MARATEA IERI
UN BEL RACCONTO
di
Già da qualche anno ho rincontrato
la concittadina Maria Carmela Brandi, oggi Docente di Lettere presso l’Istituto
Statale di Istruzione superiore di Guidonia, nel Blog “Mille Piroette” (https://millepiroette.com/) e mi sono
lasciato prendere dai ricordi, nel leggere un suo scritto dal titolo: “ ANCHE LE
DONNE DEL SUD PORTANO I PANTALONI”.
Maria Carmela, con la sua amorevole penna, ha dato
voce alla mamma, protagonista di un racconto che non può non coinvolgerci come meridionali per la sua ambientazione spazio-temporale a
Maratea e per una testimonianza di vita a noi vicina.
Buona lettura!
Maratea 30 gennaio 2025 |
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“Anche Le Donne Del Sud
Portano I Pantaloni”
Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Maria Carmen Brandi.
12 Marzo 2021 by Mille
Piroette
«Quasi tutti i giorni mi capita di percorrere questa strada. Mi
devo distrarre e pensare ad altro, far finta che qui non ci sia stato mai
niente, che da sempre i rovi abbiano padroneggiato in questo luogo! E’, però
più forte di me! Non posso ignorare che proprio qui tutto ha avuto inizio!
La mente poi non posso
controllarla! Ora che sono passati tanti anni e che sono avanti con l’età, i
ricordi prendono il sopravvento!»
Come in un album di fotografie vedo mio marito, che
mi aspetta davanti ai cancelli dello stabilimento, lui con una certa riverenza
e come se dovesse rispettare una chissà quale sacralità, si mette in disparte
in penombra, aspetta che finisca il lavoro di una lunga giornata estenuante.
Mi viene a prendere, non vuole che vada da sola di
notte, al paese parlano, mi dice.
In realtà a quei tempi, questo che ora è un ammasso
di macerie, dove la natura ha preso, per fortuna, il sopravvento come se
volesse nascondere la vergogna con la sua selvaggia bellezza, era considerato
un tempio, non uno qualsiasi, ma quello della fortuna.
La fortuna di un piccolo paesino del Sud.
Ritornano i ricordi: è una sera come tante altre,
l’estate è finita, le giornate sono più corte, io e mio marito siamo a cena.
La televisione è accesa:
“Buonasera signori e signore,
tra le prime notizie che vi proponiamo questa sera, vi è quella della
manifestazione a Milano, in piazza Duomo, del movimento femminista. Numerose
donne hanno sfilato per le vie di Milano con striscioni e cartelloni le cui
scritte gridano ai loro diritti, alla parità di opportunità con gli uomini nel
lavoro, nella famiglia e nella società.”
La tavola è ben apparecchiata, sempre in ordine: i
piatti, i bicchieri, il vino, l’acqua e la minestra. C’è del
formaggio e del salame fatti in casa da mia madre.
Aspetto un bambino, finalmente dopo mesi di attesa
sono rimasta incinta, tutti in famiglia ne hanno esultato con entusiasmo,
soprattutto mia suocera, che non ci sperava più.
Mi chiamo Filomena, ho 23
anni, sono la terza di tredici figli e la prima delle femmine. Sin da
adolescente ho aiutato mamma a tirare su i miei fratelli, a volte non so se
considerarli tali o dei figli miei.
Sono crescita in una grande casa, si trova proprio
all’inizio del paese, da lì si vede tutto il golfo.
Mio padre è impiegato alle poste, è un “guarda
fili”, tutti in paese poi, lo hanno soprannominato
così. Svolge il suo lavoro, però in città, trascorre tutta la settimana fuori,
torna il sabato e riparte la domenica.
Chissà perché, dopo questi rientri, trascorrono
delle settimane e mia madre poi, è di nuovo con il pancione.
Mi piaceva studiare da bambina, ma il lavoro a casa
mi costringeva a continue assenze e purtroppo non ho potuto dedicare molto
tempo allo studio. Avrei voluto fare l’insegnante.
Mamma ci teneva che imparassi
un mestiere, mi diceva:
«Impara l’arte e mettila da parte!»
Così mi ha mandata a
scuola di cucito e rammendo. Ho imparato bene il lavoro di sarta, a me però,
piace di più far rivivere vecchi vestiti, riparando
buchi e sfilacciature delle trame delle stoffe.
La casa in cui abito con mio marito, non è molto
grande, è un regalo di mio suocero, ne ho molta cura e la sento mia da sempre.
Alle pareti della piccola sala da pranzo ho appeso
delle fotografie della mia famiglia, in una sono con mamma, papà e alcuni dei
miei fratelli, lì siamo ancora in sei.
Non ricordo chi l’abbia scattata, questa foto ci
ritrae al mare. Papà teneva a conservare questi momenti, non accadeva spesso
che fossimo tutti insieme.
Trascorrevamo le vacanze nel nostro stesso paese,
che ha anche delle località sulla costa. I miei genitori affittavano una casa
vicino ad una spiaggia, comoda per noi, era raccolta e
mamma poteva controllarci tutti.
Il proprietario è un bel signore corpulento, occhi
azzurri, capelli biondi e dei baffi dello stesso colore, non sapevo
dargli un’età precisa, mi era molto simpatico, la cosa sembrava reciproca.
Al ritorno dal mare papà si fermava spesso a
parlare con lui, raccontava che aveva vissuto in Venezuela, che ancora
viaggiava e aveva degli interessi lì e poi c’erano ancora i suoi figli che
gestivano un ristorante con le loro famiglie a Caracas, uno di loro, ancora
scapolo, sarebbe dovuto tornare da lì a poco.
Mi piaceva ascoltare questi racconti, immaginavo la
nave attraversare l’oceano, l’arrivo nel nuovo continente, dove i paesani
americani aspettavano le notizie dei parenti rimasti
in Italia.
Sapevo che quando qualcuno di loro ritornava nel
luogo di origine era sempre una grande festa! Tutti si mobilitavano e si
riunivano ora a casa di uno ora a casa di un altro.
Quando papà si fermava a parlare con questo
signore, notavo ogni tanto che si affacciava, all’uscio della sua casa, una
donna, portava sempre un foulard, che le copriva la testa. Lei non usciva mai,
questa cosa mi incuriosiva.
Non sapevo ancora che questi sarebbero diventati i
miei suoceri, infatti sposerò qualche tempo dopo
l’ultimo figlio di questo signore, lo scapolo.
Concluse le vacanze si tornava
in paese e si ricominciava con le solite attività.
Gli anni sono passati, di fratelli nel frattempo ne
sono nati altri, ora tutti cresciuti, buona parte sposati.
Pensare a questa foto, oggi mi ha riportato per un
attimo nel passato, continuo a sfogliare i ricordi.
Il conduttore del telegiornale continua con le
notizie sulla politica nazionale e le reazioni al movimento femminista che in
questi ultimi anni 60’ è molto attivo.
Mio marito è intento a concludere
la cena, non sembra troppo interessato alle notizie, sta pensando alla sveglia
dell’indomani mattina, suonerà alle quattro, dovrà andare a ritirare le reti e
poi, concluso con il mare inizierà nella tarda mattinata un breve lavoro come
imbianchino e sarà impegnato tutto il giorno successivo.
Mi rivedo accarezzarmi il pancione, manca poco al parto,
sorrido, penso che ora tocca a me. Ho vito tante volte
mia madre con la stessa mia espressione e non sono
troppo preoccupata, perché mi sono familiari questi momenti.
Trascorre del tempo, nasce una bambina, mi rimetto
presto in piedi, mio marito nel frattempo ha continuato a svolgere l’attività
della pesca e quella saltuaria da imbianchino, ma i soldi sono sempre pochi,
affrontare tutte le spese sta diventando un grande problema e mi sento
impotente.
Decido di confidarmi con mia madre.
«Mamma, mio marito è molto buono attento con me, mi aiuta tanto
in casa con la bambina, ma voglio aiutarlo, mi devo dare da fare e contribuire
con uno stipendio. La bambina ha quasi un anno e tra un po’ non allatterò più,
voglio andare all’ufficio di collocamento, ho sentito che qui in fabbrica,
quella che avevano chiuso! Ti ricordi? Ora ha riaperto, cercano personale».
«Sono contenta della tua decisione, mi sono accorta che da un
po’ di tempo sei preoccupata e ti vedo in affanno, ti accompagno volentieri dal
“collocatore”, ci darà sicuramente qualche consiglio su come preparare la
lettera di presentazione. Avremo però, un problema da risolvere: tuo padre, lo
sai che non è d’accordo che voi ragazze andiate a lavorare e che se avete
deciso di sposarvi, deve badare a voi vostro marito, proprio come ha fatto lui
da sempre con me. Dice! Altrimenti, pensa che sarebbe stato meglio che foste
rimaste a casa!»
«Papà ora non ha diritti su di me! Sono sposata! Magari potrebbe
dire qualcosa mio marito, ma sono determinata, voglio lavorare e rendermi anche
indipendente! Avevo in mente queste idee da diverso tempo, poi ne ho avuto conferma in questi giorni. Al telegiornale non fanno
altro che parlare delle femministe e dei diritti delle donne. Ma riflettevo! Queste donne del Nord,
non sanno che noi qui al Sud ci comportiamo come gli uomini da sempre! Tu ne
sei l’esempio, hai condotto la nostra famiglia proprio come un uomo, perché
papà non era mai in casa. Ti sei data da fare! È vero non hai un lavoro che ti
dia uno stipendio, ma vendi i prodotti che fai in
casa. Ti sei improvvisata ristoratrice, quando gli operai che stavano
costruendo la strada, che passa sotto casa, ti hanno chiesto di preparare un
piatto caldo per loro, in cambio di pochi spiccioli. Io voglio seguire il tuo
esempio!»
Dopo qualche giorno, nonostante mio padre si fosse
opposto seriamente alla mia decisione, io e mia madre andiamo all’ufficio di
collocamento.
Il “Collocatore” ci accoglie nel suo ufficio e mi incoraggia a scrivere la lettera di presentazione, mi dà
le indicazioni per consegnarla alla portineria della novella fabbrica.
Sono soddisfatta della mia decisione, perché sento
che la lettera verrà accolta, e ne sono ancora più
convinta, dopo aver ascoltato la storia dello stabilimento, raccontata
dall’uomo.
Un industriale laniero del Nord
Italia, il Conte, lo chiamano così in paese, perché è un vero nobile,
seguendo la tradizione della sua famiglia, che sin dagli anni ’50 si era
dedicata al settore tessile, ha deciso di trasferire i propri interessi nel
nostro sperduto paesino del Sud, spinto dai contributi statali, offerti dalla
famosa Cassa del Mezzogiorno.
Avevo già sentito parlare di questa “Cassa” in
famiglia, papà aveva la tessera della DC e così ogni tanto discuteva di
politica con mamma.
Questo Conte, continua a raccontare l’impiegato
dell’Ufficio di Collocamento, è un vero benefattore, perché quando il settore
laniero è entrato in crisi, per continuare a dare un’opportunità all’economia
del nostro piccolo centro, ha ceduto lo stabilimento ad
un altro industriale, che fabbrica vestiti da uomo e ha sentito dire che sono
arrivate molte commesse, c’è tanto lavoro e ce ne sarà nel futuro.
Si vocifera, poi in paese che dei signori eleganti
e distinti, impiegati della fabbrica, in questi giorni passino per le case, per
cercare giovani donne che sappiano cucire, stirare, scrivere e fare di conto,
promettendo uno stipendio fisso al mese: il salario!
Mio marito non si oppone alla mia decisione, anzi
mi sostiene, dicendo che se fosse stato necessario, avrebbe badato alla bambina
insieme alla mamma. Mia suocera!
Mi tranquillizza, perché non voglio lasciare la mia
piccola, ma del resto sono abituata anche a questo, quante volte mia madre
lasciava i miei fratelli neonati a me o alla balia di turno, per lavorare.
Lei fa tutto in casa dal
pane ai dolci, la pasta, cura gli animali da cortile, ne abbiamo tanti, questi
servono al nostro sostentamento. Mamma non compra niente,
solo il mangime per le bestie e la farina.
La bambina sta crescendo bene, quando sono in fabbrica sta con il padre e i nonni. È serena.
Ho iniziato a lavorare, anche se è faticoso. Sto
molte ore in piedi, ma sopporto il sacrificio. Con il primo stipendio ho
comprato dei vestitini per la mia piccola e mio marito ha dei progetti per la
casa, vorrebbe ricavare due stanze in più. Ha detto, per un altro figlio
eventualmente.
Ora è più sereno perché si dedica soltanto alla
pesca e alla figlia, se poi arriva qualche ingaggio per biancheggiare un
appartamento lo accetta, ma senza troppo affanno, ora io porto (lo stipendio) i
pantaloni a casa e ne sono felice.
Adoro il mio lavoro, sono addetta alla fase finale
di lavorazione e confezionamento dei capi di abbigliamento, spesso mi prolungo
oltre l’orario per gli straordinari, sono pagati bene e ci servono dei soldi in
più. La bambina ha ormai tre anni e sto aspettando un altro figlio. Ho tante
amiche con le quali ho un buon rapporto, spesso qualcuna di loro si ferma a
mangiare con me a pausa pranzo, non abito molto lontano dalla fabbrica.
Accarezzo questi ricordi, perché è stato un periodo
molto felice per me e per la mia famiglia e anche per tutto il territorio
circostante al mio paese.
La fabbrica ha rappresentato una speranza anche per
i paesi vicini per molti anni.
Purtroppo, proprio come una sorta di eutanasia,
così si dice quando sai che è giunta la fine, ma non vuoi soffrire e chiedi che
ti somministrino un medicinale che ti addormenti dolcemente, così alla fabbrica
è accaduta la stessa cosa.
I fondi della Cassa del mezzogiorno sono finiti, le
commesse si sono sempre più esaurite, e tutti i sogni degli operai si sono
infranti, ma senza che ne fossero pienamente coscienti.
Dopo alcuni anni di cassaintegrazione, molti
colleghi di lavoro si sono licenziati e hanno avuto una buona liquidazione. Ci
hanno provato anche con me, mi hanno offerto cifre esorbitanti pur di ottenere
il mio licenziamento.
Ma gli ho gridato in faccia:
«Come posso vendere i miei sogni, le mie speranze, la mia
felicità e i miei ricordi di giovane donna, che si è emancipata, grazie al
coraggio e all’ottimismo di uomini che hanno creduto in noi donne del Sud. Ci
hanno dato un sogno e voi oggi volete comprarlo con gli interessi. No! Resto
aggrappata gelosamente alla mia vita passata!»
Ora sono in pensione e ancora passo e ripasso davanti a questo posto, osservo i cespugli e le sterpi che avvolgono gelosamente i muri decadenti della fabbrica che rappresentano miei sogni passati, i rovi invece sono le mie braccia che li coprono con avidità".