Una bella discussione sull’euro in una comune anarchica di Brefaro.

In quel di Brefaro, alla comune comunitaria e comunarda di Francesco detto O’ Franzese, sotto la statua del Cristo, siamo arrivati la sera giusto in tempo per assistere a un piccolo spettacolo pirotecnico organizzato per celebrare la presa della Bastiglia di un lontano e glorioso 14 luglio. Ospiti in casa ci sono una decina di ragazzi e ragazze quindicenni, amici della figlia di Francesco, tutti frequentanti un liceo internazionale di Parigi. Piccoli ma fragorosi fuochi d’artificio, quindi, e torta finale di quelle sublimi prodotte da Panza, sommo pasticciere. Ospite di Francesco c’è anche Alberto Bagnai, economista docente all’Università di Pescara noto anche per un blog molto seguito che cura su Il Fatto Quotidiano. Francesco fa gli onori di casa e ci presenta, e subito parte una conversazione all’inizio pacata e tranquilla, in seguito scoppiettante con picchi a un certo punto perfino clamorosamente concitati. Il tema è presto detto ed è racchiuso in un quesito: ha l’Italia da rimanere in Europa soggetta all’euro come moneta unica, o non ha piuttosto da tornare alla lira? Il professor Bagnai è noto per sostenere la tesi che la moneta unica ci penalizza, anzi ci porta proprio alla rovina, e che è assolutamente meglio tornarcene alla vecchia e sana lira. E, assolutamente convinto della bontà delle sue tesi, si lancia in una serie di argomentazioni a sostegno, di carattere storico ed economico, la cui esposizione si prolunga, stante la loro complessità, per non meno di un’ora.

Il professor Bagnai parla con una proprietà di linguaggio straordinaria, e una capacità dialettica e oratoria, e una assoluta padronanza della materia trattata, toccando via via e sviscerando i molteplici aspetti e incroci delle teorie economiche implicate, e le scuole di pensiero, e gli economisti che ne hanno contribuito e discusso, producendosi in una vera e propria, almeno all’inizio affascinante lezione accademica. Tutto bene, quindi? No, o almeno solo fino a un certo punto. Al di là del fatto che io, non da economista esperto, ma da quel che ne capisco, lamenterei non un troppo di Europa, ma un troppo poco - e ridotto sostanzialmente a un carattere quasi esclusivamente monetario, il che sicuramente ci penalizza - la posizione del professore che mi sconcerta è una sottovalutazione, se non una vera e propria ostilità, del fatto e del dato unitario. In quanto moneta unica, l’euro può sicuramente essere di forte vantaggio per il più forte (la Germania), e di pesante penalizzazione per il più debole (l’Italia e gli altri paesi del Su d’Europa), e vi risparmio le mille prove elencate da Bragnai e raccolte in un libro che mi ha generosamente donato: ma a mio parere dal rebus se ne esce contrattando e perseguendo una unione europea diversa, meglio integrata ed equilibrata, non andandosene sbattendo la porta - anche se la tentazione a volte è realmente forte. Non quindi subendo la tirannia usuraia del debito e del fiscal compact, ma costruendo una Europa dove il più forte non si dia facoltà e licenza di mangiarsi il più isolato e debole. E a questo si può arrivare attraverso una alleanza di governi a guida meno iperliberista o proprio anti, alla Hollande. Non avessi mai pronunciato quel nome: il prof Bagnai a quel punto si è lanciato in una invettiva demolitoria in virtù della quale di Hollande non è rimasto in piedi neanche una briciola. Ma - mi sono provato a obiettare - che ne pensa delle posizioni espresse da alcuni della sinistra italiana più radicale, ad esempio Rossana Rossanda e Guido Viale? E anche lì, come d’altronde su chiunque non condividesse le sue tesi, il professore ha aperto un fuoco ad alzo zero.

Nel frattempo - erano oramai trascorse tre ore - ci era stato imposto il ruolo di ascoltatori muti e passivi, ogni obiezione anche appena accennata era stata all’istante ridicolizzata, gli amici citati di qualche pregio e prestigio immediatamente sul posto fucilati. Come ben sapete, io non ho una pazienza illimitata, e a un certo punto, grazie anche a un bicchiere di vino di troppo, non mi sono trattenuto, e ho dato sfogo a uno dei miei scoppi di collera di cui presso qualche paziente amico sono, ahimé, molto ben conosciuto. Ma come era possibile accettare che qualcuno, sia pure preparatissimo in materia e di grande capacità espositiva, potesse ritenersi possessore unico della verità, e si permettesse di dileggiare e distruggere chiunque si opponesse? Ma cribbio, un pizzico di sano dubbio, di umile problematicità, no eh?

E a quel punto mi sono dato il permesso - a mali estremi, estremi rimedi - di essere integralmente e autenticamente me stesso in tutta la mia indignata rabbia, e anch’io ho restituito la stessa moneta - non accademicamente composta, ma gridata: tanto ero in casa di amici di lunga data, che, assistendo alla mia scenata, con la coda dell’occhio ho visto sorridere compiaciuti sotto i baffi. Insomma, avevo ristabilito una elementare giustizia anche in nome e per conto di tutti. E lì, mi vergogno un po’ a raccontarlo, è successo l’irreparabile. Sfogata la ondata di massima collera, e dovendo anche liberare una vescica troppo carica, ho annunciato che me ne andavo a fare la pipì dietro casa. Mi sono alzato di tavola e, senza rendermene conto - me ne sarei meglio reso conto subito appresso - mi sono portato appresso il libro del prof contro l’euro. E dietro casa, con il favore delle tenebre notturne di Brefaro - che solo da lì potete godere la maestà del cielo stellato -, dopo avere svuotato quello che eccedeva, mi è venuto irresistibile un altro impulso: quello di scaraventare giù nel fossato il libro. Lo so, lo so, ho compiuto un sacrilegio: io, scrittore, che scaravento lontano un libro! Ma in verità è come avessi compiuto un rito liberatorio. Ero stato per tre ore invaso da una pianta urticante colma delle spine di una dotta supponenza e accademica arroganza. Avevo dovuto assistere alla demolizione e dileggio di alcune delle persone da me più stimate: come liberarmene, senza infierire direttamente sull’autore, se non scaraventandone nel fossato il libro? E infatti, liberato di quanto eccedeva e urgeva, sono rientrato rilassato tra i commensali del dibattito e del tavolo.

Immagino siate curiosi di sapere come è andata a finire… E’ finita che è cambiato repentinamente il clima della serata, ed è cominciato un altro modo di parlare e dialogare, più partecipato e rispettoso, con anche Francesco e gli altri a intervenire e dire la loro. E il prof Bagnai, trasformato a quel punto magicamente in Alberto, ad ascoltare con attenzione e a fare a sua volta domande, e sorridere e fare battute perfino spiritose. Insomma, abbiamo finito di interrogarci e interrogare alle tre di notte, più che altro perché l’umidità era diventata insopportabile. Alberto Bagnai, salutandomi alla fine, mi ha abbracciato confidandomi all’orecchio di essermi grato e riconoscente: aveva capito e riconosciuto la mia collera non come gratuitamente, volgarmente aggressiva, ma come regalo di un’anima forse esageratamente appassionata. E rientrando a casa giù per i tornanti di Maratea mi sono confermato nella convinzione che a volte i temporali fanno paura, ma quanto si sta meglio, più leggeri e puliti dopo..!

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