15. I problemi connessi all’istituzione

e al funzionamento di un’Area Marittima Protetta

Nell’aprile del 2008 si è svolto a Grottammare, provincia di Ascoli Piceno, un convegno sulle potenzialità di un’Area Marina Protetta, più precisamente, come recita l’invito annunciante il convegno stesso, sulle opportunità che un’Area Marina Protetta offre per lo sviluppo turistico e culturale sostenibile di un territorio. Anche a Grottammare l’Area Marina è istituenda, quindi chi è intervenuto nel convegno (il professor Massimo Sargolini dell’Università di Camerino ha presentato i risultati di uno studio specifico attuato sulla creazione del Parco Marino Piceno; un secondo relatore ha raccontato i risultati positivi raggiunti grazie alle attività svolte all’interno dell’AMP Plimmiria di Siracusa) ha molto sottolineato, dati alla mano, come sia possibile trasformare un’Area Marina Protetta in un vero e proprio “parco marino dei divertimenti” pienamente inserito nell’habitat grazie alla sinergia con il territorio e attraverso il lancio di nuove forme di turismo scolastico, nautico, per disabili, o istituendo i cosiddetti “campi ormeggi” comprendenti svariati servizi turistici non impattanti, in funzione anche della carenza di posti barca.

 “Destagionalizzazione” è stata la parola d’ordine di quel convegno, ed essa è comprensibile alla luce del fatto che pressoché tutte le località turistiche balneari soffrono di una concentrazione delle presenze quasi esclusivamente nei due/tre mesi estivi. In effetti, anche a limitarci alla sola potenziale attrazione di flusso nei confronti della scuola, se si pensa che nella sola Maratea gli studenti dei diversi ordini scolastici, cui può essere indirizzata una attività di informazione/istruzione sul complesso habitat della costa e del mare, sono 350, e se si considera che includendo i Comuni del lagonegrese e la stessa Potenza e centri limitrofi, tale numero è ragionevolmente moltiplicabile per dieci, ecco che risultano almeno una trentina le giornate da distribuire tra ottobre e maggio destinate all’accoglienza, visita e istruzione di giovani guidati dai loro insegnanti da dedicare proficuamente alla storia, alla scoperta dei tesori, alla conoscenza delle condizioni odierne del mare, alle iniziative per tutelarle e migliorarle. Considerando poi una visita al Museo del Mare, una seconda alle grotte di Marina, una terza come breve tour in barca predisposta con fondo trasparente per l’osservazione diretta dei fondali, ecco confezionato un interessante e divertente pacchetto didattico ad uso della gioventù scolastica. E’ poco per cominciare? Forse. Ma le idee potrebbero moltiplicarsi. Cominciamo ad esempio a immaginare una parte dell’area abbandonata dell’ospedale per ricavarne una piscina coperta dove nella stagione invernale bambini, ragazzini e adulti possano trascorrere insieme qualche ora proficua e serena. Organizziamo un servizio di diving (visita guidata dei fondali con muta ed eventuali bombole) o potenziamo quello già esistente. Il mare deve essere conosciuto, apprezzato, fruito con modalità rispettose del suo habitat. Nessuno, credo, è per la sua messa sotto naftalina, ma è chiaro che non basta appiccicare etichette di sostenibilità per risolvere i problemi e garantirci dagli impatti devastanti. L’assecondare una tradizionale e ancora oggi dominante spinta inerziale, del laisser faire individualistico, spontaneo e arrangiato, sarebbe comunque la scelta peggiore.

Ritornando per un istante alla sopra citata attività di diving, o immersione subacquea guidata, può essere utile riflettere su alcuni dati riguardanti l’attività del Centro Diving di Marina di Camerota, località della costa paragonabile per caratteristiche a Maratea. Nato nel 1993, con una staff composto da otto persone attive nella sua sede correttamente collocata a pochi metri dal mare, il servizio opera da giugno a settembre e, su prenotazione, anche in altri periodi dell’anno. Il ventaglio di attività offerte spazia dall’immersione libera o guidata, diurna o notturna, o all’interno di grotte. Si può optare tra un corso sub, uno di introduzione alla speleologia subacquea, un terzo di biologia marina. Si possono ovviamente fare escursioni in barca o nuotare in superficie utilizzando il boccaglio (in inglese snorkel, da cui snorkeling). Il sito Internet del Diving Center di Marina di Camerota è ricchissimo di foto, informazioni, dati. Quello di Maratea, dispiace dirlo, non mostra praticamente nulla, salvo indicare che è ubicato nella frazione di Santa Caterina, cioè nei pressi della statua del Cristo. Da indurre allarmati a chiedersi: sarà uno scherzo?

E come funziona un’Area Marina Protetta? Leggendo quanto riportato nel sito sull’Area Marina Protetta Isole Pelagie, ovvero Lampedusa e Linosa, si ha informazione adeguata del nutrito impianto di norme e regolamenti necessari a organizzarla e farla funzionare. Innanzitutto, il soggetto gestore di quell’AMP è il comune, cui spetta il compito di individuare la dotazione di risorse umane necessarie e reperire il fabbisogno finanziario per le spese destinate al funzionamento dell’Area. E lì si viene a conoscere che, alla bisogna, può soccorrere il Ministero dell’Ambiente. Il Regolamento elenca poi tutti i compiti e gli obblighi in capo al responsabile dell’AMP, sempre scelto dall’ente gestore, e quelli della Commissione che lo affianca insieme al Comitato Tecnico Scientifico. Viene quindi riportato il regolamento che disciplina in ciascuna delle tre Zone individuate (A, B, C) l’attività di balneazione, le immersioni subacquee, la navigazione da diporto, le attività di ormeggio e di ancoraggio, e infine il trasporto passeggeri, le attività di scuola da vela e il trasporto marittimo di linea, e ancora, le attività di pesca professionale, la pesca turismo e quella sportiva. In chiusura, si dà notizia dell’attribuzione della sorveglianza alla Capitaneria di Porto e l’elencazione delle possibili sanzioni in caso di inosservanza di norme e regolamento. La zona A è ovviamente quella che fa il pieno di divieti: praticamente tutti. La B e la C se la passano meglio, con limitazioni e vincoli specifici e, su richiesta, le possibili dispense e autorizzazioni. Insomma, una articolata e fitta rete di vincoli a salvaguardia dello scopo per cui l’istituzione dell’Area Marina ha ragione e senso, e cioè la tutela della sua integrità. E quindi: no assoluto alla pesca con reti a strascico e a certi tipi di pesci (la cernia, ad esempio). Sono poi vietate le attività che implicano l’uso dell’ acquascooter, lo sci nautico e similari. La navigazione è consentita a distanza di sicurezza da 10 a 100 metri dalla costa a picco, a non meno di 200 metri per la costa piatta e gli arenili per bagnanti. La velocità per chi naviga in zona B e C non può comunque oltrepassare 5 o 10 nodi. Nelle zone B e C dove è presente sul fondo la prateria di posidonia è vietato anche il solo ancoraggio delle imbarcazioni. E’ consentita nelle zone B e C la piccola pesca artigianale, ma entro limiti precisi e previa autorizzazione dell’ente gestore. Le imbarcazioni per il trasporto passeggeri possono navigare all’interno delle zone B e C, ma sono favorite le imbarcazioni dotate dei requisiti di eco-compatibilità: casse a bordo per la raccolta dei liquami di scolo; motori conformi alle direttive vigenti (elettrici o a benzina verde). Ovviamente non è consentito lo scarico a mare di acque non depurate, nonché la discarica di rifiuti solidi o liquidi. Se tali vincoli e regole non vengono rispettati, licenze e autorizzazioni possono essere revocate, i trasgressori sanzionati e gli introiti imputati al bilancio dell’ente gestore e destinati al finanziamento delle attività di gestione. Così raffigurata, si ha la percezione che l’Area Marina Protetta potrebbe anche essere, ai fini della protezione della vita marina residua, cosa utile e seria…

Guarda caso, uno dei temi in discussione oggi a Maratea, allo scopo di migliorare lo stato di salute del mare, è proprio l’istituzione di un’Area Marina Protetta. I gruppi ambientalisti, gli amministratori accorti e lungimiranti, gli stessi cittadini dotati di normale buon senso, sanno che l’ambiente è una risorsa inestimabile, fondamento e base per la sopravvivenza e il benessere della collettività, garanzia delle generazioni future, quindi da tutelare, mantenere e possibilmente accrescere. Conservare in buono stato specie e specificità, sia animali che vegetali e marine, è semplicemente necessario, pena l’impoverimento e il degrado della natura del territorio e del genere umano stesso. Questo insegnano l’esperienza e la storia, e gli esempi a dimostrarlo, sia in positivo che in negativo, sono sempre più evidenti e numerosi. E fino a qui tutto bene. Ma volendo tutelare ricchezza e integrità di una componente importante del territorio quale il mare, si può allo stesso tempo trascurare lo stato di salute del territorio retrostante? Se si costruisce senza rispettare regole e limiti, a uzzolo e ad libitum, si potrà mai essere efficaci, e ancora prima credibili, nel progetto di protezione della parte marina del territorio? Come si può con una mano manipolare e stravolgere, e con l’altra pretendere invece di tutelare e preservare? Se sul territorio proliferano seconde e terze case per gran parte dell’anno inutilizzate e vuote (e così oltre allo scempio abbiamo anche lo spreco), come volete che sia credibile che gli stessi che così discutibilmente operano, o che a tale operare non si oppongono, possano poi diligentemente agire a protezione e beneficio del mare, che è essere vivente, habitat prezioso, complesso e delicato, risorsa e ricchezza per tutti e non discarica anonima e pozzo di san patrizio cui si può contemporaneamente versare e attingere di tutto senza che non ne sia responsabile nessuno?

La dirimpettaia Scario, pur essendo semplice frazione di San Giovanni a Piro, ma in possesso di caratteristiche di configurazione e identità di luogo per molti versi simili a quelle della costa di Maratea, ha già istituito l’Area Marina Protetta. Il percorso per l’adozione non ha avuto intralci o contrattempi. L’insieme degli operatori portuali, commerciali e turistici non ha opposto particolari resistenze, grazie anche a un efficace lavoro di preparazione e a una corretta e capillare informazione. Il punto di stallo, oggi perdurante, si è però verificato nel passaggio dalla fase di definizione istituzionale a quello della gestione operativa. Chi deve controllare il rispetto delle nuove regole? Chi ha da porre in essere gli strumenti e le modalità di gestione dei necessari adempimenti? Trattandosi anche di gestione di risorse finanziarie e umane, si sono candidati in molti: Capitaneria di Porto, Comune, Comunità Montana, Parco… Con il risultato che si è tutto bloccato. Tra l’altro, la zona A, quella del divieto assoluto di attività legate all’uso del mare, è stata confinata lungo poche centinaia di metri lontani e inaccessibili verso Punta Infreschi. Ma era urgente predisporre le passerelle per gli sbarchi e gli imbarchi dei villeggianti sulle tante spiagge disseminate lungo la costa. Finora, e per ora, barche e barconi arrivano necessariamente, inquinando, fin sulla riva. La soluzione prevista limiterebbe e disciplinerebbe il traffico, tenendo lontani i motori dalla riva. Ma, per lo stallo causato dall’ingorgo dei pretendenti alla gestione, anche questa soluzione semplice quanto necessaria resta bloccata.

L’Area Marina Protetta di Scario è soltanto il tratto finale di un percorso che parte da Agropoli e si estende verso sud per oltre 80 km (S. Maria di Castellabate, Ascea, Acciaroli/Pioppi, Palinuro, Camerota e Marina di Camerota e ancora più giù). L’idea fondamentalmente sana della concezione e del funzionamento di quest’area risiede nel fatto che essa è solo la parte sul versante a mare del Parco del Cilento e Vallo di Diano: è quindi frutto di una concezione olistica e di una gestione unitaria della salvaguardia del territorio. A gestire Parco e Area marina protetta sono infatti insieme Guardia Forestale e Capitanerie di Porto: a garanzia e tutela di un equilibrio floro-vivaistico delle attività e dell’insediamento antropico, questioni che non possono essere trattate come separate, parziali e limitate, pena la contraddizione e la più che probabile inefficacia. (Vi è da dire che le recenti vicende che hanno visto prima la nomina a Presidente del Parco di Mimmo De Masi da parte del Ministro Pecoraro Scanio, e poi le sue dimissioni in presenza del nuovo governo di destra e dell’insediamento a ministro dell’Ambiente di Stefania Prestigiacomo, lascia l’amaro in bocca e non induce a bene sperare sul funzionamento efficace dell’insieme).

L’Area Marina Protetta non è quindi un contentino o un escamotage, un diversivo o una cornice per poter organizzare convegni più o meno salottieri sui temi dello sviluppo ambientale sostenibile e dell’ecologia: ma una estensione e un ampliamento coerente di una visione ordinata, di un insieme di regole che nulla trascura o esclude dalla propria visione, dal proprio ambito di intervento e azione. Questo laddove si intenda agire con coerenza, rigore e serietà. Altrimenti…

L’Area Marina Protetta, va anche specificato, è strumento che apre più fronti e muove in diverse direzioni. Innanzitutto non può non coinvolgere chi vive e opera nel territorio candidato a farne parte. E allora la prima domanda da porsi è: quale è, come si è nel tempo e nei fatti evoluto il rapporto tra l’ambiente marino e gli abitanti del luogo? Il popolo di Maratea (e quello della Basilicata) è soggetto titolare di una grande esperienza di navigazione, pesca, traffici e commerci via mare, o ha invece una cultura e una storia a dominanza agricolo-pastorale? C’è un orientamento e una pratica di interesse e integrazione reciproci, o di una sostanziale distanza e indifferenza? Esiste diffusa una reale conoscenza e cultura del mare, delle sue risorse e fenomeni, trasmesse dalle vecchie alle nuove generazioni? Il mare è visto come fattore di novità, avventura, scoperte e incontri e commerci, oppure…

Ci sono alcuni piccoli ma significativi fatti che la dicono al proposito lunga. Ad esempio: perché chi in Maratea intende conseguire la qualifica professionale di bagnino è costretto per ottenerla a frequentare un apposito corso presso la piscina comunale di Rivello, i cui abitanti non vedono il mare neanche se tirano il collo? Non si tratta di un bel paradosso? E come è possibile che la sede del gruppo che a Maratea si occupa di immersioni ed esplorazioni subacquee non abbia sede in una delle numerose frazioni disseminate lungo la costa, bensì in quella di Massa, ubicata a 400 metri sul livello del mare e località i cui abitanti sono prevalentemente dediti alle attività pastorizie e agricole?

Le basi del successo dell’istituzione di un’Area Marina Protetta poggiano su fattori quali coinvolgimento, conoscenza, rispetto per il mare che è necessario vivano innanzitutto tra gli abitanti del territorio candidato. In loro carenza o assenza non si può fare molta strada, si lascerà invece spazio a approcci, metodi e pratiche che considerano il mare come risorsa economica da sfruttare a fini di piacere e profitto privato, non a una risorsa che si colloca per eccellenza nella sfera del bene pubblico. Il che, abbiamo visto, porta a risultati che abbiamo tutti sotto gli occhi.

Vale la pena di segnalare che alle liguri Cinque Terre, dal 2004 sono in funzione, come strumento operativo al servizio della tutela ambientale, due battelli ecologici che provvedono alla quotidiana pulizia e al monitoraggio costante dell’inquinamento marino costiero.

Dovrà poi essere chiaro che, una volta definite e istituite le zone A, B e C dell’Area Marina Protetta, nella prima non dovranno ancorarsi per sostare le imbarcazioni da diporto, e neppure in quelle zone sui cui fondali cresce la posidonia.

Acquafredda, è una di quelle, tanto da essere stata definita dalla Unione europea SIC, ovvero Sito di Interesse Comunitario. Ed è il caso di ricordare che norme e regolamenti vietano alle imbarcazioni più lunghe di 24 metri di sostare non solo nella zona A, ma anche in quelle B e C. E’ anche vero che sta per essere adottata per le 31 Aree Marine Protette esistenti nel nostro Paese una nuova normativa che prende in considerazione divieti e limiti non sulla base della lunghezza delle imbarcazioni, ma per i dispositivi e gli accorgimenti a carattere eco-compatibile che esse avranno adottato. Ad esempio: motori funzionanti con benzina verde o bio carburante, con ridotte emissioni sonore e acustiche, ecc. Insomma, barche che, come i modelli di automobili più recenti, siano definibili Euro 4 o Euro 5.

Legambiente, con il suo responsabile mare Sebastiano Venneri, ha licenziato al proposito un comunicato che suona piuttosto ottimista: “E’ stato siglato un accordo storico che costituisce una vera rivoluzione nella filosofia delle Aree Marine Protette, e che aprirà al popolo degli yacht, piccoli e grandi, le calette più suggestive delle coste italiane, oggi off limits.” Speriamo sia realmente così, nel senso della piena e totale compatibilità tra esigenze ambientali e quelle di fruizione dei diportisti: e non piuttosto come è recentemente accaduto in altri settori, là dove la “rivoluzione verde” è consistita nella corsa ad accaparrarsi certificazioni e bollini blu spesso risultati, a una più attenta verifica, del tutto fasulli. Sapete, il nostro è un Paese così ribaldo e truffaldino che nel casertano si è recentemente scoperto un fiorente mercato di certificati antimafia, per aziende e imprese tutto fuorché oneste e corrette, ottenibili in cambio di un salato prezzo. Ma Legambiente è una organizzazione seria, e noi abbiamo fiducia.

Post Scriptum. Ho citato le liguri Cinque Terre come esemplari nella tenuta in piena efficienza delle bellezze del territorio e di una loro fruibilità accorta. Ma non c’è bisogno di andare così lontano. Anche restando al Sud, non mancano modelli di gestione con i quali è stimolante confrontarsi. Ad esempio Pollica, nel Cilento. Duemila cinquecento abitanti, centro storico sopra la collina e due frazioni (Pioppi e Acciaroli) sul mare. Pluripremiata con Bandiera Blu e 5 Vele di Legambiente, basta accedere al sito su Internet del Comune per vedersi sciorinare un insieme organico di informazioni (storia, cultura, arte, geografia, politiche dei servizi, collegamenti e opportunità) da fare invidia, o costituire modello, per qualsiasi luogo di analoga bellezza paesaggistica. Una delle curiose chicche è la notizia che Ernest Hemingway, a conferma del fascino irresistibile di quel territorio, ha soggiornato a Pollica e Acciaroli lungo l’estate del 1952. Ma è la cura, l’impegno, l’attenzione, la vera e propria cultura dell’accoglienza e dell’ospitalità a trasparire da ognuna delle numerose schede informative e illustrative di cui è ricco il sito. Bisognerebbe che gli amministratori di Maratea, e di altri Comuni con caratteristiche simili, accettassero di andarci in visita, o invitare quegli amministratori per un confronto diretto utile per tutti. Bisognerebbe anzi creare una apposita rete, un club delle eccellenze, una associazione che funzioni e si presti come scuola e laboratorio. Perché il Sud, beninteso, non è solo apatia, indifferenza, devastazione e rovina. In diversi suoi luoghi operano e agiscono con successo energie positive. Valorizzarli, diffonderne l’esperienza, raccontarli come conferma che anche al Sud si può, è uno dei compiti urgenti da assumere.

Indice