15. I problemi connessi all’istituzione
e al funzionamento di un’Area Marittima Protetta
Nell’aprile del 2008 si
è svolto a Grottammare, provincia di Ascoli Piceno, un convegno sulle
potenzialità di un’Area Marina Protetta, più precisamente,
come recita l’invito annunciante il convegno stesso, sulle
opportunità che un’Area Marina Protetta offre per lo sviluppo
turistico e culturale sostenibile di un territorio. Anche a Grottammare
l’Area Marina è istituenda, quindi chi è intervenuto nel
convegno (il professor Massimo Sargolini dell’Università di
Camerino ha presentato i risultati di uno studio specifico attuato sulla
creazione del Parco Marino Piceno; un secondo relatore ha raccontato i
risultati positivi raggiunti grazie alle attività svolte
all’interno dell’AMP Plimmiria di Siracusa) ha molto sottolineato,
dati alla mano, come sia possibile trasformare un’Area Marina Protetta in
un vero e proprio “parco marino dei divertimenti” pienamente inserito
nell’habitat grazie alla sinergia con il territorio e attraverso il
lancio di nuove forme di turismo scolastico, nautico, per disabili, o
istituendo i cosiddetti “campi ormeggi” comprendenti svariati
servizi turistici non impattanti, in funzione anche della carenza di posti
barca.
“Destagionalizzazione”
è stata la parola d’ordine di quel convegno, ed essa è
comprensibile alla luce del fatto che pressoché tutte le località
turistiche balneari soffrono di una concentrazione delle presenze quasi esclusivamente
nei due/tre mesi estivi. In effetti, anche a limitarci alla sola potenziale
attrazione di flusso nei confronti della scuola, se si pensa che nella sola
Maratea gli studenti dei diversi ordini scolastici, cui può essere
indirizzata una attività di informazione/istruzione sul complesso habitat
della costa e del mare, sono 350, e se si considera che includendo i Comuni del
lagonegrese e
Ritornando per un istante alla sopra
citata attività di diving, o
immersione subacquea guidata, può essere utile riflettere su alcuni dati
riguardanti l’attività del Centro
Diving di Marina di Camerota, località della costa paragonabile per
caratteristiche a Maratea. Nato nel 1993, con una staff composto da otto
persone attive nella sua sede correttamente collocata a pochi metri dal mare,
il servizio opera da giugno a settembre e, su prenotazione, anche in altri
periodi dell’anno. Il ventaglio di attività offerte spazia
dall’immersione libera o guidata, diurna o notturna, o all’interno
di grotte. Si può optare tra un corso sub, uno di introduzione alla
speleologia subacquea, un terzo di biologia marina. Si possono ovviamente fare
escursioni in barca o nuotare in superficie utilizzando il boccaglio (in
inglese snorkel, da cui snorkeling). Il sito Internet del Diving Center di Marina di Camerota è ricchissimo di foto,
informazioni, dati. Quello di Maratea, dispiace dirlo, non mostra praticamente
nulla, salvo indicare che è ubicato nella frazione di Santa Caterina,
cioè nei pressi della statua del Cristo. Da indurre allarmati a
chiedersi: sarà uno scherzo?
E come funziona un’Area Marina
Protetta? Leggendo quanto riportato
nel sito sull’Area Marina Protetta Isole Pelagie, ovvero Lampedusa e
Linosa, si ha informazione adeguata del nutrito impianto di norme e regolamenti
necessari a organizzarla e farla funzionare. Innanzitutto, il soggetto gestore
di quell’AMP è il comune, cui spetta il compito di individuare la
dotazione di risorse umane necessarie e reperire il fabbisogno finanziario per
le spese destinate al funzionamento dell’Area. E lì si viene a
conoscere che, alla bisogna, può soccorrere il Ministero
dell’Ambiente. Il Regolamento elenca poi tutti i compiti e gli obblighi
in capo al responsabile dell’AMP, sempre scelto dall’ente gestore,
e quelli della Commissione che lo affianca insieme al Comitato Tecnico
Scientifico. Viene quindi riportato il regolamento che disciplina in ciascuna
delle tre Zone individuate (A, B, C) l’attività di balneazione, le
immersioni subacquee, la navigazione da diporto, le attività di ormeggio
e di ancoraggio, e infine il trasporto passeggeri, le attività di scuola
da vela e il trasporto marittimo di linea, e ancora, le attività di
pesca professionale, la pesca turismo e quella sportiva. In chiusura, si dà
notizia dell’attribuzione della sorveglianza alla Capitaneria di Porto e
l’elencazione delle possibili sanzioni in caso di inosservanza di norme e
regolamento.
Guarda caso, uno dei temi in discussione
oggi a Maratea, allo scopo di migliorare lo stato di salute del mare, è
proprio l’istituzione di un’Area Marina Protetta. I gruppi
ambientalisti, gli amministratori accorti e lungimiranti, gli stessi cittadini
dotati di normale buon senso, sanno che l’ambiente è una risorsa
inestimabile, fondamento e base per la sopravvivenza e il benessere della
collettività, garanzia delle generazioni future, quindi da tutelare,
mantenere e possibilmente accrescere. Conservare in buono stato specie e
specificità, sia animali che vegetali e marine, è semplicemente
necessario, pena l’impoverimento e il degrado della natura del territorio
e del genere umano stesso. Questo insegnano l’esperienza e la storia, e
gli esempi a dimostrarlo, sia in positivo che in negativo, sono sempre
più evidenti e numerosi. E fino a qui tutto bene. Ma volendo tutelare
ricchezza e integrità di una componente importante del territorio quale
il mare, si può allo stesso tempo trascurare lo stato di salute del
territorio retrostante? Se si costruisce senza rispettare regole e limiti, a
uzzolo e ad libitum, si potrà mai essere efficaci, e ancora prima
credibili, nel progetto di protezione della parte marina del territorio? Come
si può con una mano manipolare e stravolgere, e con l’altra
pretendere invece di tutelare e preservare? Se sul territorio proliferano
seconde e terze case per gran parte dell’anno inutilizzate e vuote (e
così oltre allo scempio abbiamo anche lo spreco), come volete che sia
credibile che gli stessi che così discutibilmente operano, o che a tale
operare non si oppongono, possano poi diligentemente agire a protezione e
beneficio del mare, che è essere vivente, habitat prezioso, complesso e
delicato, risorsa e ricchezza per tutti e non discarica anonima e pozzo di san
patrizio cui si può contemporaneamente versare e attingere di tutto
senza che non ne sia responsabile nessuno?
La dirimpettaia Scario, pur essendo
semplice frazione di San Giovanni a Piro, ma in possesso di caratteristiche di
configurazione e identità di luogo per molti versi simili a quelle della
costa di Maratea, ha già istituito l’Area Marina Protetta. Il
percorso per l’adozione non ha avuto intralci o contrattempi.
L’insieme degli operatori portuali, commerciali e turistici non ha opposto
particolari resistenze, grazie anche a un efficace lavoro di preparazione e a
una corretta e capillare informazione. Il punto di stallo, oggi perdurante, si
è però verificato nel passaggio dalla fase di definizione
istituzionale a quello della gestione operativa. Chi deve controllare il
rispetto delle nuove regole? Chi ha da porre in essere gli strumenti e le
modalità di gestione dei necessari adempimenti? Trattandosi anche di
gestione di risorse finanziarie e umane, si sono candidati in molti:
Capitaneria di Porto, Comune, Comunità Montana, Parco… Con il
risultato che si è tutto bloccato. Tra l’altro, la zona A, quella
del divieto assoluto di attività legate all’uso del mare, è
stata confinata lungo poche centinaia di metri lontani e inaccessibili verso
Punta Infreschi. Ma era urgente predisporre le passerelle per gli sbarchi e gli
imbarchi dei villeggianti sulle tante spiagge disseminate lungo la costa.
Finora, e per ora, barche e barconi arrivano necessariamente, inquinando, fin
sulla riva. La soluzione prevista limiterebbe e disciplinerebbe il traffico,
tenendo lontani i motori dalla riva. Ma, per lo stallo causato
dall’ingorgo dei pretendenti alla gestione, anche questa soluzione
semplice quanto necessaria resta bloccata.
L’Area Marina Protetta di
Scario è soltanto il tratto finale di un percorso che parte da Agropoli
e si estende verso sud per oltre
L’Area Marina Protetta non
è quindi un contentino o un escamotage, un diversivo o una cornice per
poter organizzare convegni più o meno salottieri sui temi dello sviluppo
ambientale sostenibile e dell’ecologia: ma una estensione e un
ampliamento coerente di una visione ordinata, di un insieme di regole che nulla
trascura o esclude dalla propria visione, dal proprio ambito di intervento e
azione. Questo laddove si intenda agire con coerenza, rigore e serietà.
Altrimenti…
L’Area Marina Protetta, va
anche specificato, è strumento che apre più fronti e muove in
diverse direzioni. Innanzitutto non può non coinvolgere chi vive e opera
nel territorio candidato a farne parte. E allora la prima domanda da porsi
è: quale è, come si è nel tempo e nei fatti evoluto il
rapporto tra l’ambiente marino e gli abitanti del luogo? Il popolo di
Maratea (e quello della Basilicata) è soggetto titolare di una grande
esperienza di navigazione, pesca, traffici e commerci via mare, o ha invece una
cultura e una storia a dominanza agricolo-pastorale? C’è un
orientamento e una pratica di interesse e integrazione reciproci, o di una
sostanziale distanza e indifferenza? Esiste diffusa una reale conoscenza e
cultura del mare, delle sue risorse e fenomeni, trasmesse dalle vecchie alle
nuove generazioni? Il mare è visto come fattore di novità,
avventura, scoperte e incontri e commerci, oppure…
Ci sono alcuni piccoli ma
significativi fatti che la dicono al proposito lunga. Ad esempio: perché
chi in Maratea intende conseguire la qualifica professionale di bagnino
è costretto per ottenerla a frequentare un apposito corso presso la
piscina comunale di Rivello, i cui abitanti non vedono il mare neanche se
tirano il collo? Non si tratta di un bel paradosso? E come è possibile
che la sede del gruppo che a Maratea si occupa di immersioni ed esplorazioni
subacquee non abbia sede in una delle numerose frazioni disseminate lungo la
costa, bensì in quella di Massa, ubicata a
Le basi del successo
dell’istituzione di un’Area Marina Protetta poggiano su fattori
quali coinvolgimento, conoscenza, rispetto per il mare che è necessario
vivano innanzitutto tra gli abitanti del territorio candidato. In loro carenza
o assenza non si può fare molta strada, si lascerà invece spazio
a approcci, metodi e pratiche che considerano il mare come risorsa economica da
sfruttare a fini di piacere e profitto privato, non a una risorsa che si
colloca per eccellenza nella sfera del bene pubblico. Il che, abbiamo visto,
porta a risultati che abbiamo tutti sotto gli occhi.
Vale la pena di segnalare che alle
liguri Cinque Terre, dal 2004 sono in funzione, come strumento operativo al
servizio della tutela ambientale, due battelli ecologici che provvedono alla
quotidiana pulizia e al monitoraggio costante dell’inquinamento marino
costiero.
Dovrà poi essere chiaro che,
una volta definite e istituite le zone A, B e C dell’Area Marina
Protetta, nella prima non dovranno ancorarsi per sostare le imbarcazioni da
diporto, e neppure in quelle zone sui cui fondali cresce la posidonia.
Acquafredda, è una di quelle,
tanto da essere stata definita dalla Unione europea SIC, ovvero Sito di
Interesse Comunitario. Ed è il caso di ricordare che norme e regolamenti
vietano alle imbarcazioni più lunghe di
Legambiente, con il suo responsabile
mare Sebastiano Venneri, ha licenziato al proposito un comunicato che suona
piuttosto ottimista: “E’ stato siglato un accordo storico che
costituisce una vera rivoluzione nella filosofia delle Aree Marine Protette, e
che aprirà al popolo degli yacht, piccoli e grandi, le calette
più suggestive delle coste italiane, oggi off limits.” Speriamo
sia realmente così, nel senso della piena e totale compatibilità
tra esigenze ambientali e quelle di fruizione dei diportisti: e non piuttosto
come è recentemente accaduto in altri settori, là dove la
“rivoluzione verde” è consistita nella corsa ad accaparrarsi
certificazioni e bollini blu spesso risultati, a una più attenta
verifica, del tutto fasulli. Sapete, il nostro è un Paese così
ribaldo e truffaldino che nel casertano si è recentemente scoperto un
fiorente mercato di certificati antimafia, per aziende e imprese tutto
fuorché oneste e corrette, ottenibili in cambio di un salato prezzo. Ma
Legambiente è una organizzazione seria, e noi abbiamo fiducia.
Post Scriptum. Ho citato le liguri Cinque Terre come esemplari nella tenuta
in piena efficienza delle bellezze del territorio e di una loro
fruibilità accorta. Ma non c’è bisogno di andare
così lontano. Anche restando al Sud, non mancano modelli di gestione con
i quali è stimolante confrontarsi. Ad esempio Pollica, nel Cilento.
Duemila cinquecento abitanti, centro storico sopra la collina e due frazioni
(Pioppi e Acciaroli) sul mare. Pluripremiata con Bandiera Blu e 5 Vele di
Legambiente, basta accedere al sito su Internet del Comune per vedersi
sciorinare un insieme organico di informazioni (storia, cultura, arte,
geografia, politiche dei servizi, collegamenti e opportunità) da fare
invidia, o costituire modello, per qualsiasi luogo di analoga bellezza
paesaggistica. Una delle curiose chicche è la notizia che Ernest
Hemingway, a conferma del fascino irresistibile di quel territorio, ha
soggiornato a Pollica e Acciaroli lungo l’estate del 1952. Ma è la
cura, l’impegno, l’attenzione, la vera e propria cultura
dell’accoglienza e dell’ospitalità a trasparire da ognuna
delle numerose schede informative e illustrative di cui è ricco il sito.
Bisognerebbe che gli amministratori di Maratea, e di altri Comuni con
caratteristiche simili, accettassero di andarci in visita, o invitare quegli
amministratori per un confronto diretto utile per tutti. Bisognerebbe anzi
creare una apposita rete, un club delle eccellenze, una associazione che
funzioni e si presti come scuola e laboratorio. Perché il Sud,
beninteso, non è solo apatia, indifferenza, devastazione e rovina. In
diversi suoi luoghi operano e agiscono con successo energie positive.
Valorizzarli, diffonderne l’esperienza, raccontarli come conferma che
anche al Sud si può, è uno dei compiti urgenti da assumere.