6 . Sette domande semplici…
a.
A che punto
è, del suo iter di approvazione, il Piano Regolatore Generale?
b.
In sua
attesa, nelle more, cosa è successo, cosa continua a succedere?
c.
Quanti sono
i nuovi vani costruiti nel frattempo, negli ultimi trent’anni, sul
territorio del Comune di Maratea? Quante le autorizzazione a edificare
concesse?
d.
Dei vani
costruiti, quanti sono quelli fuori norma, gli abusivi condonati, quelli ancora
parzialmente o del tutto abusivi?
e.
A quanto
ammontano annualmente, nell’ultimo trentennio, gli oneri di fabbricazione
incassati dal Comune? Quali le opere di urbanizzazione realizzate? A che punto
sono depuratore e sistema fognario pubblico?
f.
L’istituzione
dell’Area Marina Protetta può essere decisione avulsa e separata
dal tipo di trasformazioni di cui è da tempo oggetto il territorio di
Maratea?
g.
E, visto che
in un sistema sempre integrato e più globalizzato l’idea che un
territorio possa immaginare il proprio futuro in chiave autarchica è un
pensiero naif, esistono ipotesi o linee guida di sviluppo complessivo
dell’intero territorio, esiste (con i Comuni dell’area interna,
quelli contigui che si affacciano sul Golfo, con le Province e le Regioni
interessate) un confronto, una consultazione, una concertazione, un accordo di
massima per lo sviluppo coordinato dell’intera area? Si tiene
positivamente conto che siamo nel Mediterraneo e interagiamo con l’Africa
e l’Europa?
A risposta delle domande poste con
una insistenza al limite della denuncia per molestia, mi arriva finalmente un
documento, il Piano Strutturale Comunale, sui contenuti del quale azzardo di
seguito qualche osservazione.
…per interrogare gli amministratori sui
“cambiamenti nel frattempo intercorsi”.
Questa, riportata
nel titoletto sopra, buttata lì con la tipica nonchalance asettica del
linguaggio tecnico, è l’espressione che leggendo il Piano
Strutturale Comunale più mi ha colpito. L’arco temporale dei
“cambiamenti nel frattempo
intercorsi” va dal 1968 ad oggi. E la parola chiave con cui nel 2006,
anno di redazione del suddetto documento, viene caratterizzata la perennemente
sospesa e incompiuta strumentazione urbanistica di Maratea è: obsolescenza. Perché?
Perché essa strumentazione urbanistica, nel suo impianto fondamentale
che risale al 1968, trasformato in Piano Regolatore Generale approvato nel
1976, bocciato nel
a.
saturazione
delle offerte di suoli per edilizia residenziale (95%);
b.
scarsissima
realizzazione delle previsioni di aree produttive (unica realizzata è
stata infatti l’unità produttiva alla Colla, oggi abbandonata);
c.
scarsissima realizzazione
delle zone classificate come alberghiere (7%: in compenso però quelle
già esistenti dagli anni 70 sono state pressocché tutte ampliate)
Per fare un solo
esempio dell’obsolescenza denunciata, a Maratea gli standard in uso per i
parcheggi risalgono ancora al 1968 - come se da allora il traffico
automobilistico fosse rimasto congelato…
Sempre leggendo il
documento, ciò che si evidenzia per Acquafredda è la
necessità di “irrorare il territorio con quote di edilizia privata
e pubblica, e con luoghi di aggregazione” (sublime, quell’
”irrorare”, vero?). Sempre ad Acquafredda è auspicata la
realizzazione di infrastrutture viarie non meglio specificate (forse la
famigerata sotterranea Variante alla Statale?) e un utilizzo delle attrezzature
sportive (i già esistenti due campi di calcetto e i tre da tennis) al
fine di offrire ospitalità ad atleti e giovani “specialmente in
periodi di bassa stagione turistica”.
Per Castrocucco si
dice un no deciso all’ipotesi di costruzione di un porto e
all’insediamento alberghiero collinare, e invece un sì alla
realizzazione di un moderno impianto di golf. Tra le brutture da risolvere o
eliminare, al primo punto figurano i tornanti sul Monte San Biagio, seguiti a
ruota dall’interramento delle linee elettriche di alta tensione (FF.SS.).
Viene inoltre lodevolmente auspicato il recupero dei centri storici. Il
passaggio concettuale forte è quello che suddivide e raccoglie in gruppi
le frazioni secondo un disegno che intende dare a Maratea un “assetto
policentrico”. Quindi, Santa Caterina, Massa e Brefaro sono raggruppati
in un Polo della Convivialità e del Benessere; Acquafredda e Cersuta nel
Polo del Mare; Maratea, Stazione, Fiumicello e Porto configurano il Polo
Centrale Integrato del sistema di mobilità, con al suo interno le sedi
istituzionali e le strutture dedicate all’assistenza, alla formazione,
alla comunicazione e al commercio. E’ infine auspicata la realizzazione
di una Metropolitana costiera tra Sapri e Scalea che utilizzi il percorso della
linea FS, e un collegamento funicolare e/o su gomme tra Porto, Fiumicello,
Questi i punti
rilevanti del documento. Il quale però, non essendo stati compiuti i
passaggi istituzionali per l’adozione di tutti gli strumenti previsti,
non è oggi ancora in vigore. Insomma, prima ancora di pronunciarsi su
quanto sopra riassunto, va rimarcato che finora, grazie alle more, ai rinvii,
alle sospensioni, all’abusivismo e ai condoni, non è che il
territorio di Maratea sia rimasto immobile in attesa che leggi e regolamenti
indicassero finalmente profilo, entità e limiti del fare possibile,
avendo anzi tranquillamente e collettivamente proceduto, nottetempo e alla luce
del sole, ad attuare, dal vivo e dal basso, uno spontaneo, pragmatico e
concreto Piano Generale di Costruzione . Esso potrebbe anche essere riassunto
con una cifra probabilmente approssimativa per difetto: dagli anni Sessanta ad
oggi a Maratea è stata edificata, extra
legem o in suo difetto e carenza, una volumetria di oltre 100.000 mc.
Certo, così hanno fatto dovunque, in ogni parte d’Italia, tutte e
tutti, e anche di (molto) peggio: ma ciò non modifica i fatti e il
giudizio di una virgola. E’ come se i sette nani la mattina avessero per
quarant’anni finto di uscire di casa per andare a lavorare, ma poi, rientrati
di soppiatto e approfittando del sonno profondo di Biancaneve (o con la sua
maliziosa complicità?), ne avessero nel tempo modificato fattezze e
tratti. Non so perché, forse esagero, ma a me la cosa fa venire in mente
quel padre-padrone austriaco scoperto dopo che per anni aveva segregato la
figlia in un bunker sotterraneo abusandone e facendole fare perfino figli. Ma
al di là della nefandezza del fatto in sé, e della
complicità più o meno consapevole tra vittima e carnefice,
possibile che intorno nessuno se ne sia accorto dando l’allarme?
Comunque, il
risultato è stato una sorta di monocultura centrata su una costante e
generalizzata edificazione di seconde e terze case. Come se in migliaia si
fossero riservati per lo spettacolo una poltrona in prima fila. E poi non si
fossero di fatto presentati, impedendo così ad altri di goderne. Ma
possono una economia e un territorio costruire un proprio solido avvenire su un
simile meccanismo sterile? E che cosa tiene oggi insieme il “sistema sociale”
del luogo se non l’automatismo di una edificazione continua di case
destinate a restare in gran parte vuote? Una società che invece di fare
figli, produrre e predisporre cibo buono e organizzare ospitale
convivialità, occasioni di cultura e idee e iniziative di qualità,
costruisce case destinate a restare poco utilizzate o vuote, è una
società tenuta in vita da una coazione sterile. (E perché questo
sistema si regga, non è anche necessario che la circolazione di questa
elementare verità sia rimossa come sommamente indesiderabile?) Oltre i
confini di Maratea, allargando lo sguardo all’intero Paese, gli esperti
dicono che in Italia oggi servirebbero seicentomila alloggi messi in affitto a
prezzo onesto e contenuto per le esigenze delle nuove famiglie native e immigrate.
Al contrario, milioni di nuove case costruite, non solo non sono destinate a
rendere la vita più sana, leggera e allegra, ma delegate alla funzione
di salvadanaio per la crescita all’infinito del valore del denaro in esse
investito. Così, la vita, invece di migliorare grazie al servizio reso
da una accessibile abitabilità, peggiora perché al servizio della
fatica, della privazione, dell’alienazione che la logica della
speculazione monetaria comporta. Un bisogno fondamentale di benessere e
convivialità è stato così stravolto e posto al servizio di
un meccanismo di pura avidità, diventando uno degli ingredienti primari
del collasso economico-finanziario che oggi rischia di travolgerci tutti.
“Secondo i dati Istat, negli
ultimi 15 anni l’Italia ha cementificato il 17% del proprio territorio
(una estensione equivalente a Lazio e Abruzzo messe insieme). L’Italia ha
costruito 5 volte più di Francia e Germania. In testa alla
cementificazione ci sono 5 Regioni: Liguria, Calabria, Emilia Romagna, Sardegna,
tutte Regioni guidate dal centro-sinistra. In Sardegna, nel Piano paesaggistico
regionale varato nel 2006, si pone divieto alla costruzione di nuovi villaggi
turistici e a seconde case utilizzate un mese all’anno. Negli ultimi
quindici anni in Italia abbiamo confuso lo sviluppo con i metri cubi, con il
costruire case a tutti i costi. Abbiamo pensato che il territorio non fosse un
bene che abbiamo il dovere di conservare per le future generazioni, ma un
qualcosa di infinito, a nostra esclusiva disposizione. La sinistra ha il dovere
di ripensare, prima che sia troppo tardi, il valore della tutela ambientale e
del governo del territorio”. (Renato Soru, ex governatore della Regione
Sardegna, intervistato da Fabio Fazio nella trasmissione Che tempo fa del 7.12.2008).