Generazioni. Adolescenti.
Sono maschio e femmina sui dodici anni. Non so neppure il loro
nome. Li incontro e osservo ogni mattina sulla spiaggia e nel tratto di mare
dove abitualmente mi bagno. Sono tra di loro amici inseparabili, figli di
famiglie che provengono da Napoli, forse frequentano la stessa scuola, o
persino la stessa classe. Forse sono cugini, forse
fidanzatini, ma sul piano dello scambio e della relazione non lo danno
esplicitamente a vedere. Si cercano e si tengono d’occhio, stanno sempre
vicini, o a contatto di voce. Sono di pelle scurissimi,
grazie anche a una splendida abbronzatura. Neri i capelli, neri gli occhi, si
direbbero fatti come probabilmente lo erano milioni di
anni fa i nostri adolescenti antenati.
La ragazzina è una piccola Nausicaa
armoniosa, morbida e già sensibilmente curvilinea. E’ fornita di adipe femminile nei punti canonici, là dove serve
e servirà, già gentilmente rotondeggianti. Si intravede
preannunciato il suo destino biologico di futuro contenitore materno. Il
ragazzino è invece longilineo ed elegantemente affusolato, un misto tra
il muscolo in rilievo e lo spigolo ossuto. Si coglie già perfettamente
disegnata la sua futura parte e arte nel penetrare, riempire, abbracciare,
farsi contenere, proteggere.
Sono belli, armoniosi, teneri, strutturati
per essere predisposti al loro naturale destino. Non danno confidenza a chi sta
loro accanto o vicino, giocano insieme a emularsi in
calate e tuffi, capriole e improvvise furiose bracciate. Neanche tra di loro comunicano verbalmente più di tanto:
è come se la loro reciproca presenza li appagasse. A volte stanno a
lungo ad osservare i giochi rumorosi di fratellini e cuginetti, a volte si
stufano della compagnia e si allontanano a colpi di pagaia in canoa.
Dovunque siano, qualsiasi cosa facciano,
è come stessero al riparo di una impenetrabile aura magica, sotto una
campana protettiva. Non alzano la voce, non si alterano né si irritano, non reagiscono mai indispettiti. Di preferenza
sorridono. Non sono di, non appartengono a, non sono legati o correlati se non
a se stessi. Non gridano né schiamazzano, non fanno nulla di sgraziato o
scomposto. Saranno divinità olimpiche sotto mentite spoglie?
Ci vediamo tutte le mattine da un paio di settimane per almeno un paio d’ore. Io, senza essere indiscreto o invasivo, li
osservo. Io so che anche loro hanno percepito la curiosità benevola del
mio sguardo, mi pare anche di avere capito che tutto sommato lo apprezzano come omaggio loro dovuto. Ma
da perfetti principini, o da beati abitanti
dell’Eliso, non lo segnalano.
L’affinità che percepisco con il maschietto
mi viene molto anche dal fatto che io, alla sua età, per come mi ricordo
non ero nella sostanza diverso. Magro e alto, affusolato e
puntuto, elegante e snello, abbronzato e moro. Oserei dire, quanto oggi
lui, anch’io allora bello. Non è male potersi rivedere, nella
sostanza, sotto effigie uguale, a distanza di tanto tempo. Come si è
belli e leggeri a dodici anni! Come si è partecipi e presenti,
distaccati e alteri. Come si può non essere affatto
volgari, sgraziati, violenti e aggressivi. Come se tutto ciò che ci
circonda non ci toccasse, come noi fossimo di tutto
perno e baricentro – e nello stesso tempo imperniati e baricentrati altrove.
La coppia di ragazzini mi induce a
ricordare come è stato dolce quel primo antico idillio, quel morbido e
rapido bacio. Quali furiose palpitazioni! Che
irrompenti e imbarazzanti erezioni! Come era dolce e
fluida la vita, come appariva trasparente e pulita. Ora di quella dimensione
rimane solo un alone di consapevolezza amara, qualche irruzione la notte sotto
forma di sogno tardivo, di fitta al cuore acuta: e queste ore mattutine, diventate consuetudine dolce, con questa coppia in
miniatura, intensa e primitiva. A me è venuta da associarla alle
immagini che chiudono Mission, il film di Roland Joffé, ambientato
nella foresta amazzonica. Dopo la guerra feroce e distruttiva dei portoghesi
contro le tribù dei nativi guidate dai gesuiti
– oh, la recitazione ruggente ed epica di Robert
De Niro! –, alla fine alla carneficina
sopravvivono soltanto due ragazzini, maschio e femmina
adolescenti. Nudi salgono sulla piroga, silenziosi e determinati si
avviano lasciandosi trasportare dalla corrente – oh, con che
intensità struggente li accompagna la musica di Ennio
Morricone…!.
I piccoli fidanzatini napoletani sono bellissimi e misteriosi. Sono
il campione di una umanità tenace e
irriducibile, contro tutti, malgrado tutto. Sono l’essere umano aurorale
che non cede e si rinnova. Oggi qui, beninteso, non ci sono ancora le armate portoghesi
e spagnole a cannoneggiarci e fare strage, ma, sapete, anche quelle dei ladrones berluscones mica
scherzano…
Ora forse avrete capito meglio alle prese con quali immagini e
riflessioni io trascorro le mie mattinate al mare. Non
sarò Virginia Woolf, ma anch’io ho le mie onde e le mie ore.