Il sogno delle convergenze parallele: in quel di Fiumicello.

Stanotte ho sognato che vivevo a Maratea e lavoravo, come per tre anni agli inizi degli anni Ottanta  d’estate è successo,  a Fiumicello con i bambini del collegio scuola/colonia estiva. Mio figlio Roberto era bimbetto e giocavamo a rincorrerci tra alberi e cespugli. Mia figlia Angela invece era adulta come è ora. Mia madre arrivava da Vicenza già avanti con l’età, al punto che per farle superare i gradini della scala che portava alla nostra casa dovevo portarla in braccio.

La nostra casa e gli edifici del collegio scuola, nonché colonia estiva, confinavano, così bambini e ragazzi per entrare e uscire, accompagnati dai loro sorveglianti,  passavano in fila attraverso il cortile e gli spazi esterni di casa nostra. Chi cantava, chi scherzava e rideva, c’era un grande spolverio di vita abbronzata e nuova. C’erano anche gruppi di ragazzi francesi più grandi, e io e mia figlia Angela, che ora vive a Montpellier,  con loro conversavamo piacevolmente.

La nostra casa era bella e spaziosa, piena di terrazze e prati, bambini e giovani erano  dappertutto presenti.  Roberto correva e saltabeccava senza freno, Angela era grande e al suo meglio come è adesso, mia madre era anziana ma non ancora malata e inferma. Cecilia era giovane, bella, e rideva perennemente indaffarata. Io ero con loro, al centro: mi interessavo di tutto, mi nutrivo della presenza di tutti.  Gianna, la direttrice del collegio scuola/colonia estiva, sorridendo sovrintendeva.

Era estate, dal basso, dietro i pini, arrivava incessante il rumore del mare. Eravamo, nel sogno, felici. Il sogno dice che in realtà io da lì non me ne sono mai realmente andato.

Nel sogno ho abolitola barriera delle distanze, l’incompatibilità delle diverse fasi di età, la schiavitù del tempo.  Ho preso di me e della mia vita il meglio: non è questo, delle convergenze parallele, il possibile paradiso? Non è questo che ci rende inconsolabili, sotto sotto speranzosi che il miracolo della compresenza di tutti, in grande forma e felici, prima o dopo si realizzi?

Il sogno mi dice che io non voglio che il tempo irrimediabilmente passi, che tutto finisca, si cada malati, e poi la morte arrivi. Che la nostra vocazione vera  è il viaggio, e la meta  agognata, una  illimitata onnicomprensiva felicità collettiva.

Indice