Vacanze al Sud. Globalizzazione e crisi.

Ilicini

Sono ucraino. Vengo da Kiev. Ho venticinque anni. Sono in Italia, e lavoro qui a Maratea, da tre. Mia madre è venuta in Italia, esattamente a Mormanno, in Calabria, otto anni fa. E’ venuta a fare la badante grazie a un’amica che ci lavorava già. Lì ha conosciuto un uomo di cinquanta anni, un sindacalista che aveva lavorato per trenta anni in Belgio. Oggi è pensionato, ma quello che prende di pensione non basta a mandare avanti la famiglia. Hanno due bambini, di sei e otto anni. Mia madre tre anni fa mi ha chiamato per darle una mano, io lavoro per sei mesi qui agli Ilicini. Faccio il bagnino alla piscina, mi occupo della manutenzione del verde e del giardinaggio. Mi trattano bene, mi pagano il giusto, sono assicurato. A Kiev ho fatto la scuola tecnica fino a sedici anni, poi ho seguito un corso di informatica e uno per fisioterapista. Ora, la sera, dopo il mio lavoro agli Ilicini, vado ad aggiustare qualche computer a chi me lo chiede, oppure faccio un massaggio a chi ne ha bisogno. Cosa farei di mestiere se dipendesse da me? L’informatico. Mi piace troppo, è quello che rende di più, e prima o dopo ci riuscirò.

A Kiev, prima di venire in Italia, lavoravo come muratore con una impresa di costruzioni francese. Mi sono arrampicato per due anni come una scimmia su ponteggi alti anche cinquanta metri. Quest’anno qui, come vedi, c’è poca gente. Siamo a metà agosto ed è come essere agli inizi di luglio. Non è che in giro la gente non ci sia, è che non spende. Un po’ perché non ha denaro, un po’ perché ha paura di restarne senza. La sera, al panificio Coccidorio di Maratea, vedo io le persone che comprano una grande pizza, se la fanno tagliare in otto pezzi e se la portano a casa. Anch’io qualche vola lo faccio. Mia madre ora abita a Laino Castello, sopra Lauria: ai bambini piace se mi vedono arrivare con un bel pezzo di pizza.

Con la crisi, io mi trovo bene ad avere imparato diversi mestieri. Quando c’è crisi, e il lavoro è scarso, bisogna essere flessibili, adattarsi a fare di tutto. A settembre, finita qui la stagione estiva e il mio turno di lavoro, partirò per il Lussemburgo. La mia vecchia ditta di costruzioni francese mi ha chiesto di lavorare in un cantiere che hanno aperto là. Mi affideranno una squadra, di me si fidano. Io mi trovo bene a fare di tutto, dappertutto. Se sono fidanzato? No, non ho una ragazza fissa. Dove lavoro, dove mi trovo, trovo anche una ragazza. Anche in questo sono flessibile, mi adatto. Che ci vuoi fare, fratello: è la globalizzazione.

Litrico’s

La sera, dopo le dieci e mezzo, passeggio lungo il borgo di Fiumicello, sbocco a mare principe di Maratea. Al campetto di calcio ragazzotti giocano con grande entusiasmo. A moltiplicare i loro sforzi un gruppo di ragazze li incita dalla tribunetta d’onore. Nel grande spazio-giochi bambini strillano felici su macchinette e trenini. Il bar Sambacco, al contrario, è completamente vuoto. Da anni continua ad essere così, come sotto la cappa di una sortilegio maligno. Arrivo passeggiando fino all’ingresso dell’ex Collegio Scuola ed ex Colonia estiva. Negli anni Ottanta, in questa stagione ospitava per le vacanze anche trecento bambini figli di lucani emigrati nei Paesi europei. Ora è un altro ennesimo luogo cospicuo pressoché inutilizzato e vuoto di questo territorio. Soltanto la palazzina centrale, quella che ospitava gli uffici, è adibita a caserma per i cinque carabinieri. L’edificio della scuola media, subito sopra, d’estate animato di vita perché adibito ad arena cinematografica, ora ospita la locale Protezione civile.

Risalgo la strada verso il centro. Le piogge invernali sono state abbondanti, vegetazione e natura sono splendide. Le ville lungo i bordi della strada occhieggiano discrete e ben tenute. Il fiumicello che taglia in due il paese canta di acque abbondanti e argentine. Anche El Sol, vecchia e storica pizzeria, ha metà dei tavoli vuoti. Torno al corso principale, entro al negozio di abbigliamento Moda&Mare, acquisto una camicia in lino di un magnifico colore bianco. Sono l’unico cliente, temo dell’intera serata. Il proprietario mi annuncia magnanimo lo sconto del 30%.

Decido di sedermi a un tavolo - giusto di fronte al Santavenere, cinque stelle lusso - del ristorante Litrico’s: così chiamato, mi spiega il ragazzo cameriere prontamente accorso, in onore dello stilista che lì ha abitato. Il ragazzo cameriere è un diciassettenne della frazione di Santa Caterina, su in montagna, che mi confida, dopo qualche mia battuta per infondergli confidenza e fiducia, di non vedere l’ora di trasferirsi a Roma: lì sì che ci si diverte in discoteca! Mi precisa che il ristorante è aperto dal 2001, sono le undici di sera, dei trenta tavoli finora ne sono stati utilizzati appena un terzo. E questa ho l’impressione sia la percentuale media diffusa – escluso Cesarino a Cersuta e don Peppe ad Acquafredda – di utilizzo della recettività totale, in alberghi e ristoranti: e siamo il 12 agosto! Un disastro. L’altra sera, in compenso, Sapri era stracolma di presenze. Così mi dico di Praia. Ma lì la proposta commerciale è indirizzata a tutti i possibili target ,ad ampio raggio e a un prezzo medio basso. A Maratea l’offerta di servizi è piuttosto ristretta, e a un prezzo medio piuttosto elevato. In periodo di crisi, se non sai conquistare i ricchi, i meno ricchi e i semipoveri si guardano bene dall’avvicinarsi. Preferiscono Praia e Sapri.

Il mio amico diciassettenne cameriere di Santa Caterina si informa sulle occasioni di lavoro a Roma. Ma si possono trovare in affitto monolocali a trecento euro al mese? Dice: io non ce la faccio più a lavorare qui per poche persone fino alle sei del mattino (si sono inventati per fare cassa anche i cornetti caldi lungo l’intera notte!). E a stare in una frazione di cinquanta abitanti, dove in più si è tutti parenti. Dove da ottobre a marzo dell’anno dopo si muore. Non è per caso che mi potresti trovare un lavoro a Roma?

Uscendo dal ristorante, ho adocchiato da una finestra lo chef che seguiva interessato le notizie o qualche gioco sul computer, e due ragazze cameriere che parlottavano fitte in un angolo del giardino al cellulare.

Oggi ho avuto in regalo la conoscenza con un venticinquenne ucraino di Kiev che abita a Laino Castello, tra la Basilicata e la Calabria, per dare una mano a mamma e a suo marito che dopo trent’anni di lavoro in Belgio non ce la fa a tirare su due bambini con la sola pensione. E con un diciassettenne di Santa Caterina di Maratea avido di vita e desideroso di nuove esperienze. Sono usciti a sbalzo dall’insieme del paesaggio, dal brusio anonimo e indistinto del contesto. Mi hanno parlato di sé, del loro mondo e lavoro. Io non ho fatto che ascoltarli curioso e recettivo, li ho accolti e ve li ho riproposti. Forse anche oggi non è stata una giornata trascorsa del tutto invano.

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