Vacanze al Sud.
Generi. Femminile e
maschile.
La mattina esco di casa, e giusto di
fronte alla mia porta incrocio tre cospicue figure femminili che stazionano
permanentemente sul terrazzo di casa loro: nonna di ottanta, figlia di
sessanta, nipotina di sei. La madre della bambina lavora,
altrimenti, a presidiare, le donne sarebbero perennemente in quattro.
Sono tutte, su scala diversa, una corpulenta copia conforme dell’altra, e
si muovono dondolando
in sintonia e replica. Non c’è modo di evitarle:
sono lì inamovibili a controllare. Ciao, buon giorno, dove vai? Ciao, buonasera, da dove vieni? E’ una sorta di dazio e dogana:
devi raccontare, spiegare, precisare. Non puoi evitare, non puoi sottrarti, non puoi
saltare pegno o turno. Stanno lì come le parche comari di tre
generazioni diverse a tessere il loro filo. Tu sei la mosca caduta nella
ragnatela, loro fameliche ti annusano, ti insalivano e
mangiano. Dopo il rito, mentre ogni volta prosegui miracolosamente indenne e
sopravvissuto, ascolti la bimbetta che, senza filtri né freni, dice
esplicita quello che nonna e bisnonna sottovoce bisbigliano: dov’è
sua moglie? Quando arriva? Chi sono gli
amici che lo vanno a trovare? Perché non
lavora? Ma che cosa scriverà quando passa ore a
pigiare i tasti del computer? Di cosa campa?
Cento metri più sotto incontro una
seconda signora: questa in fatto di curiosità è indagatrice
ancora più agguerrita. Tua moglie dov’è, cosa fa? E tuo figlio, a che punto sta dell’università? E tua figlia in Francia, che combina? E
i nipotini? E tu dove stai andando? A fare cosa? Perché? Ti invita smaniosa a casa sua a bere un caffè:
guai a te se l’accetti, sei perduto! Dipendesse da lei, ne avesse il potere, pur di spolparti e delibarti ti sequestrerebbe. Il
marito, oramai fuso e fuori uso, sta a dormire a bocca
aperta sulla sdraio. Da tempo non è più in grado di soddisfare
alcuna curiosità, di dare informazione degna. E ha così trovato anche il modo risolutivo per
sottrarsi alle indagini ispettive della moglie. Qui c’è un vuoto di
novità atavico: le donne, sbrigate le loro faccende, essendo la giornata
estiva lunga, la riempiono con fatti, veri o presunti – meglio se
presunti -, altrui.
I maschi hanno
rinunciato a pensare, immaginare, pretendere di conoscere e sapere. Si limitano
a “fatià pe’ ccampà”. Chi è curioso, chi parla e
indaga, chi vuol conoscere e capire, non è affidabile e serio –
non è, appunto, uomo.
Finita la discesa, al suo innesto con la statale che attraversa il
paese c’è la bottega di alimentari. Devo
per forza entrare, è anche il posto dove vendono i giornali. La bottegaia,
vecchia conoscenza, si accorge che sto arrivando - io sto in piena luce, lei
sta dentro in penombra - mentre sono ancora sulla strada. E appena mi individua, subito comincia a gridare: “Marchesì, so’ ore
queste? Non potevi alzarti prima?” Dentro la sua bottega ci sono
persone sconosciute: il processo e l’invettiva, per quanto scherzosi, non
sono così gradevoli.
Poi proseguo verso il mare, e mi trovo per forza a passare davanti
all’unico bar situato lungo il percorso. Lì, alla cassa, giusto sul limitare
della porta, c’è la signora proprietaria ostessa che inesorabile
mi adocchia e subito, un po’ canzonatoria, grida e saluta: “ciao Gianchi! Vai a piedi perché non hai i soldi per la
benzina?” Il
nuovo sputtanamento pubblico della mia vita privata
non è male, ma io resisto e per la mia strada paziente proseguo.
La vera mazzata arriva però in spiaggia, quando, dopo avere
avuto e reso omaggio alle altre signore in bella posa sulla soglia della loro casa,
o in migliore vista sopra terrazzini e balconi, approdo
finalmente alla terrazza dell’albergo di cui godo i servizi. Mi siedo affranto al consueto
tavolino e subito arriva superanfetaminica la manager
proprietaria, che si sente amichevolmente orientata – o sarò io
che inconsciamente mi presto? – a farmi il rapporto della giornata: dalle imprese alle prodezze, dai problemi ai
risultati delle soluzioni, in una narrazione sempre nuova, diversa ed
epica. Dopo di che, richiamata la
nostra protagonista da qualche altra impellente incombenza, finalmente si avvicina un
cameriere maschio, che
affettuosamente, come un’ultima protettiva femmina rimasta sulla
faccia della terra, mi offre il caffè, mi
sorride come viola mammola, mi riconcilia con l’antico rassicurante
linguaggio femminile della materna dolcezza.
Il primo che mi viene a sostenere che il campo degli umani è
nettamente diviso, di qui i maschi e di là le femmine, giuro che lo uccido.
Osservavo due giovani trentenni tra loro fidanzati - a questo punto
è bene precisare: maschio e femmina - che nel
tardo pomeriggio di ieri facevano lungo la strada jogging. Alti, slanciati e
longilinei, ugualmente ricoperti di maglietta bianca e pantaloncini blu,
capello corto e passo cadenzato atletico, sembravano, appaiati, due dioscuri indistinguibili. Si scambiavano ogni tanto una battuta
sul lavoro professionale che svolgono insieme. Lo
stesso tipo di voce trattenuto, coltivato e impostato, da giovani superefficienti
in carriera. Da una massima differenza e divaricazione dovuta a una necessaria specializzazione, siamo forse entrati in
una fase di convergenza verso una finalmente possibile e sostanzialmente
univoca integrazione monosessuale? Andiamo verso l’affermarsi e
il prevalere di una creatura androgina unica?
Poi, stasera, al campo di calcio della canonica, ho assistito a una festa di musica con scatenata taranta,
e ho avuto un ripasso folgorante di
come le ragazze e le giovani donne ballino: elastiche, plastiche, sinuose,
ondeggianti e rimbalzanti che solo chi è configurato in un certo modo
può. E in più così ricche di energie
esplosive, nella loro danzante e beata estasi infinita, che noi maschietti a
confronto siamo semplicemente nati stanchi e mosci. Le giovani donne che
ballano esprimono una potenza da centrale atomica, una grazia
corporale e una ricchezza di movenze e posture da lasciare ogni volta incantati
a bocca aperta. Insomma, per dire che ancora qualche
differenza c’è.
Le neo mamme, dentro il più vasto e caloroso liquido amniotico
estivo della larga comunità di paese, sono poi uno spettacolo a parte.
Ricevono i baci e gli omaggi come regine al cospetto dei loro genuflessi
sudditi. La maternità e i figli qui sono ancora non un carico economico
e un fastidio, ma una benedizione, una ricchezza e una festa.
E i ragazzi
maschi? Efficienti, scoppiettanti e
allegri,esibendo la loro maglietta blu con sopra
stampato in giallo un vistoso Staff, si sono prodigati dal mattino presto a
notte fonda per organizzare al meglio tutto: e gratis. E’ stata la festa dei
bambini, dei ragazzi, dei giovani e delle donne: niente parole importanti e
solenni, niente discorsi problematici culturali e politici, ma musica, canti e
balli, birra e bibite e panini alla porchetta a volontà. Risate, battute, code disciplinate alle casse, abbracci e pacche
sulle spalle a voluttà. Lo sgangheramento politico-morale del
Paese c’è, fragoroso e doloroso, ma alla base, nel tessuto sociale diffuso delle comunità, dove sono
sorti comitati e associazioni che hanno a cuore democrazia e
solidarietà, giustizia, autogoverno e libertà, cura e rispetto
della storia e bellezza dei luoghi e della natura, ancora la polis buona funziona.