Vacanze al Sud. Quando la comunità dice: ciao!
Le cose sono andate così. Per un concorso di circostanze
– abbastanza casuali ma non del tutto, perché niente nella vita
è del tutto casuale - partecipo a una assemblea della
popolazione di un paese della costa lucana dove non sono praticamente mai
realmente entrato, e, coinvolto e immedesimato nella discussione dei temi
trattati, decido di intervenire. E dico la mia come mi
viene, la dico con le parole sincere, la dico bene. A spingermi a intervenire è anche la passione,
l’intensità della partecipazione di chi dal pubblico interviene.
Il pubblico applaude, approva ridendo o dissentendo fischia. Si
discute di una emergenza seria: una frana ha
interrotto la strada statale che lungo la costa porta da una parte alla scuola,
dall’altra all’ospedale.
La comunità rischia così di rimanere chiusa e strangolata,
e questo arriva dopo un regresso dei servizi pubblici che nei tempi sono andati costantemente a ritroso, un percorso come fa il
gambero verso il suo buio e triste buco. Questo non è
più tollerabile, non è più possibile accettare.
Cedere ancora significa definitivamente affondare. Insomma, uno di quei momenti
in cui la comunità nel suo insieme capisce al meglio tutto, sperimenta
l’insopportabilità della sua situazione ma anche la propria
residua e intatta forza. E quindi decidere come
efficacemente reagire.
Mi colpisce il fatto che durante i vari
interventi che nel ribollire del pubblico si succedono, l’acme delle
passioni è tale che una donna, emblema e sintomo
dell’incandescenza, si alza
all’improvviso di scatto dalla sedia, attraversa a grandi falcate l’intera sala
agitata da una vistosa ed esplosiva collera, esce di scena per poi dopo pochi
istanti ricomparire in qualche misura ricomposta, per tornare a sedersi come chi desidera non perdere del
dibattito neanche una battuta. E dopo un po’ punto e a capo: la collera
riprende il sopravvento, la signora – nera e furiosa come una mini
atomica - si
rialza paonazza in volto, riattraversa come uno spettro irato la sala e si
catapulta all’esterno. Per poi, ripreso il controllo, ricomparire e
ricominciare tutto daccapo. Un tumulto alla Living Theatre magistralmente
recitato. Un drammatico quadro in stile Géricault: la comunità prende decisioni sul
suo futuro.
Perché questa può
diventare la dimensione collettiva: un unico e clamoroso corpo pulsante che fa
da cassa di risonanza e moltiplicatore delle singole e individuali emozioni,
collere, passioni. Una magnifica e potente centrifuga in
azione.
Bene, io ho fatto il mio intervento di appoggio
e solidarietà schietto e sincero, ho avuto la mia dose di applausi, e
sono da quella bella e tempestosa sala uscito. Risalendo la strada verso la mia
auto, all’improvviso mi si para davanti un ragazzetto mai visto prima
sgusciante in bicicletta come un elfo, mi zigzaga intorno e mi butta lì
lo schiocco caldo di un inaspettato: ciao! Io ci rimango secco. Ecco, mi sono
detto, questa è la comunità che, senza alcun mandato esplicito, ma per dirmi
comunque che ha apprezzato l’intervento, ha scelto come interprete e messaggero
il suo più vispo ragazzetto - che credo neppure rivedrò mai
più. E’ in quei momenti lì che le umane cose ti appaiono
nel loro vero significato e senso. Hai dato a un
gruppo sociale in difficoltà il tuo schietto e gratuito contributo,
ovviamente in nulla risolutivo. Ma quelli ti hanno
perfettamente inteso e quindi ti ringraziano.
Io, di quel ragazzetto finto sbadato che sgusciandomi davanti a nome dell’intera comunità mi ha salutato, mi sono
istantaneamente innamorato. Voi dite che sono esagerato?
Ho capito che se ti rendi non fintamente o per calcolo disponibile, la gente di
un luogo, la sua parte viva, ti registra e apprezza, ti è grata. Mai sperimentato tanta richiesta di solidarietà e appoggio
come in questo periodo. Siamo tutti oppressi e stressati, stiamo male,
ma non ci arrendiamo: vogliamo riprendere a camminare a testa alta, e
possibilmente volare!