Recensione del libro “Lettere dal Sud” di Giancarlo Marchesini

Invidio, benevolmente, Giancarlo Marchesini, perché è un uomo di grandi virtù: è soprattutto un Comunista illuminato, anzi un “Comunardo” della Parigi del 1871, perché, nonostante le disillusioni e le amarezze avute dalla Storia, crede ancora nella bontà dell'uomo che si può realizzare solo in una società di uguali.

L'ennesima prova di tale virtù è fornita dalla sua ultima fatica letteraria, "Lettere dal Sud", un volumetto che si può leggere tutto d'un fiato, oppure tenere sul comodino per deglutire ogni sera delle pillole, spesso amare, di saggezza.

Giancarlo ci racconta un Sud, sia pure limitato ad alcune zone della Lucania, della Campania e della Calabria, dove vive o arriva un'umanità varia, quasi sempre dolente, poche volte gaudente, un popolo di indigeni e vacanzieri che lui inquadra in maniera molteplice, per esempio intrappolato in code chilometriche per attraversare Scalea, oppure quando partecipa ai riti collettivi dell’estate, ma anche nelle declinazioni individuali, per esempio di amante della natura mentre si compiace di quei panorami mozzafiato che solo le nostre zone ci possono regalare.

Le lettere spaziano da veri e propri reportage su località turistiche - di cui coglie aspetti spesso ignorati dalla pubblicistica ufficiale - a riflessioni sulla vita quotidiana, da vibrate denunzie degli endemici mali del Mezzogiorno (e degli aggravamenti prodotti in questi ultimi anni) a descrizioni di nuovi modelli antropologici: i bambini obesi, gli adolescenti disinibiti, i trentenni spaesati, i nuovi poveri, gli arroganti possessori dei SUV, etc.

E sono proprio queste descrizioni la parte migliore del Marchesini scrittore: con una capacità di introspezione psicologica e con uno sguardo contemplativo (che talvolta ricorda le immagini viscontiane di "Morte a Venezia") soprattutto quando fa il ritratto dei giovani e giovanissimi, ma sempre con una costante attenzione ai modelli di comportamento, individuali e collettivi.

Giancarlo denuncia costantemente, con un aspro rigore appena temperato dalla sua naturale buona educazione di gentiluomo, i guasti arrecati alla nostra Italia dai modelli negativi che la televisione commerciale ci propina.

Io credo che il suo genuino antiberlusconismo (sul quale ci siamo accapigliati per anni, e di cui oggi faccio pubblicamente ammenda) non è tanto o non solo politico, quanto sociologico, perché dalla sua esperienza di precettore, animatore, professore di comunità, e poi sociologo impegnato nella cooperazione e nel sindacato, e poi giornalista e scrittore, da questo variegato bagaglio di esperienze lui riesce a scorgere prima e più degli altri i pericoli di questi deleteri modelli di veline, tronisti e palestrati.

Ovviamente il grosso del libro è dedicato a Maratea, con una particolare attenzione alle frazioni più neglette, fra cui Acquafredda: qui, forse, Giancarlo si ripete rispetto alle analisi ed alle soluzioni da lui prospettate in precedenti libri, ma il guaio non è nella ripetizione, quanto nel fatto che i problemi e le mancate soluzioni di qualche anno fa ci sono ancora, se non si sono ulteriormente aggravati.

Giancarlo Marchesini ama Maratea come un amante tradito o, meglio, come un marito che vede la bellezza adolescenziale della propria moglie, bellezza che non è mai arrivata alla maturità, ormai sfiorire inesorabilmente.

Mi fermo qui e riprendo il discorso iniziale: ribadisco di invidiare Giancarlo perché, nonostante tutto, non ha mai perduto la sua identità di Comunista/Comunardo; e ciò è un grande privilegio se visto da chi, avendo un tempo smarrito la propria identità di uomo di sinistra, non l'ha ancora completamente ritrovata.

Acquafredda, 27 agosto 2011

Nicola Corona

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