14. Il mare come amoroso dialogo, la pesca come devastante saccheggio?

L’immagine e l’esperienza della pesca che io concepisco è quella che conosco grazie a qualcuno dei miei amici in meditazione solitaria su uno scoglio, la lunga e flessuosa canna (cordone ombelicale? prolungamento fallico?) fornita di filo, amo ed esca, a scandagliare le profondità alla ricerca di un pesce che il mare ancora dona a conferma della sua fecondità. O di altri che escono la notte con barca e lampara, sotto il manto immenso del cielo stellato e inebriati del profumo pungente di un mare semiaddormentato, per immergervi pertica e amo a caccia di totani intontiti dalla luce. O di altri ancora, intellettuali pensosi e oramai piuttosto avanti con gli anni, che raggiungono con la barca il largo della secca, e lì stazionano per ore in solitudine a riflettere e meditare, a riconciliarsi con la vita e lenire le ferite con il balsamo guizzante e argentato di qualche pesce che finalmente ha abboccato.

Secondo quanto denunciato e abbondantemente documentato nella puntata di Report di domenica 16 novembre 2008, dedicata alla situazione odierna della pesca, nel Mediterraneo essa viene massicciamente effettuata con le reti a strascico a maglia larga lunghe fino a 30 km, chiamate anche “muro della morte” perché, insieme al pesce spada, vero obiettivo e preda ghiotta, uccidono innumerevoli delfini, tartarughe e fino a diecimila cetacei l’anno. In Italia, di barche attrezzate con le reti a spadara, del tutto illegali, si calcola ve ne siano oltre settecento, nella sola Calabria all’incirca cento. Per convincere i pescatori a passare a sistemi di pesca più rispettosi, Italia e Ue hanno conferito contributi fino a ventimila euro a barca. La gran parte di loro si è intascata i contributi e ha continuato a pescare con questi sistemi distruttivi. La pesca con la spadara è stata proibita dalla Unione europea sei anni fa, ma le nostre guardie costiere non hanno mezzi e fondi per il sequestro, la conservazione, la distruzione delle reti a strascico. Succede poi che, colti con le mani nel sacco, i pescatori si accordino con le guardie dividendo il bottino. Inoltre, manifestando e bloccando per giorni i binari ferroviari, sono riusciti a ottenere da politici compiacenti l’introduzione di cavilli e codicilli al fine di aggirare il rigore delle norme Ue. Il referente politico prediletto dei pescatori per la tutela dei loro interessi è, documenta Report, l’onorevole Gian Franco Fini, e il porto franco della pesca illegale è Bagnara. Qualcuno tra i pescatori intervistati si vanta di vivere nel comune più ricco d’Italia: in cinque giorni di pesca, e vendendo il pesce spada a 8 euro il Kg., l’equipaggio di una sola barca può incassare fino a 25.000 euro.

A servire come fondale marino ideale per la riproduzione ittica sono le praterie di posidonia, perché svolgono la funzione di una barriera corallina che dà ossigeno e crea le condizioni di habitat ottimali. Ma questo è a conoscenza anche dei pescatori di frodo che, nottetempo, entrano nelle acque di aree marine protette, come succede in quelle dell’Isola d’Elba, dove pescano con reti a strascico appesantite da catene devastando così la posidonia. Il solo rimedio efficace, sperimentato da alcuni pescatori ambientalisti riuniti in cooperativa e operanti lungo le coste dell’Argentario, è quello di collocare poco lontano dalla riva, e a delimitazione delle suddette benefiche praterie, una serie di dissuasori in cemento provvisti di puntuti rampini adatti a tenere lontani i pescherecci predoni.

L’ultima spiaggia della pesca senza limiti e senza regole oggi imperversante, che ha adottato il motto: pescare quel che c’è, finché c’è, è quella che viene praticata dai pescherecci d’altura che partono dall’Italia, dalla Spagna e dall’Inghilterra per stazionare lungo le coste del Senegal e della Guinea Bissau. Con sistemi di pesca sofisticatissimi, essi mettono in atto una sorta di predonaggio dei fondali, devastati come dopo il passaggio di un gigantesco aspirapolvere. La pescosità di quei mari è oggi a forte rischio, mentre le popolazioni locali impoveriscono ulteriormente e patiscono.

Viene da concludere: Aree Marine Protette? Ma qui è l’intero pianeta che va posto sotto tutela! Proteggere parti, pezzi e pezzettini certo è meglio di niente, ma forse, a questo punto della notte, serve soltanto a salvarci la coscienza.

P.S. Mentre altrove, in contesti territoriali non dissimili, si sono istituite Aree Marine Protette, organizzati diving center per amanti delle immersioni subacquee, parchi giochi marini – o si cerca di introdurre le energie alternative con l’eolico, o di risparmiare nell’impianto di illuminazione pubblica con le lampade a Led -, a Maratea cosa si è riusciti qualche anno fa a inventare? Un enorme gabbio semisommerso in bella mostra al largo di Marina di Maratea per allevarvi i pesci. Ma non è quello sito di interesse comunitario con le praterie di posidonia da preservare? E non è all’incirca, fatte le debite preferenze a favore di chi ognuno preferisce, come profanare la maestà di Piazza San Pietro in Roma allestendo in un suo lato un enorme, profittevole, puzzolentissimo pollaio? Oggi per fortuna l’insolente pescificio è stato abbandonato, la gabbia è stata sganciata dalle sue catene e fatta affondare. Qualche sub, a distanza di tempo, è andato a controllarne le conseguenze. Durante la sua ispezione ha girato anche un video. Si vedono un sacco di pesci, cozze e perfino ostriche. Il mare è una creatura seria, non serba rancori. Approfitta anzi dei frutti dell’insipienza umana per trasformarli in rinnovati tesori.

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