22. L’incendiario

Gli spostamenti notturni in auto, d’estate, in una qualunque delle regioni del Sud, rimangono indelebilmente impressi per l’apparire improvviso dei bagliori di uno dei tanti fronti di fuoco. Non è, questo, a caratterizzare l’esperienza di una vacanza estiva in Meridione, dato nuovissimo. Mai però mi era successo, come quest’estate, in misura così allarmante.

Io credo che, a spiegazione, le consuete e ripetute chiavi di lettura non bastino più. Le mire della speculazione edilizia, il business del rimboschimento, la brama di erba nuova per un più proficuo pascolo di mandrie e greggi, l’incremento degli incassi per le società private di elicotteri e canadair, indispensabili per concorrere allo spegnimento e pagate a prestazione, tutto questo e altro ancora – secondo una logica economico/utilitaristica/speculativa -, è risaputo costituisca business che spinge e ispira. Ma, da solo, non spiega più. Quest’anno è subentrata una componente che va oltre la tradizionale abominevole e criminale ratio economica. Quest’anno la numerosità diffusa della presenza di fuochi, l’entità e l’estensione dei danni (80.000 ettari di territorio dati nel 2007 alle fiamme!), inducono a ricercare qualche altra possibile chiave di lettura. Ad esempio, quella legata a intenti di godimento per la pura distruzione e destabilizzazione eversiva. La macchina del disordine e della paura, la potente moltiplicazione dei suoi effetti grazie alla ribalta mediatica, è oramai diventato uno dei principali vettori di manipolazione della pubblica opinione. Il “Piove, governo ladro” è stato aggiornato in: “Il paese brucia, si salvi chi può”, in modo da preparare la strada a una figura di leader politico forte e protettivo, all’Uomo della Provvidenza cui rassegnati e sottomessi consegnarsi. D’altra parte si sa che in molte regioni del Sud le organizzazioni malavitose svolgono sul territorio una azione di controllo capillare. Opportunamente sollecitate e coinvolte, protette e premiate, esse possono svolgere, a fini di intorbidamento e manipolazione sociale, un ruolo per nulla secondario. Ma il degrado e la deriva, cui troppe aree sociali del Sud sono oramai approdate, assumono pulsioni e configurazioni anche peggiori. La frase: “avite a brucià tutti!”, gridata dal pastore di Patti sorpreso ad appiccare incendi – che, ricordiamolo, hanno provocato cinque morti -, o l’ignoto fuciliere che lungo il Volturno spara all’elicottero durante la manovra per il rifornimento d’acqua, sono al proposito immagini emblematiche. Qui entriamo nella dimensione della mera pulsione distruttiva, del cupio dissolvi che non ha nemmeno più le “ragioni”, per quanto miopi e asociali, della ricerca di un qualche tornaconto personale e privato. Qui siamo vicini alla dimensione del carcerato, che avendo perso ogni speranza in una soluzione dei suoi mali, non trova modo migliore per manifestare la sua protesta di quello di infliggersi tagli e ferite. Oppure del gruppo di giovani – come a me è successo di osservare in una di queste serate di incendi a dilagare in alto sui monti – che sulla strada, fuori del bar, ancheggiando al pulsare della musica, brinda alle fiamme che incendiano in alto i boschi in preda a una euforia sguaiata e folle.

Corpo e linguaggio delle regioni del Sud stanno sempre più assumendo i connotati del prigioniero di sé stesso – della propria storia di disastri e sconfitte, della propria impotenza vissuta oramai come irredimibile -, che non trova neppure più la forza di scagliarsi per aggredire chi, esterno, ritiene responsabile dei suoi mali, ripiegando e riducendosi, in preda a disperazione e impotenza, ad aggredire se stesso.

A conferma della mia lettura, suggerisco un altro tassello. Ogni comunità (contrada, quartiere, paese) conosce perfettamente chi, al proprio interno, è il responsabile dei fuochi che a ogni estate divampano. Tutti sanno che è esattamente quel pastore, quel forestale rinnegato, quel tirapiedi dello speculatore edilizio in esibita amicizia con il potente politico di turno, quel precario che campa dei successivi – fino al prossimo incendio – lavori di rimboschimento, quel malavitoso con diffusi e cospicui interessi criminali. Ebbene - e ahimé - nessuno muove un passo per intervenire, alza un dito per denunciare. E’ quindi la comunità intera che è complice e omertosa, è la sub cultura del “chi te lo fa fare, tanto non sono fatti miei…” a prevalere. Il criminale appicca il fuoco, la comunità – il gruppo sociale, la famiglia e i parenti, gli amici e i vicini – sa, ma al rischio della denuncia civile preferisce rintanarsi nella regressione omertosa del mutismo auto protettivo.

Oramai è la logica dell’ impunità a trionfare. Queste sono le poche considerazioni – ahimé, desolate e amare – che affiorano, mentre in auto rientro da una vacanza in luoghi che sono stati e continuano a essere bellissimi, ma che a fine estate si presentano, ai lati della strada, sempre più diffusamente sotto forma di lande pietrose devastate e incenerite dai fuochi di una impotenza rabbiosa e di una disperazione sempre più cupa.

Indice