Maratea e i suoi “dissuasori (im)mobili”
Qualcuno dice che l’altro giorno su
questo giornale sono stato troppo critico nei confronti della condizione in cui
versa Maratea. Io trasecolo e sbalordisco. Ma come, da
trent’anni frequento Maratea, dopo esserci vissuto
i primi cinque, credo di conoscerla sempre meglio e continuo ad amarla. Ma cari i miei detrattori, vogliamo fare onestamente i conti
con il principio di realtà e provare ad elencare in sommario bilancio
alcuni punti dolenti del tutto fondati e veritieri?
Ho conosciuto Maratea quando ancora
c’era
Ma vogliamo dedicare, come faccio malinconicamente oramai da anni,
un cenno alla eternamente sottosopra Villa Nitti? Ora si sta ricoprendo la sotterranea sala conferenze
con uno strato di terra così sottile che non si capisce come possano
attecchire fiori e piante. Ma è proprio su quel terreno
all’origine grasso e naturale che prima sorgevano
alberi da frutta e vigneti!
E i bagni costruiti quindici anni fa sulla spiaggia Luppa di Acquafredda
e mai inaugurati e utilizzati? Mi pare fosse il 1997
quando con l’associazione Amici di Acquafredda
e Cersuta manifestammo con pentole e striscioni per
richiamare l’attenzione del Comune su quell’inutile
sperpero. Sindaco allora era Francesco Sisinni che venne a raggiungere i manifestanti in spiaggia,
rassicurò, promise. I bagni pubblici sono sempre là completi ma ermeticamente chiusi, i turisti vacanzieri in
stato di impellente necessità fisiologica devono appartarsi tra scogli e
cespugli fidando sulla comprensione degli eventuali e malcapitati spettatori.
Quest’anno ad Acquafredda anche il campanile
della Chiesa fa i capricci e si rifiuta di suonare i quarti dell’ora.
Segnala solo gli interi, non le frazioni. Ma, stranamente, ogni quarto
d’ora ripete i rintocchi completi dell’ora cui si riferiscono. Per dire: mezzanotte risuona intera per ben
quattro volte. Sarà un segnale di impazzimento in sintonia con i tempi? A
confermarlo, ce ne fosse bisogno, l’altoparlante della stazione
ferroviaria dove non si ferma più un treno. Ciò
malgrado, immancabile, la voce dell’altoparlante annuncia stentorea
l’arrivo di treni che da anni non fermano più. “I
signori viaggiatori sono invitati a non sostare oltre la linea gialla!”. Ma se non ci sono più viaggiatori né in arrivo
né in partenza! Il paese è piccolo, la cornice delle montagne fanno da cassa di risonanza. Si direbbe una voce metallica
che dal nulla si propaga a intermittenza a vantaggio
di niente e nessuno. Ma perché qualcuno non interviene a interrompere annunci ferroviari inutili, aggiustare
sonerie di orologi di campanili, inaugurare e attivare bagni pubblici da anni
pronti, terminare lavori su Ville storiche trasformate in vacche le cui floride
mammelle mungere? Ma siamo dentro uno scenario del
Deserto dei Tartari o di un racconto kafkiano?
Un momento, dimenticavo: una novità quest’anno
a Maratea effettivamente c’é. Li hanno pomposamente definiti i
“dissuasori mobili”. L’idea è buona, sono pilastrini posti all’ingresso del centro storico che
impediscono ai furbetti di entrare con l’auto quando
vige il divieto di accesso. E quando il divieto non
c’é, i “dissuasori mobili” simpaticamente rientrano
sotto il pelo della strada. A me è venuto di utilizzarne il nome
per modificarlo in senso diverso ma forse più pertinente. Ho pensato ai
“dissuasori immobili”, entità negative che in questi anni
recenti si direbbe abbiano condizionato clima e
andamento delle cose a Maratea. Ora, in aggiunta, è arrivata anche la
bassa marea della generale e universale crisi economica. A Maratea la natura
è splendida e il sole fulgido: ma verrebbe invece da dire
che piove sul bagnato.
Ma ora bando alle
amarezze. A Brefaro, Francesco, detto “O Frangese”, mi ha fatto assaggiare delle splendide
tagliatelle ricoperte con scaglie di tartufo. Scendendo in macchina verso il
mare ho messo ad alto volume una splendida Messa Solenne per coro e orchestra
di Bach. Scivolando lungo i tornanti ho contemplato
estasiato il Golfo accompagnato dai picchi sublimi di una musica celestiale. Vi
assicuro che quella che si sfiora può appropriatamente definirsi
felicità. Provare per credere.