di
Emanuele Labanchi
Sono sicuro che mia zia, Letizia Labanchi, recentemente
scomparsa, mi perdoner se, mosso dal vivo interesse per un suo articolo
pubblicato sulla Rivista Parallelo
LAutrice si riferiva al suo primo anno di insegnamento
(1940-41) e raccontava un episodio legato al suo ruolo di educatrice ed al suo
servizio durato poi 43 anni. Si tratta, a mio parere, di uno scritto che merita
di uscire dallarchivio per essere riproposto con
riferimento alla Scuola di ogni tempo, anche il nostro.
Titolo a parte, ne riporto di seguito, fedelmente e senza alcun
commento, il testo:
"Certe notizie diffuse dalla televisione mi sembrano
esagerate, forse inventate, incredibili!
Il mondo della Scuola divenuto addirittura il teatro di avvenimenti di ogni genere: violenze, ribellioni,
disordini vari. Addirittura un genitore che, pi incosciente del figlio,
picchia il Preside perch questi ardisce chiedere il rispetto delle leggi.
Son le leggi...! (d'Italia)...cos
rotte? verrebbe da chiedersi con Catone, il custode
del Purgatorio dantesco. Sento spesso parlare di insegnanti
che, nauseati, escono prematuramente dal servizio in cui sono entrati con
entusiasmo. Possibile?
Io ne sono uscita dopo 43 anni con tanto rimpianto.
Ecco, a questo punto, affiorare nella mente ricordi
lontani...belli... episodi avvenuti tanti anni fa, testimoni di una vita
scolastica in cui i rapporti fra insegnanti ed alunni erano il normale rapporto
tra chi deve insegnare ed educare e chi chiede di
imparare. Ecco, mi rivedo davanti il mio primo anno d'insegnamento: 1940-41.
Una classe femminile in un Istituto
Parificato, ragazze di II Magistrale inferiore (pressappoco II Media), primi
anni di guerra.
Mi era stata affidata la cattedra di Lettere (italiano, latino,
storia e geografia).
L'Antologia italiana portava solo brani riguardanti battaglie,
eroismi, lutti del passato e poesie come Veglia di
Sentinelle, Se devi scrivere alla mia casa...,
In pi c'erano le battaglie dell'Iliade.
Non ne potevo pi. Allora pensai di offrire alle mie piccole
allieve qualcosa di arioso e portai in classe L'Ulivo di Pascoli.
Avrei dettato ad uno ad uno le tre
parti di cui consta il poemetto, e dettai la prima parte.
Il giorno in cui le alunne avrebbero portato a memoria col
commento adeguato la poesia, trovai, seduto al mio posto prima che io entrassi,
l'Ispettore che veniva annualmente a controllare l'andamento della Scuola.
Chiese quali materie insegnavo, che lezione era in programma per
quel giorno, ed io risposi che le alunne sarebbero
stare interrogate su una poesia quella da me dettata, ecc. ecc.
Mi disse subito che non era consigliabile perdere del tempo a
dettare qualcosa, quando c'era un'antologia pronta. Io dissi che non si perdeva
molto tempo, e poi nell'antologia c'erano solo poesie affliggenti, con morti
che "dormivano con tante carni di madri accanto" e morti che venivano
per Natale e domandavano "Perch sorellina, quel nastro nero tra i
capelli"?
Insomma avevo voluto far respirare e respirare
anch'io un po'.
Egli allora mi obiett che c'era un altro pericolo che le alunne
non avessero scritto bene o non avessero portato, tutte, il
quaderno con la poesia loro dettata.
Io mi sentii poco sicura: non mi ero mai preoccupata fino a quel
giorno di chiedere se tutte avessero il loro quaderno, e chiesi, non senza
intimo tremore, se avessero tutte, davanti, la poesia.
Le alunne fino a quel momento avevano seguito la conversazione
in silenzio, composte e tranquille, ma alla mia domanda risposero in coro
mostrando i loro quaderni: S, eccola!
Sollevata, aspettavo altre obiezioni, o che l'Ispettore
chiamasse qualcuna per interrogarla, quando lo vidi alzarsi ed andare verso la
porta, senza parlare.
Non capivo perch: sarebbe tornato?
Dopo un po' di attesa capimmo che aveva terminato la visita ed
era andato via per fare la sua relazione.
Un coro di protesta dalle piccole voci:
Che maleducato! Non ha nemmeno salutato!
Le feci tacere, e quando fui ben sicura che egli non sarebbe
tornato, dissi: Brave! Meno male che avevate tutte il
quaderno...!
Mi rispose una risata birichina e fui invitata a controllare i
quaderni.
Allibii! Una aveva sollevato il quaderno di francese, un'altra
quello di matematica, di italiano, con la poesia ce
n'erano pochi.
Ma tutte sapevano a memoria la poesia, tutte furono pronte a
scrivere la seconda parte.
Quando fossero state dettate tutte e tre le parti, le avrebbero
ricopiate in bella.
E se colui avesse voluto vedere coi
propri occhi...? Ero ancora un po' trepidante ma divertita, e piena di
ammirazione per quelle ragazze che erano state cos solidali con la loro
professoressa.
Le ricordo ancora: alcune con il visetto paffuto, altre sempre
trafficanti sotto il banco per cercare la penna o il libro, alcune con
l'espressione preoccupata di chi teme di essere interrogata, altre serie e
composte come piccole donne consapevoli del loro dovere.
Una di esse, ormai nonna, vive a
Maratea, e riesce ad incontrarmi qualche volta, seria e dolce come era da
adolescente. Di altre sento qualche volta la voce per telefono quando si
ricordano di darmi gli auguri a Natale.
Di molte non ho avuto pi notizie. Ma
sono sicura che nel loro cuore c' lo stesso affettuoso ricordo che serba il
mio di quel periodo.
Il Preside, finita la visita ispettiva, mi chiam in Presidenza
per dirmi che l'Ispettore aveva deplorato il fatto
che, nel momento in cui
Forse il mio gesto poteva essere interpretato come un
tradimento, un sabotaggio, quando tanti giovani erano impegnati nel servizio
militare? E una pace opera di giustizia.
Ma anch'io avevo due fratelli sotto le armi e vivevo la terribile
realt della guerra.
Solo allora mi resi conto di aver inconsciamente seguito
l'impulso del cuore che desidera la pace.
Un desiderio che non riesce a soffocare nessuna propaganda di
violenza e di odio per quanto ammantata di eroismo e
di gloria.