Vacanze al Sud.    Elogio del notturno camminare estivo.

Otto chilometri  di notte a piedi sospesi tra la montagna e il mare. Il camminare a lungo vi fa innanzitutto riscoprire il corpo, le sue parti, gli arti, i piedi, i muscoli, la gioia del ritmo elastico e prolungato, lo sforzo e la fatica dell’esercizio fisico, una circolazione più libera e rapida del sangue nelle arterie, un flusso maggiore di ossigeno ai polmoni e al cervello, un fluire di riflessioni, immagini, ricordi, pensieri, che lo stare seduto al chiuso in larga misura addormenta e inibisce. Il farlo di notte (da mezzanotte alle due) su un tratto di strada (la statale 18 tra Sapri e Acquafredda di Maratea) praticamente priva di illuminazione pubblica, fuori quindi dall’inquinamento luminoso invasivo proprio degli agglomerati urbani, consente di sperimentare lo sguardo sciolto dalla schiavitù indotta da chi ti fa vedere  solo ciò che lui vuole. Il cielo sopra la testa trapunto di scintillanti stelle, ad esempio, con lo sfarzo favoloso della Via Lattea che lo attraversa in tutta la sua lunghezza come scia di latte schiumante e vaporoso.   Stamattina poi, dopo un periodo di uggiosa  papagna e quotidiane paturnie temporalesche, un maestrale vigoroso ha spazzato via ogni appiccicosa e plumbea nebbia, restituendo all’aria una luminosità perfetta. Tutto è ora nitido nei suoi contorni e vestito a festa, contrasti, sfumature e colori sono esaltati. Il creato è come fosse illuminato non solo dall’alto e dall’esterno, ma anche da una sua misteriosa e irraggiante luce interna.

Il mare del Golfo di Policastro e le montagne lucane che lo delimitano si prestano poi benissimo a valorizzarsi reciprocamente nel gioco del contrasto. Voi prendete con il vostro passo un ritmo insieme vigoroso e rilassato, e il movimento zigzagante nel suo lento salire vi regala mutamenti di scorci, prospettiva e visuale continui. Il pulsante brillare delle stelle in cielo, lo sfavillio tremulo dei centri abitati che incendia l’orlo del Golfo (Sapri e Villammare, Policastro e Scario), si muovono e ruotano lentamente al vostro sguardo come visione di gigantesco caleidoscopio.   

La notte è fresca, nel vostro andare vi accompagna  soccorrevole la carezza di un venticello profumato, il transito di auto in questo periodo e a questo orario è del tutto diradato: in due ore non più di dieci rombanti passaggi. Delle dieci, due hanno vistosamente scartato al mio essere inquadrato dai loro fari. Vista la musica sparata e percussiva, tenevano sicuramente a bordo giovani. Da una è partito uno strombazzare violento e irridente del clacson. Dall’altra, durante il passaggio, grida di inverecondo scherno. Un anziano che inaspettatamente cammini la notte lungo una strada lontano dal centro abitato deve da alcuni essere considerata cosa oscena e folle.  L’eroe di questi giovani deve essere Valentino Rossi, grande campione di rombanti motori,  e grande evasore fiscale. 

Tutti i fattori, o quasi,  sono comunque favorevoli  alla scoperta di una dimensione antica e nello stesso tempo nuova e riscoperta: la dimensione della bellezza notturna di una scena dove domina e trionfa la natura. Ed essendo la abituale  preponderanza dell’artefatto e artificiale costretta ai margini e in sordina, il corporeo e interiore umano si espande e respira.

Dicevo del diverso e rinnovato flusso delle immagini e del pensiero: a un certo punto del percorso, tanto esso zampillava vigoroso, mi sono scoperto  parlare ad alta voce da solo,  abbandonarmi a esclamazioni e risate come un ilare e inoffensivo folle, totalmente preso dall’euforia che il ritmo elastico e bilanciato del passo mi liberava dentro. Stanotte ho avuto conferma di quanto il camminare a lungo con passo sostenuto, in un contesto leggero, gradevole, propizio, sia beneficamente terapeutico. Qualcuno dirà: camminare solo, di notte, al buio, lontano dai centri abitati, lungo un percorso che costeggia balze di montagna, dirupi e precipizi…  In effetti, un qualche piccolo problema si pone, mettendovi a contatto con emozioni non sempre del tutto gradevoli e piane. Ci sono, ad esempio e a un certo punto del percorso, un paio di piazzole sul ciglio a strapiombo verso il mare conosciute in zona perché qualcuno disperato le ha scelte per superare di slancio il parapetto. E a un certo punto si incrocia sul muretto il perenne mazzo di fiori deposto a ricordare l’incidente in moto che ha tolto la vita a un ragazzo. E a me che passo lì accanto nottetempo, viene per associazione da ricordare l’amico morto annegato in un lago di montagna, e tirato fuori dopo ore dalle acque livido e  pietrificato. Qualche notte dopo, per sfida adolescente alla paura – perché il coraggio altro non è che paura della paura - , ho voluto farmi da solo a piedi il giro della strada attorno al lago. E dall’altra parte del paese, Molveno, c’erano ad attendermi inquietanti le luci tremule del cimitero.  

Finita la progressiva e lenta salita che da Sapri porta ad Acquafredda, al primo luogo abitato della Basilicata lungo la costa tirrenica si viene introdotti attraversando una galleria lunga centinaia di metri completamente buia. Non più stelle sopra di noi, non più misteriosa immensità liquida a lato, si è all’improvviso sequestrati e chiusi dal ventre roccioso della montagna. Un disastro per chiunque soffra di claustrofobia, comunque un tuffo al cuore che smuove emozioni e fantasie altrettanto nere. Chiunque là dentro potrebbe tendere agguati da cui non ci si potrebbe difendere. In più, dall’alto della volta delle pareti arrivano scrosci della caduta di acque partorite da cavità fonde. Una sinfonia di schiocchi e colpi al cuore che magari alla luce del giorno si definirebbero canterini, ma che al buio pesto suonano un po’ sinistri e lugubri.  Ma ecco che si intravede con sollievo il chiarore dell’uscita, e finalmente si approda sulla terrazza panoramica da cui si contempla l’immagine notturna della prediletta Acquafredda.  Sagomata lungo la riva dalle luci degli alberghi: in alto, all’inizio dei balzi della roccia, dalla silhouette  della statua della madonnina; al centro, dalla  striscia di case raggrumate lungo la statale come gregge mansueto di pecore allo stabbio;  in basso, dalla massa vasta, fremente e liquida della nostra anima.     

Dopo gli otto chilometri di camminata, addormentandovi alle tre, non vi aspettate di risvegliarvi prima delle dodici. Ma vi garantisco che nel sonno vi verranno a trovare in lieta sarabanda sogni di tutti i tipi e i generi, legati al vostro oggi, ieri e l’altro ieri. E sarà come continuare le emozioni della bella passeggiata in un’altra lisergica esperienza onirica.

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