18. Cari ragazzi e care ragazze

architetti, agronomi, paesaggisti e urbanisti, che vi siete applicati a indagare e a scoprire splendori e miserie del territorio di Maratea, in conseguenza e virtù del master di specializzazione in sociologia del paesaggio organizzato dall’Università di Napoli. Il vostro entusiasmo, il vostro impegno in questi cinque giorni di indagine, mi hanno molto colpito. Grazie anche al contributo di valenti esperti in cura e disegno del paesaggio, venuti a guidarvi nel vostro percorso dalla Francia (Gilles Clement, paesaggista straordinario), dalla Spagna e dall’Argentina, i percorsi di indagine tracciati, i dati e le informazioni da voi raccolte durante gli incontri con gli abitanti del luogo si sono trasformati in una restituzione finale che ci avete proposto, ricca di immagini, tabelle, grafici e video da non far battere ciglio e sbadiglio a me, Pasquale, Mimmo e Pompeo, durante le due ore della vostra esposizione. E come non rimanere coinvolti dal vostro alternarvi nel commentare i progetti su cui vi siete così positivamente impegnati? Componete una piccola e gioiosa falange di ventotto laureati e laureandi alcuni provenienti dalla stessa Maratea, altri da Napoli e da altre città del Sud: quale sicurezza trepida, quale eccitazione competente, che sguardi luminosi ed espressioni emozionate avete offerto in una ammirevole tavolozza espressiva! C’era di che restare sorpresi e ammirati, di che apprendere e nutrirsi… Certo, al momento della vostra “restituzione”, alle 16.30 in punto come da programma, disponibili ad ascoltarvi dentro la sala della biblioteca di Villa Tarantini eravamo soltanto in quattro, due dei quali neppure marateoti. Alle 18.00 – se la montagna non va a Maometto…- avete deciso un temerario blitz, raggiungendo il bar della piazza del centro storico – pioveva a dirotto! – per esporre lì dentro i risultati del vostro lavoro. I pochi avventori stavano riuniti in un angolo a seguire al televisore la partita. Noi quattro, più il proprietario del bar e la sua anziana madre, abbiamo costituito l’intero vostro pubblico. Dovrebbero essere le scuole di ogni ordine e grado ad accogliervi, e magari, in pubblica adunanza, l’intero consiglio comunale. Solo che qui spesso si teme proprio ciò che più vale, e si cerca riparo e rifugio in una indifferenza olimpicamente esibita.

A me, dal vostro articolato dire, mi è venuto da immaginare Maratea come corpo affascinante di una donna bellissima. Delle tante parti di cui il suo territorio si compone, voi avete scelto tre luoghi: quello in alto chiamato La Colla; quello intermedio, Sorginpiano, ricco di acque e di antichi lavatoi e mulini abbandonati; quello ai suoi piedi, e cioè il tratto di costa sul mare che comprende Darsena e Porto. Per ciascuno, una volta indagato e conosciuto, avete suggerito le opportunità di recupero e rilancio. Eravate, alla fine delle due ore di esposizione corale, così felici e stanchi che non è stato proprio il caso di coinvolgervi in ulteriori approfondimenti. Se ne avessi avuto l’opportunità, io avrei aggiunto alla vostra restituzione anche la piccola mia. E avrei detto all’incirca così.

Se posso tradurre l’immagine del territorio e del paesaggio da voi fornita in corpo di donna, io vi avrei detto che voi di questo corpo avete scelto di indagare e mettere a fuoco innanzitutto la nuca, o, se volete, l’umile schiena. Il Passo della Colla, infatti, è la parte del loro territorio dai marateoti effettivamente trascurata, se non addirittura negata e rimossa. E’ infatti il luogo dove è allocata l’enorme discarica che la notte serpeggia di fuochi fatui alimentati dai gas sprigionati. Ed è la zona dove sorge spettrale il capannone dell’ex calzaturificio oggi abbandonato. Voi l’avete definita zona del vento, ma si tratta di un vento freddo e molesto, che sa di vuoto, di abbandono lugubre e marcio. La seconda zona, Sorginpiano, quella a metà altezza del corpo, ancora ricca di sorgenti che alimentavano lavatoi e mulini oggi abbandonati, è assimilabile alle parti idrauliche viscerali: i reni, la vescica. Infine, il Porto e la Darsena, di quel corpo rappresentano i piedi: ma così impacciati dal convergere estivo di un congestionato traffico automobilistico, da risultare spesso ingombri e paralizzati. Vi devo proprio segnalare che queste tre parti del corpo di Maratea che voi avete scelto, sono quelle, posizionate in verticale, più trascurate e problematiche: a differenza di quelle orizzontali e costiere (Castrocucco, Marina, Fiumicello, Cersuta e Acquafredda) che del corpo di Maratea possono essere assimilate ai nobili organi centrali: cuore, polmoni, fegato, braccia e mani. E segnalo ancora che non avete nel vostro lavoro fatto alcun cenno al centro storico che, nel bene e nel male, di quel corpo costituisce la testa pensante. Dunque, gli elementi simbolici e basilari che voi avete scelto, cui ispirarvi nell’indagine, sono il vento, l’acqua e il mare. Bene: ma la pietra e la terra? Non è risaputo che Maratea è molto più legata – morfologicamente, orograficamente, geologicamente, culturalmente – a questi elementi fondativi di quanto paradossalmente non lo sia al mare e all’acqua? E, restando sempre sull’asse in verticale da voi tracciato, non è il solo ex calzaturificio alla Colla a costituire area di abbandono e spreco: e l’area di quello che oggi potrebbe tranquillamente essere definito l’ex ospedale? E quella dell’ex stabilimento Intesa di Fiumicello? Come vedete, zone e strutture abbandonate e sofferenti, di quel corpo pur così bello, non sono poche.

A me è persino venuto da pensare, ascoltandovi con attenzione e rispetto, che il vostro approccio e metodo siano stati in qualche modo influenzati da un modello di progettualità che a me viene da definire compassionevole. Di più: che lo spirito che si direbbe avervi animato, nei confronti di quel corpo territoriale complesso e problematico, sembra ispirato a una sorta di amoroso maternage riparatorio. Il che, data la preponderanza dell’elemento femminile tra di voi, e l’evidente quanto necessaria funzione di chioccia espressa dal vostro coordinatore professor Biagio Cillo, si può anche capire. Come infatti giudicare se non poeticamente compassionevoli certi vostri suggerimenti e rimedi, tipo le pale eoliche per la produzione di energia elettrica necessaria a illuminare di notte i bordi del tratto di strada che attraversa l’area della Colla? Oppure, la trasformazione dell’abbandonato e vuoto capannone dell’ex calzaturificio in sede fieristica dove esporre l’eventuale produzione artigianale tipica della regione, o le sculture naturali in pietra del Litomuseum (quest’ultimo da tempo proposta appassionata e cavallo di battaglia del mio amico Mimmo Longobardi)? Ma allora non sarebbe il caso di procedere in tale direzione in maniera progettualmente più coraggiosa? Due soli esempi al proposito, territorialmente vicini, uno nell’immediato sud, l’altro a nord, a Maratea. Nella calabra Tortora si sta lavorando per realizzare un parco eolico, installato sulla sua zona montagnosa, che, in osservanza a quanto prevede il Protocollo di Kyoto sull’attivazione di fonti di energia rinnovabile, consiste nella messa in opera di una ventina di turbine idonee a produrre 2 Mw/h di energia, sufficienti ad alimentare l’impianto di illuminazione pubblica. Mentre nell’immediato nord, nella campana Torraca, funziona già da tempo, sempre a vantaggio dell’illuminazione pubblica, un impianto a lampioni Led, semiconduttore che emette luce al passaggio dell’energia elettrica grazie a una speciale guarnizione al silicio, e che consente un notevole risparmio energetico insieme a una maggiore sicurezza (vita media stimata di circa 50.000 ore!).

Che la vostra sia stata preoccupazione lodevolissima ma prevalentemente centrata su aspetti e problematicità minori, lo conferma anche il fatto che nel vostro lavoro non vi è cenno ai luoghi che invece, sul territorio di Maratea, la Comunità europea ha definito SIC, e cioè Siti di Interesse Comunitario, per la presenza al loro interno di specie del mondo della fauna e della flora di particolare pregio, quindi assolutamente da proteggere e conservare. La denominazione Sic è stata dalla Ue attribuita a tre tratti della costa di Maratea: quello che ha al suo centro la Secca di Castrocucco, l’altro baricentrato sull’isolotto del Santojanni, mentre il terzo coincide con i fondali, ricchi di poseidonia, della costa di Acquafredda. Il quarto Sic è collocato nell’area del comune di Maratea più lontana dal mare, a quello anzi antitetica, e cioè lungo le pendici e sulla sommità del monte Coccovello che raggiunge i millecinquecento metri. Le quattro aree nominate Sic dalla Ue sono le sorgenti preziose che contribuiscono alla straordinaria bellezza del paesaggio di Maratea. Proporre invece il suo territorio e riassumerlo nelle tre aree da voi prescelte rischia di suggerirne una versione riduttiva e unilaterale.

Vedete, tra noi la diagnosi può anche essere vicina e simile: Maratea è come il corpo splendido ma un po’ trascurato di una Cenerentola che non si decide a diventare regina, una incantevole addormentata Biancaneve che non si sveglia malgrado i baci dei molti innamorati. E’ sulla terapia che un poco divergiamo. Certo, la (forte) differenza di età, la mia (un poco senile) impazienza, sicuramente influiscono. Ma io non credo più che un maternage compassionevole possa oggi per Maratea bastare. Altri probabilmente hanno da essere i modi e gli strumenti, più energici e decisi. Forse ci vuole una campana che suoni a martello, un corno che chiami imperioso a raccolta, perfino un impietoso bisturi, o, abbastanza metaforico, ma non del tutto, un randello. Questo io vi avrei detto se ne avessi avuto il tempo. Ma voi, dopo cinque giorni – e, ho sentito, spesso anche le notti! – a lavorare duro, dopo un così cospicuo raccolto, non vedevate giustamente l’ora di andare a cenare, per poi abbandonarvi alle meritate danze della festa.

Che altro dirvi: che a vedervi e ad ascoltarvi tutte e tutti mi sono perfino commosso. E che mi auguro che a Maratea, per il suo bene, queste esperienze si ripetano ancora, in modo che anche noi vecchioni un po’ inaciditi e bolsi, ma sempre da questa affascinante creatura ammaliati, possiamo esserne beneficamente stimolati.

Che la appassionata energia così abbondantemente profusa vi scorra in corpo ancora a lungo! E che possibilmente si trasformi, in quel di Maratea (magari allocata dentro Villa Nitti), in una permanente e organica Scuola di Alta Formazione per la Tutela e la Valorizzazione dell’Identità del Territorio.

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