogene al sole in
quel budello storico di Bellisantoroche rimane
escluso dai benefici del sole per un buon periodo dellĠinverno.
Lui, Francesco II, coccolato dalla consorte
e dalla figlia addottorata, questĠultima aperta di pi verso il mondo
orientale, si godeva gli agi di una stagione in fase di svolgimento, anche se
un poĠ pigra per lĠatmosfera conventuale che alita nella cinta muraria, dove la
concezione piramidale risalente al vecchio nonno rischia di indebolirsi con la
fuga delle competenze della figlia verso nuovi approdi di lavoro, volgendo le
vele oltre i mari della Repubblica Marinara, e tuttavia circoscrivendo gli
ambiti relazionali di famiglia nel Borgo di S.Francesco, dove prevale anche la componente
Calderano, Biasino in particolare..
Francesco II in quella sua nuca
apparentemente pensosa e riflessiva teneva ricco archivio di pensieri e
ricordi, di attese e speranze, di retrospettive mancate e di progetti in
elaborazione.
Ma si ripropone
ancora come sempre: volitivo, audace nellĠintraprendere, persino ambizioso nel
porsi come figura centrale anche l dove i mezzi e lĠambiente non lo
consentirebbero.
Da ragazzo aveva sempre manifestato
attivismo estroso con attivit creative autonome, artistiche ed
artigianali, che avrebbero poi mostrato un volto particolare ed esclusivo di
una Maratea ancora sconosciuta ai pi, esaltandone tradizione e cultura ancora
agro-pastorale.
Con velleit organizzative improvvisava la Castrocaro locale
con la sua piccola band e si cimentava in reperimenti di siti e riferimenti
storici con lĠanimo di patrizio romano che vuole ripristinare la dignit di Apicio e di Lucullo nei
riti e nella religiosit dellĠantica gastronomia classica.
Anima e corpo, carnalit e spiritualit,
pensiero, filosofia e piacere devono armonizzarsi in un flusso interiore di
etica del benessere, anche ambientando il suo ritrovo in una ideale Maratia Superior accessibile solo agli eletti della sua Eliconaculinaria.
Era una sfida al fast food, alla ristorazione da buffet; la tavola un cenacolo
per intelletti evoluti e per palati raffinati nella tradizione del grande
Artusi, che egli degnamente interpreta e riporta a nuovi e meritati fasti di
gusti, sapori e di una certa mollezza intellettuale.
Per questo Maratea ha un debito di cultura,
di rispetto e di gratitudine verso questo personaggio di Piazza, protagonista
di costume e tutore del prestigio del Paese.
Giovanni
DĠAlascio
Maratea
27 Agosto 2009