Non si può proseguire oltre,
c’è bisogno di un forte cambiamento. Continuando ad agire e
operare così come si sta facendo, rischiamo di lasciare in
eredità ai nostri figli, e ai figli dei nostri figli, più
ostacoli, difficoltà e problemi che ricchezza e benefici. Così
come le automobili nelle città da soluzione geniale per velocizzare gli
spostamenti si sono trasformate in causa di inquinamento e paralisi, la
proliferazione sregolata di case e la cementificazione incontrollata dei suoli
si stanno trasformando da ornamento estetico e cornucopia residenzial-abitativa
in spreco speculativo e bruttura. E quel che è peggio, noi camminiamo su
questa strada come se essa fosse l’unica possibile, senza renderci conto
della direzione sbagliata su cui porta. Una comunità che decide di non
darsi regole vincolanti perché preferisce dare libero sfogo ai suoi
appetiti, senza preoccuparsi dei loro effetti e delle conseguenze negative sul
territorio e sull’ambiente, rischia di sperperare irrimediabilmente le
sue risorse, rischia di ammalarsi seriamente e perire. Molte altre
realtà, molti altri luoghi e città, nel percorrere questa strada
hanno già superato il punto di non ritorno, sono alla bancarotta e al
collasso. Maratea è ancora in grado di riflettere, rimediare, rinsavire.
Purché lo voglia e decida, purché coerentemente si dia da fare e
agisca.
Il mio lavoro può anche
chiudersi qui con un (provvisorio) commiato. A me è venuto perfino da
pensare – o l’avrò sognato? – che Maratea si vada
trasformando in una platea di case vuote disposte a ranghi serrati, una accanto
all’altra, faccia al mare come tante lucertole infreddolite. Rivolte al
sole in contemplazione della sottostante liquida immensità enigmatica,
evocano l’atmosfera onirica e misteriosa del Solaris di Tarkovskij. E non demordono, non rinunciano, anzi
aumentano e infittiscono.
Anche il cimitero, che tiene dentro
sepolti i miei amici Sergio, Filippo, Aldo e Antonio, sta da sempre nella
stessa postura, immoto e silenzioso come grido tanto lancinante e forte da non
poter essere udito. Ma tutti noi, vivi e defunti, non siamo nell’intimo
in spasmodica attesa di un lieto fine, di un finale e definitivo annuncio di
salvezza?