22. L’incendiario
Gli spostamenti notturni in auto,
d’estate, in una qualunque delle regioni del Sud, rimangono
indelebilmente impressi per l’apparire improvviso dei bagliori di uno dei
tanti fronti di fuoco. Non è, questo, a caratterizzare
l’esperienza di una vacanza estiva in Meridione, dato nuovissimo. Mai
però mi era successo, come quest’estate, in misura così
allarmante.
Io credo che, a spiegazione, le
consuete e ripetute chiavi di lettura non bastino più. Le mire della
speculazione edilizia, il business del rimboschimento, la brama di erba nuova
per un più proficuo pascolo di mandrie e greggi, l’incremento
degli incassi per le società private di elicotteri e canadair, indispensabili per concorrere
allo spegnimento e pagate a prestazione, tutto questo e altro ancora –
secondo una logica economico/utilitaristica/speculativa -, è risaputo
costituisca business che spinge e ispira. Ma, da solo, non spiega più.
Quest’anno è subentrata una componente che va oltre la
tradizionale abominevole e criminale ratio
economica. Quest’anno la numerosità diffusa della presenza di
fuochi, l’entità e l’estensione dei danni (
Corpo e linguaggio delle regioni del
Sud stanno sempre più assumendo i connotati del prigioniero di sé
stesso – della propria storia di disastri e sconfitte, della propria
impotenza vissuta oramai come irredimibile -, che non trova neppure più
la forza di scagliarsi per aggredire chi, esterno, ritiene responsabile dei
suoi mali, ripiegando e riducendosi, in preda a disperazione e impotenza, ad
aggredire se stesso.
A conferma della mia lettura,
suggerisco un altro tassello. Ogni comunità (contrada, quartiere, paese)
conosce perfettamente chi, al proprio interno, è il responsabile dei
fuochi che a ogni estate divampano. Tutti sanno che è esattamente quel
pastore, quel forestale rinnegato, quel tirapiedi dello speculatore edilizio in
esibita amicizia con il potente politico di turno, quel precario che campa dei
successivi – fino al prossimo incendio – lavori di rimboschimento,
quel malavitoso con diffusi e cospicui interessi criminali. Ebbene - e
ahimé - nessuno muove un passo per intervenire, alza un dito per
denunciare. E’ quindi la comunità intera che è complice e
omertosa, è la sub cultura del “chi te lo fa fare, tanto non sono
fatti miei…” a prevalere. Il criminale appicca il fuoco, la comunità
– il gruppo sociale, la famiglia e i parenti, gli amici e i vicini
– sa, ma al rischio della denuncia civile preferisce rintanarsi nella
regressione omertosa del mutismo auto protettivo.
Oramai è la logica
dell’ impunità a trionfare. Queste sono le poche considerazioni
– ahimé, desolate e amare – che affiorano, mentre in auto
rientro da una vacanza in luoghi che sono stati e continuano a essere
bellissimi, ma che a fine estate si presentano, ai lati della strada, sempre
più diffusamente sotto forma di lande pietrose devastate e incenerite
dai fuochi di una impotenza rabbiosa e di una disperazione sempre più
cupa.