Vacanze al Sud. Cosmopolitismo e campanacci.
Mi chiamo Francesco, ma qui mi conoscono tutti come
Questo posto qui potrebbe stare anche nell’alto Tirolo, o in Baviera Qui ci sono
le mucche e le capre, le galline e i conigli, il gallo, l’orto e il
porco. Il mare è soltanto una bella e
inquietante assenza. C’è, si sa che c’è, si
può facilmente raggiungere, ma non si vede. E’ il nostro perenne e
fantasmatico convitato d’acqua. E’ la
nostra anima nascosta, l’adorata mamma che è partita. Qui vive chi
si accontenta del nutrimento di una terra fertile e morbida. Qui il mondo degli
affari vocianti e dei traffici importanti è
assente, il ritmo è quello lento e solenne delle stagioni, dell’ora et labora di un monastero benedettino.
Sono capitato qui dieci anni fa, dopo una stagione politicamente e
socialmente convulsa, ricca di impegni, progetti,
incontri. Ho viaggiato in Europa e India, Brasile e Australia. Ho commerciato e
commercio pietre preziose, ma prima sognavo la
rivoluzione, un mondo senza sfruttamento e ingiustizie. Arrivato alla fine qui,
dopo avventure e disavventure, conquiste e sconfitte, approdato in questa valle
che si inerpica lenta sulla montagna,tra gente
semplice e sana, ho capito che ero tornato a casa, al paese della mia infanzia
che sta nell’interno fondo della Basilicata. Mi ci sono
fermato per un po’, avevo bisogno di raccoglimento e pace. Poi mi
sono detto: ma qui, in questa verde e silenziosa quiete, posso creare la mia
dimora, un luogo dove stare bene con i miei, accogliere e ospitare i tanti
amici incontrati per le strade e le città del mondo, tutti quelli che
come me amano le camminate nei boschi, le nuotate in
un mare ancora non del tutto inquinato, a portata di un cibo buono direttamente
coltivato, colto e cucinato, le serate e le notti trascorse a conversare,
suonare e cantare.
Ho iniziato da una piccola casa ospitale, poi via via ho acquisito a poco prezzo terreni abbandonati e ovili
annessi, ho abbellito e ristrutturato, ho reso il tutto civile e accogliente.
Con le mie risorse, con il mio lavoro, con l’aiuto di qualcuno dei
paesani curiosi e disponibili e degli amici accorsi a darmi una mano, ho creato
una accogliente casa aperta. Ora d’estate
arrivano a decine singoli e coppie, famiglie e gruppi.
Si fermano quanto desiderano, danno tutti una mano e
un contributo per far fronte alle spese. Ognuno mette a disposizione e in
comune quello che è, quello che ha. Ci sono serate che siamo anche in
trenta: giapponesi e indiani, berlinesi e carioca, parigini e neri della
Martinica. Chi suona e fa musica, chi fa ginnastica e chi
danza. Chi raccoglie le verdure nell’orto, le pulisce e le cucina.
Chi pulisce e sistema casa. Cosa ho creato: un
agriturismo, un bed and breakfast, un ostello, una
comune, un rifugio? Niente di tutto ciò formalmente
definito e definitivo, un po’ di tutto questo. Qui non si sfrutta,
non si specula né si traffica, qui non c’è spazio per il
linguaggio della sopraffazione e della violenza. Qui sono curiosità e
competenza, attenzione ed esperienza, la voglia di incontro
e amicizia a cercare e trovare la loro giusta forma. Qui siamo tutti uguali e
fratelli uniti dal desiderio di creare e godere i benefici della vecchia e
gloriosa comune, senza eccessi, preclusioni, ideologismi. Diciamo
che si tratta di una versione aggiornata della comune: meno programmatica e
ideologica, più saggia, equilibrata e ben temperata.
Come ci vive qui la gente del luogo? Bé,
intanto è felice della novità e del movimento causato dal piccolo
e costante flusso di arrivi e presenze, della possibilità
di nuovi incontri e conoscenze. Poi è contenta degli acquisti crescenti
di prodotti che noi effettuiamo presso contadini,
allevatori e pastori. Infine, da quando hanno visto e capito che
c’è in giro un bisogno crescente e diffuso di trascorrere un
periodo a godere qui le bellezze naturali e la quiete, e che questo si traduce
in una possibilità di incremento di reddito
anche per loro, si sono un po’ tutti svegliati, si danno da fare,
affittano stanze e propongono i loro prodotti in maniera più organizzata
e costante. Qui sta prendendo piede, grazie anche a noi, una
sorta di turismo leggero, ospitale, amicale. Stiamo tutti meglio: noi di
sicuro, ma anche loro e in modo nuovo.
(All’arrivo alla casa/comune di Francesco ci ha accolto un
simpaticissimo vecchietto con il bastone e privo di un braccio. “Volete
sapere chi sono io?” ci ha chiesto. E si è risposto da solo:
“io sono un guaglione di anni
ottantaquattro!” E dalla bocca sdentata è partita una grande
risata. E quando ce ne siamo andati dopo l’una, sulla piazza della chiesa
di Brefaro abbiamo incontrato quattro ragazzetti
infuriati che ci hanno fermato e implorato: “vi
preghiamo, per favore, dateci un passaggio fino a Maratea: vogliamo vedere un
po’ di gente!”).