17. Urge un corso accelerato di alfabetizzazione tecnologica individuale e collettiva

per impadronirsi dell’uso e delle funzioni dei nuovi strumenti informatici ed elettronici sempre più sofisticati e avveniristici. Ognuno di noi è sempre più destinato a trascorrere alcune ore al giorno al suo desk a digitare, compulsare, navigare - cuffia alle orecchie, pupille dilatate come sotto effetto di droga, mente e nervi invasi da mille possibilità e accessi e collegamenti e forum e blog e chat e dati e informazioni e reti. E guai a chi perde l’occasione e manca all’appuntamento, ciascuno al computer in una stanza di una casa dove si rifugia la maggior parte del tempo per compiere la cova e la trasmutazione di se stesso in nuova creatura prodigiosa, speriamo non così mostruosa come a volte si ha il sospetto sia. Senza però dimenticare il fatto che a Maratea, come in Basilicata e in buona parte delle aree del Sud, collegarsi a Internet non è affare semplice, comporta attese, complicazioni, rallentamenti e intoppi: che potrebbero essere superati se enti, autorità e istituzioni promovessero scelte, investissero risorse e adottassero decisioni necessarie - banda larga e wi fi - a consentire che anche queste zone possano stare al passo con il mondo globalizzato, in compagnia delle sue parti avanzate, e non relegati in compagnia di quelle arretrate ed escluse...

Ma prima o dopo, prima comunque che sia troppo tardi, bisognerà pure che si riprenda contatto con una pratica di socializzazione diretta, fatta di incontri a pelle e sguardo diretti, per capire cosa siamo diventati e se per caso non ci siamo smarriti, per riaprire ascolto e attenzione alla comunità, al suo variegato e molteplice insieme, per ricostruire nessi solidali e connessioni, capire quale nuova musica è possibile insieme ricavare dai tanti strumenti che ciascuno individualmente ha imparato a suonare. L’orchestra, il coro, il lavoro di squadra, l’unità dell’insieme e del gruppo, una nuova capacità più ricca in una democrazia reale e partecipata… Altrimenti continua a crescere e dominare lo spirito della guerra distruttiva, a diventare sempre più potente e schiavizzante la paura e l’evasione distruttiva della droga.

Le cose adesso funzionano comunque così. Prima dominava la famiglia. Individuo e comunità erano, se rispettosi, appena tollerati. Da qualche anno (dieci, forse venti) è stata innalzata e sventola la bandiera del primato dell’individuo. Per molti aspetti è una vera e propria rivoluzione. Sono le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione ad averlo consentito, internet soprattutto, ma anche i cellulari e, la parte loro, la possibilità a portata oramai di tutti dei viaggi low cost: tutto l’impianto sociale precedente (la scuola soprattutto) ne sono stati ridimensionati, o messi addirittura in una situazione di scacco. La famiglia stessa non è più così al centro come prima, è diversa, in fibrillazione e agitazione, in stato di sospensione e attesa. A guadagnare è sicuramente l’individuo con i suoi spazi di opportunità/libertà: più intraprendente e capace, perfino pre-potente. Anche se le forme di tale processo di crescita e potenziamento dell’individuo sono andate così avanti, e in modo spesso così squilibrato, da produrre stati di semiassenza irresponsabile: vedi le madri e i padri – non a Maratea, beninteso - che “dimenticano” i propri piccoli, fino a farli anche morire, dentro auto infuocate ed ermeticamente chiuse. A dimostrazione del fatto che l’innovazione tecnologica in atto non porta così automaticamente il progresso, sfociando anzi e spesso in comportamenti di latitanza irresponsabile, di anomia disumana e perfino omicida. Un individuo ipertecnologizzato può benissimo coincidere con uno stato di ebetudine catatonica e di oblio dei suoi doveri sociali elementari. Io trovo comunque inquietante, e per qualche verso osceno, che il valore di un individuo, oggi, sia e stia tutto nella sua sfera economico-proprietaria, e che tale sfera sia tutta o quasi polarizzata in una concezione che è quella di macchina e casa, quest’ultima sempre meno protezione e dimora per sé e per i propri cari, i parenti, gli amici e gli ospiti, sempre più feticcio, monumento alla propria supremazia sugli altri, affermazione di sé cristallizzata e definitiva. Perché qui, piuttosto che ritrovare persone che partecipano all’agire pubblico decidendo autonomamente, ci troviamo in presenza di chi crede di scegliere ma invece è scelto, di chi crede di decidere ed è deciso, crede di contare ma invece è contato. E il cittadino democratico, quello in grado di prendere decisioni politiche? Tocca resuscitare Diogene per cercarlo con il lanternino?

Può ancora questa società essere trasformata? Ci sono al suo interno volontà, condizioni, strumenti necessari ad appassionare e mobilitare, aprire con fiducia verso il futuro? Se l’idea che appassiona e mobilita non è la bellezza del territorio, la sua conservazione e miglioramento, come può esserlo la costruzione senza regole e limiti di case ed edifici, che sono ambìti proprio per la bellezza del contesto in cui si collocano, ma che possono costituire per la stessa bellezza da cui sono irresistibilmente attratti un colpo mortale?

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