7. Nottetempo, con il favore delle tenebre

Qui è stata incubata e si è robustamente sviluppata una mentalità del costruire disposta a superare ogni limite. Forse che qualcuno ha esplicitamente teorizzato che non ci dovesse essere alcun limite? Beninteso no, tutto è avvenuto senza pubblica discussione, senza parametri, criteri, linee progettuali, vincoli e discipline. E’ progressivamente passato un messaggio di una potenza dirompente: si può fare. Sì, è vero, è discutibile, sconsigliato e perfino in qualche misura vietato. Ma lo fanno tutti, basta non dirlo in giro, girare la testa dall’altra parte. E poi arriverà puntuale e provvidenziale il condono. E allora il cretino che non ne ha approfittato si morderà le mani disperato.

Oltre quarant’anni fa, lo standard alla base del dimensionamento dei piani regolatori (legge n. 765 del 1967), prevedeva categoricamente “una abitazione, una famiglia, una stanza ad abitante”. E già allora, nel 1971, la pubblicazione dei dati nazionali creò un certo scandalo, perché quei dati segnalavano quello che veniva – allora! – definito “spreco edilizio” (Francesco Indovina, Marsilio editore, 1972). Come definire quello che è successo in seguito e fino ai nostri giorni, e cioè la costruzione del doppio di case rispetto al numero delle famiglie: forse “incontinenza urbana”, come titola Oriol Bohigas il suo libro pubblicato l’anno scorso da Gangemi, dichiarandosi ovviamente contro?

Ma torniamo a noi e ai nostri giorni. Tutti sapendo tutto, ognuno ha fatto finta di niente. Sì, qualcuno, il solito insofferente ed eterno insoddisfatto, l’anima bella della protesta e del mugugno, ha fatto qualche esposto, ha espresso qualche lamentela, magari sotto forma di denuncia anonima. Ma a zittire e ridurre a più miti consigli, basta poco. Tutti hanno qualche punto debole, qualche piccolo o grande scheletro nell’armadio, qualche favore da ottenere.

E’ così che Maratea, nel corso di un paio di decenni, ha cambiato i suoi connotati. Attenzione, nessuno qui è fautore di una imbalsamazione rigida, o di una crescita edilizia zero. Sono l’ipocrisia e la doppiezza a non essere sane, il teatrino della finzione che non va bene, il sapere benissimo tutto e il non dire nulla - e guai pure a parlarne! La prassi è stata quindi quella di una diffusa illegalità sommersa e sommessa, abile e furba. Non si è neppure ecceduto o granché esagerato, o così orrendamente devastato come è successo in tanti luoghi della Campania e della Calabria. Certo, per fortuna non è partito il progetto di attraversamento sotterraneo della variante di Acquafredda, che avrebbe sventrato e deformato il paesaggio e distrutto il verde con cantieri a cielo aperto per oltre dieci anni (se è per questo, kafkianamente, dopo essere stati collocati in sede, non sono stati attivati neppure i semafori utili a disciplinare il virulento traffico estivo lungo il tratto di statale che attraversa il centro del paese…). E non è passato, almeno per ora, il progetto del nuovo porto a Castrocucco con annessa cascata retrostante di villette a schiera. Ma si è comunque costruito tenacemente, alacremente, a tappe non così forzate ma non per questo meno invasive. In faccia a un mare poco amato, si è costruito un altro mare: di case, e questo sì realmente adorato. Il vero senso del mare, qui, la sua utilità vantaggiosa e lucrativa, è consistita nel funzionare e agire da leva per un febbrile e invasivo costruire. Poi succede che qualcuno chiede ai giovani studenti delle scuole di Maratea quale interesse c’è secondo loro in famiglia nei confronti del mare: e sul questionario, tranquilli e convinti, l’80% di loro scrive: nessuno. Appunto.

Dagli anni Settanta, di alberghi qui non se ne sono più costruiti? Lo stabilimento tessile prima, e calzaturiero poi, ha definitivamente chiuso? L’ospedale e il collegio scuola di Fiumicello pure? E Villa Nitti rimane ad Acquafredda desolatamente inutilizzata e chiusa? Chiudono negozi e bar, uffici postali e stazioni ferroviarie? Basta che tiri il mercato edilizio, cosa volete che importi un’idea di sviluppo e crescita equilibrata, sostenuta da un’idea, un progetto, uno straccio di piano: basta la crescita del valore dei terreni e il business della compravendita delle case, e qualche frutto, in forma di rendita, transazione o reddito, andrà in tasca a tutti.

Ma se poi la crisi irrompe con la sua brusca frenata, e anche il mercato immobiliare crolla, cosa resterà di questa ossessiva e invasiva avventura: case vuote e mortorio spettrale?

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