Declinazioni estive: i possibili nomi di Dio godendo una magnifica vacanza.

Il brivido ghiacciato che sale lungo il corpo quando entri nel mare di Acquafredda. L’incontro sublime dell’acqua e del sole sulla pelle, la sua gratitudine estasiata.

L’immagine di Biagio e sua moglie che la sera al tramonto da trent’anni vedo passeggiare in silenzio lungo i gironi della statale 18. Il loro incarnare la tenacia di un rapporto immortale.

Il gruppo famigliare classico, marito, moglie e figlio, che ha fatto affamato l’altra sera irruzione al ristorante da Cesarino. Da anni li avevo persi di vista, si sono inaspettatamente ripresentati con un’aria stampata sui corpi e sui volti di felicità così piena da restarne incantati.

L’accavallarsi sul filo dell’orizzonte, mentre in macchina procedo lungo le giravolte della costa intrattenuto dai corali di Bach, dell’arabesco di mari e monti.

Il morso sui bocconotti alla crema e visciole di Pansa su al centro storico di Maratea.

L’esperienza carnale e mistica dei sapori di marmellate, formaggi, affettati e rosoli lucani serviti, a un tavolino incorniciato tra i vicoli, da mastro Nicolino.

La premura affettuosa con cui i camerieri dioscuri Giovanni e Bruno, sulla terrazza del Gabbiano, mi versano nel bicchiere il nettare di una Falanghina.

Il gatto randagio bianco e nero che a mezzanotte in punto, mentre indaffarato scrivo sotto il pergolato della terrazza dell’ex frantoio di Ermanno, mi raggiunge silenzioso, mi si siede ai piedi girandomi altero la schiena, e da lì per ore non si muove come se non solo apprezzasse quello che scrivo, ma si fosse anche eletto padrone mio.

Il massaggio egiziano di Dia al centro benessere di Villa del Mare. Dia è il personaggio di un libro di Lewis Carrol: lui non esiste, esistono solo le sue mani e la dolcezza del sorriso, ma è quanto più ti fa avvicinare all’esperienza del paradiso.

Il barone Eduardo che a ottant’anni e passa la sera partecipa felice alle feste di musica e danza organizzate dai giovani alla canonica; ed è così allegramente coinvolto da accennare come un antico dio Pan a qualche passo di taranta.

I burattini sul lungomare di Sapri goduti attraverso le espressioni che si alternano sui visi dei bambini: lo sgomento e lo stupore, la risata che prorompe matta e il grido di terrore non li potrete mai godere più intensamente altrove.

Gino e Rosaria che puliscono e porgono a tavola da Peppe il pesce al sale: e non sapete se dare la palma dell’eccellenza al sapore squisito del pesce o alla sollecitudine paziente dei vostri due angeli protettori.

L’avere trascorso un mese intero senza televisore – inteso anche come semplice soprammobile – e avere constatato che senza la chiacchiera televisiva e i grotteschi jingles pubblicitari la mente è più libera e leggera, il pensiero e l’immaginazione scorrono fluidi, la giornata è meno irretita e impastoiata in artificiose trappole e beghe.

Le foto sul sito di Biagio Calderano che procedono puntuali e quotidiane a ondate successive come un esercito di giovinette guerriere, e ogni volta che le guardi scopri quanto è profondamente iscritta su facce e corpi natura, storia e antropologia della gente lucana.

I bambinetti di due o tre anni che nel loro vagabondare ed esplorare il mondo tra gli ombrelloni in spiaggia o tra i tavoli del ristorante improvvisamente si avvicinano, ti guardano dritto negli occhi, ti sorridono e dicono ciao!, poi si girano e scompaiono e tu probabilmente non li vedrai mai più. E ci rimani proprio secco, e ti consoli dicendo: è passato un angelo.

Una notte intera di maestrale forte e teso che rotola giù dalle gole del monte Coccovello urlando come un pazzo, piegando imperioso querce, lecci e ulivi manco fossero canne, e poi tuffandosi nel mare con la foga di uno stallone eccitato.

I caleidoscopi di Pompeo, frammenti perfetti di un ricordo delle spiagge di Maratea, il suo trascorrere infaticabile dalla solerzia creativa dell’artigiano all’impegno a favore del territorio.

Cecilia che, colpito a tradimento da un vigliacco colpo della strega, non solo mi ha pazientemente sopportato, ma pure accarezzato e massaggiato con un affetto devo confessare da me ben poco meritato.

La luce purissima di cui a dieci anni Alice è origine, radice e fulgida portatrice.

Un cane lontano che abbaia, una capra che bela, il grido esasperato di un vicino che litiga: insomma, la riprova che la vacanza giusta è quella che riconnette stessi, le persone e la natura in assenza totale della broda televisiva: poche indispensabili telefonate, poco internet, cibo e vino buono, passeggiate e nuotate, molta lettura e scrittura. Che la dimensione vacanziera più vicina a Dio sia quella dell’ozio creativo, della cura di sé e dell’amicizia? E ora che ciascuno aggiunga ai miei i suoi felici nomi.

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