ARTE ED ARTISTI

 di Emanuele Labanchi

Anche perché coinvolto in recente dibattito locale sul tema, la mia curiosità è stata attratta da “La Merda d’artista”, opera d’arte di Piero Manzoni, meritevole di qualche riflessione.

Ricordo di aver appreso tra i banchi dell’antica e prestigiosa Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Napoli, poi intitolata a “Federico II”, che Celso, nel secondo secolo dopo Cristo, aveva definito il Diritto come “l’arte di ciò che è buono ed equo” ( nella sua lingua, “Ius est ars boni ed aequi”). Dunque, in qualche modo e certamente solo in senso lato anch’io, per essermi da allora poi sempre dedicato allo studio del Diritto ed alla sua applicazione nella vita pratica, sono un artista con i ricordi scolastici dei testi di Storia dell’arte del Liceo classico. Li conservo ancora questi libri nel mio archivio e ad essi si sono aggiunti via via quelli dei miei figli fino all’ultimo, ora studente presso il Liceo artistico di Maratea.

Il giurista romano aveva inteso esprimere l’aspirazione del Diritto (“Ius”) verso valori morali ed etici e l’importanza della morale nel Diritto, espressa anche in locuzioni di altri giuristi, tra le quali rimane famosa quella delle tre Regole di Ulpiano: “Honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere”, che troneggia sul Palazzo di Giustizia di Milano. Valori morali ed etici, nella storia dopo Cristo, costituiscono e devono costituire in tutti i campi ed in tutte le espressioni umane una sorta di stella polare o, se preferite, una sorta di faro per i naviganti. E tra questi valori non vi sono di certo la fama personale a tutti costi o, peggio ancora, il danaro, pur sempre pronto a prendere, in ogni tempo ed in ogni luogo, il sopravvento ed a proporsi come tale a guida dei comportamenti umani.

Ebbene, è comprensibile che anche il mondo dell’arte e degli artisti abbia subito o subisca le tentazioni del consumismo capitalistico tanto da generare poi in qualcuno una estrema forma di ripulsa, come espressa nella cennata opera d’arte di Piero Manzoni, nota come “MERDA D’ARTISTA”, annoverata da molti come la più grande e famosa opera d’arte del ‘900 italiano ed indicata addirittura da Vittorio Sgarbi come “la migliore opera d’arte mai vista nella storia dell’uomo”.

 Di che si tratta? In breve, il Manzoni il 21 maggio 1961 sigillò le proprie feci (qualcuno ha però affermato che si trattava solo di gesso) in 90 barattoli di latta, identici a quelli per la carne in scatola, ai quali applicò un’etichetta, tradotta in varie lingue, con la scritta “Merda d’artista - Contenuto netto gr. 30- Conservata al naturale- Prodotta ed inscatolata nel maggio 1961”. Sulla parte superiore del barattolo è apposto un numero progressivo da 1 a 90 insieme alla firma dell’artista. Il Manzoni, da non confondersi con il ben più noto Alessandro, mise a questi barattoli il prezzo corrispondente per 30 grammi di oro, alludendo al valore dell’artista che, grazie ai meccanismi commerciali della società dei consumi, poteva vendere al valore dell’oro una parte di se stesso.

Attualmente i barattoli sono conservati in diverse collezioni d’arte in tutto il mondo e, ad esempio, il barattolo 80 è esposto nel Museo del Novecento di Milano mentre il barattolo numero 12 è conservato a Napoli nel Museo d’arte contemporanea Donnaregina (Madre). Il valore di ciascun barattolo è stimato intorno ai 70.000 euro ed è destinato ad aumentare. Si pensi poi che a Milano un collezionista privato europeo si è aggiudicato all’asta l’esemplare numero 18 a ben 124.000 euro.

In realtà, Piero Manzoni intendeva criticare la produzione di massa ed il consumismo che avevano cambiato la società italiana dopo la seconda guerra mondiale e si soffermò sulla figura dell’artista, tema centrale della sua ricerca. Con una tale opera, così provocatoria, egli voleva esprimere la sua “protesta” per denunciare e contrastare, a suo modo, le assurdità artistiche: qualsiasi prodotto veniva, infatti, premiato e considerato arte non per il valore intrinseco, la capacità dell’artista o ciò che suscitava, ma solo per la notorietà che l’artista era riuscito in tutto i modi, anche autoreferenziali, poco leciti o corretti, a guadagnarsi, magari facendosi “imprenditore” di se stesso, magnificando direttamente o indirettamente la sua arte e vedendo in essa un mezzo per eternarsi a tutti i costi.

La critica, superato il primo momento del tutto scandalistico, ha poi percorso varie strade per suggerire diverse letture simboliche dell’opera, tra le quali le seguenti:

-l’idea che un artista più o meno affermato troverebbe mercato e consenso per qualsiasi sua opera, anche per la più scadente e banale

-le caratteristiche del mercato dell’arte moderna o contemporanea in quanto pronto ad accettare letteralmente della “merda”, purchè in edizione numerata e garantita nella sua autenticità ed esclusività dall’autore e da un Notaio.

Naturalmente, dopo questo “approfondimento” e nel comprendere la protesta del Manzoni (Piero), valida ieri ed ancora ai nostri giorni dominati da profonda crisi economica e di valori, io preferisco tornare, comunque, ai miei impolverati libri di storia dell’arte e viaggiare con essi in compagnia dell’arte. Naturalmente mi riferisco a quella vera e “robusta”, che sfida il tempo e rimane “eterna”, facendo giustizia di ogni altra passeggera e contingente se non, a volte, sua miserevole espressione, figlia di artisti maestri… di autoreferenzialità anche in momenti in cui questa non può che essere assolutamente inopportuna se non sconveniente.

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