Non aprite quella porta!

Ho partecipato alla presentazione del libro di Andrea Palladino, giornalista de il Manifesto (“Bandiera nera. Le navi dei veleni”). A seguire eravamo in cinque, tutti piuttosto anziani: la qual cosa, visti i temi trattati, drammatici e attuali, mi ha non poco meravigliato. Palladino ha fatto della questione dello smaltimento illecito dei rifiuti tossici, in Italia e nel mondo, il principale impegno della sua attività professionale, e di questo, della dedizione e competenza con cui lo svolge, bisogna dargliene atto e ringraziarlo. Devo dire che il giornalista, e di questo spero non me ne voglia, si presenta con un aspetto che della aggrovigliata complessità delle  questioni affrontate sembra un po’ avere subito  impronta e conseguenze: non ancora cinquantenne, i capelli già bianchi, lo sguardo febbricitante e cerchiato da occhiaie fonde. Ma vorrei vedere le stimmate che chiunque nel tempo ricaverebbe dal dedicarsi per anni a seguire a tempo pieno i percorsi criminali meandrici e le conseguenze nefaste di un business di per sé così complicato e duro. A duettare nella presentazione con Palladino, il responsabile scientifico di Legambiente Stefano Ciafani. Dai loro interventi combinati e alterni ho ricavato gli appunti che in forma sintetica propongo.

1.                      Fino agli anni Ottanta gli scarichi a mare dei rifiuti tossici, chimici e nucleari, era prassi consentita. L’oceano Atlantico, lontano e profondo,  era la meta preferita. Ma tale prassi è diventata illegale quando, in seguito alle proteste dei paesi e delle città-porto dove le navi con i rifiuti attraccavano per il carico e lo scarico, l’Unione Europea si è data – siamo nel 1984 – una normativa che regola e disciplina tale materia. Scaricare in mare quel tipo di rifiuti è quindi diventato da allora illecito e illegale. Ma la Goletta Verde di Legambiente ancora nel 1986 aveva scoperto, grazie ai racconti dei pescatori di Chioggia, che in quel mare le bettoline che partivano dal porto di Marghera andavano a scaricare i rifiuti del Petrolchimico.

2.                    Nel solo nostro Paese si calcola siano 30 milioni di tonnellate i rifiuti speciali che annualmente industrie e ospedali producono e che quindi devono in qualche modo essere smaltite. Chi li produce paga 500 euro a tonnellata. Per capire l’entità dei guadagni in gioco basti pensare che la stessa tonnellata viene pagata al gestore finale dell’operazione, per esempio un signore della guerra somalo che in cambio chiede in pagamento armi, non più di 30 euro a tonnellata. Immaginate quanto l’intermediazione garantisca a massonerie affarista e criminalità organizzata margini di introito strepitosi.

3.                    Tale business ha come area e include tutti i Paesi europei, e questo moltiplica ulteriormente dati e risultati, e spiega perché tante siano le parti interessate e coinvolte perché la macchina funzioni senza inceppi e intoppi: dalle industrie, specie quelle chimiche, agli ospedali, alle massonerie abituate a lavorare fuori da qualsiasi regola, norma e controllo, a pezzi degli Stati che garantiscono e proteggono, ai Servizi  deviati che facilitano e raccordano, alle ecomafie che garantiscono sul territorio l’efficace risoluzione del tutto.

4.                    Tutta l’Italia, nessuna regione esclusa, è in questo gigantesco problema/business coinvolta: al Nord come prevalente richiesta di servizi, al Sud come disponibilità di aree – mare, coste, letti di fiume, cave – dove seppellire, affondare, nascondere. Lo smaltimento di rifiuti tossici, chimici o radioattivi, equivale come dimensione del problema e del danno a una continua, prolungata, silenziosa ed estremamente dannosa strage.

5.                    I porti di maggiore presenza e concentrazione di questo traffico dei rifiuti sono La Spezia e Marina di Massa. Il primo perché militarizzato e quindi già in partenza largamente sottratto a controlli e trasparenze. Il secondo perché naturale fornitore di polvere di marmo utile ad attenuare e contenere la radioattività dei rifiuti. Propria su una collina sovrastante La Spezia è stata recentemente individuata una enorme discarica, in località Pitelli,  completamente riempita con rifiuti tossici nel tempo immessi. Tale scoperta paradossalmente non è dovuta alle indagini della magistratura di quel capoluogo, ma di quella di Asti, grazie al sostituto procuratore della Repubblica Luciano Tarditi, evidentemente meno condizionato dai poteri forti spezzini. A La Spezia infatti, a detta di Palladino, esistere una cupola massonica trasversale che gestisce il business dello smaltimento di rifiuti tossici e che foraggia e corrompe trasversalmente tutte le forze politiche e istituzionali, sinistra inclusa.

6.                    Ma anche la Lombardia  da questo punto di vista non scherza:fin dai primi anni Novanta, con un governo di centro sinistra, è emersa una sostanziale copertura e complicità della politica nell’attività di smaltimento. A detta dei relatori, proprio in virtù del fatto che i rifiuti tossici industriali, chimici e nucleari devono assolutamente essere smaltiti, pena  grosse difficoltà e crisi del sistema industriale nazionale, tutti i governi di destra e sinistra che si sono succeduti hanno coperto, o non hanno fatto nulla di decisivo per seriamente contrastare e impedire. Soltanto il ministro per l’ambiente Ronchi, è stato affermato, è riuscito a far passare un decreto che ha trasformato il traffico illecito dei rifiuti in reato non soltanto perseguibile con un’ammenda, ma un delitto che comporta arresto e pena detentiva.

7.                    Con il recente rilancio della politica energetica basata sul nucleare, associare i rifiuti tossici nucleari a un loro sistematico affondamento in mare è diventato un tabù. Se infatti un solo contenitore di tali rifiuti venisse con certezza individuato all’interno di una carretta del mare nottetempo affondata dalla malavita organizzata – così come racconta il collaboratore di giustizia Francesco Fonti – l’intero progetto di rilancio delle centrali nucleari verrebbe seriamente compromesso. Ecco perché, malgrado il fondato sospetto dell’affondamento di almeno 90 navi nel basso Tirreno, malgrado l’allarme e le indagini di alcuni magistrati (Bruno Giordano, procuratore capo di Paola, il giudice  Cordoba a Napoli, Francesco Neri magistrato a Reggio Calabria, Tarditi ad Asti), i tentativi di ricerca in alcuni dei siti indicati, gestiti dal ministro dell’Ambiente signora Prestigiacomo, d’intesa con il Procuratore Nazionale Antimafia Pietro Grasso, non hanno portato ad alcun risultato certo. Grasso ha anzi ufficialmente dichiarato conclusa l’indagine.

8.                    Ma, sostiene Andrea Palladino, perché non si analizzano le acque delle zone di mare dove i collaboratori di giustizia affermano essere state affondate le carrette con i rifiuti nucleari? Quello che non dovrebbe essere difficile fare non è stato ancora mai fatto, o comunque non è stato pubblicamente rendicontato. Peggio:  oggi sul sistema di tracciabilità dei rifiuti tossici è stato posto il segreto di Stato. Il che è come dire che per la trasparenza e conoscenza della questione la notte si è fatta ancora più buia.

9.                    D’altra parte, aggiunge il responsabile scientifico di Legambiente, analizzare privatamente la composizione di quelle acque non può produrre risultati scientificamente certi, perché manca la possibilità di un serio confronto e convalida, manca cioè una conoscenza precisa del livello di inquinamento del Tirreno, perché sullo stato e la condizione di quel mare manca una qualsivoglia letteratura seria.

10.                Servizi segreti deviati di vari Paesi sono molto presenti in questo ramo e business,  con personaggi come Mario Scaramella, già attivo nei depistaggi e inquinamenti di prove come nel caso Telekom-Serbia,  o l’eliminazione per avvelenamento dell’ex agente segreto russo Litvinenko a Londra. O come Aldo Anghessa, faccendiere legato ai Servizi segreti, o Giorgio Comerio,  amico e sodale di Licio Gelli, titolare di  una  società specializzata nel fornire alle industrie sistemi di eliminazione rapidi di scorie nucleari tramite siluri sparati e conficcati su fondali di mare argillosi.

11.                 Ma i rifiuti nocivi vengono da un po’ di tempo smistati illegalmente anche in Cina, dove vengono trattati e riciclati e trasformati in plastiche e materiali che ci ritroviamo poi le nostre case sotto forma di giocattoli e passatempi per i nostri bambini. Oppure finiscono a Bosaso, in Somalia, dove a seppellirli sotto la massicciata delle nuove strade ci pensano i locali signori della guerra che si prestano al servizio in cambio di armi. Armi contro rifiuti, questa la natura dello scambio scoperto da Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, e per questo in un agguato uccisi. Poi, naturalmente, la commissione di maggioranza parlamentare guidata da Carlo Taormina  ha concluso i suoi lavori affermando che i due erano incappati in volgari ladroni e ammazzati perché sconfinati in qualità di turisti in zone del Paese poco sicure.

12.                Insomma, le principali direttrici di smaltimento di questi pessimi e delicati rifiuti sono oggi la Calabria, l’Africa e Hong Kong. Fornitori principali del traffico sono le multinazionali chimico-farmaceutiche – quelle che hanno per missione il mantenerci in ottima salute, e che hanno stabilimenti in Italia e in tutta Europa. Stante la loro potenza, e la complicità degli Stati, di consorterie massoniche e Servizi segreti, un ruolo di informazione, smascheramento e denuncia possono svolgere i giornalisti con le loro inchieste. Ma le multinazionali della chimica, le grandi industrie, sono i principali azionisti e/o inserzionisti dei giornali. Si spiega così come un piccolo ma battagliero giornale come il Manifesto, non ricattabile dagli inserzionisti perché praticamente per quanto lo riguarda assenti, abbia finora prodotto sul tema le inchieste più importanti e approfondite. Ma ecco che arriva la scure di Tremonti a tagliare i 4 milioni di euro l’anno in contributi, e così dal primo gennaio è praticamente matematico e certo che anche il Manifesto chiuda.

13.                Ora alcuni risvolti particolarmente inquietanti della questione. La nave Jolly Rosso, piaggiata sulla costa calabra di Amantea, ha nottetempo scaricato i suoi fusti e sepolti lungo il letto di un fiume dei paraggi, e dentro le cave di una collina. Grazie a foto satellitari specializzate nel rilevare le fonti di calore, è stata registrata in quei luoghi una temperatura di 7 gradi superiore a quella dei luoghi circostanti, sbalzo ritenuto tipico della presenza di rifiuti nucleari. Ancora: un enorme sarcofago di cemento si intravede appena sotto il letto di un fiume della zona, là dove si ritiene siano stati sepolti fanghi e rifiuti tossici nocivi. Tocca infine macabramente citare il giardino di una scuola elementare di Crotone, dove è stato scoperto essere stati sepolti i rifiuti nocivi del Petrolchimico attivo in quella città.

14.                Che il traffico e lo smistamento di rifiuti tossici a livello nazionale e internazionale ci sia, sia enorme e in continua esponenziale crescita, non c’ dubbio alcuno. Così come ormai è sufficientemente fondata la certezza che decine e decine di vecchie carrette del mare, colme di tali rifiuti,  siano state affondate nel basso Tirreno. Così come appare evidente che, pur esistendo efficace e disponibile tecnologia per arrivare ai relitti e accertarne il contenuto, gli interessi in gioco, le complicità, la corruttela e le illegalità – e le responsabilità politico istituzionali siano tali da spingere a fingere, glissare, omettere, insabbiare.  Al punto da arrivare anche a uccidere: come è successo più che verosimilmente al comandante della marina militare Natale De Grazia, colto da morte improvvisa dopo avere cenato in un ristorante sulla Salerno Reggio Calabria in compagnia di tre persone, sbrigativamente sepolto senza una seria autopsia. E il capitano De Grazia aveva raccolto importanti documenti probatori sulle responsabilità del traffico e smaltimento dei rifiuti nocivi. Così come è successo a Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, come detto sopra.

15.                Confesso di avere fatto un po’ arrabbiare, alla fine della presentazione, il responsabile scientifico di Legambiente, essendomi permesso di fare alcune riflessioni che qui riferisco. Legambiente e la sua Goletta Verde, nei suoi giri estivi sulle coste del Paese, è approdata anche a Maratea. Anche lì sono state dai suoi esperti fatte analisi sulla balneabilità delle acque, lo stato degli scarichi fognari e dei servizi per i turisti. I risultati sono stati buoni, e al Comune di Maratea sono state attribuite le sue vele di approvazione e apprezzamento. Tutto bene? Non proprio.  No è stato fatto in quella occasione il minimo cenno pubblico sulla vicenda di una nave, la Yvonne A, che, a detta del pentito Fonti, nel 1992 sarebbe stata da lui affondata, piena di rifiuti nocivi, nelle acque del mare a otto chilometri dal porto di Maratea.  La signora ministro Mastrogiacomo, e a lei appresso il sindaco e le pubbliche autorità, si sono tutti affrettati a dichiarare e garantire che le indagini sul sito avevano portato alla scoperta di un relitto colmo di antiche romane anfore, e null’altro. Quindi, spiagge e fogne in ordine: ma non è come entrare in una casa, sentire puzza sospetta di bruciato – non ci sarà un incendio che cova nei sotterranei ?– e affrettarsi in terrazza per dire che là sopra è tutto in ordine e pulito? Non c’è il rischio per Legambiente di prestarsi a operazioni quantomeno di semplificazione riduttiva, di puro e semplice maquillage di facciata? Non sarebbe meglio affrontare di petto il sospetto di pericolo peggiore, e  contribuire ad accertarne definitivamente fondatezza o infondatezza, piuttosto che limitarsi a uno scambio di inchini cordiali e formali con le pubbliche autorità?  O quella porta non bisogna assolutamente aprirla?

Nella divisione e specializzazione brutale, diseguale e iniqua del lavoro a livello mondiale, i popoli dei Paesi ricchi non solo mangiano e consumano il quadruplo degli altri, che mangiano molto meno o addirittura crepano, ma una volta digerito quanto hanno ingurgitato bisogna pure evacuare ed eliminare e nascondere l’evacuato da qualche parte. E allora non è semplicemente geniale restituire il mal tolto e riportarlo giusto lì dove in larga parte lo si è preso, nelle regioni e nei mari del Sud d’Italia, nei più poveri e saccheggiati Paesi dell’Africa e del mondo? Chi prende – materie prime, risorse, prodotti naturali, manufatti e forza lavoro – e le trasforma e ne fruisce, non può certo tenersi i rifiuti in casa. Anche perché sono francamente troppi! Pare giusto allora che ritornino al loro luogo d’origine, magari sepolti lungo le coste e nelle acque anche a costo di ucciderne vita e bellezza. O, in mancanza di meglio, sotto i giardini di una scuola. Come è successo anche per i rifiuti chimici della fabbrica tessile Marlane di Praia, che hanno causato tra gli operai, per sciagurata e criminale inosservanza delle regole di protezione elementari, un centinaia di morti per tumori. E ora, per tali misfatti, i dirigenti della Marzotto, che quella fabbrica hanno diretto e  gestito, sono sotto processo e incriminati. Ma come, non hanno portato al Sud lavoro, benessere e ricchezza?

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