Ricordando, ripensando…
Avendo qualche anno fa denunciato - in “Maratea. Il sogno di una
cosa” - la valanga di cemento illegalmente, criminalmente riversato sul letto
di un torrente soprastante chiesa e centro del paese - con il letto del torrente
che, dimezzato, va a sbattere contro il ponte della Statale 18 come canna di un
fucile -, l’autore del misfatto mi tagliò per punizione le quattro gomme
dell’auto pisciandoci in aggiunta sopra in segno di disprezzo. A lavori
avviati, quel prode scannatore notturno di gomme d’auto aveva già raccolto ad
Acquafredda, a favore del suo megalomane e pericoloso progetto, le firme di una
quarantina di famiglie.
Poi, quando nel libro successivo - Lettere dal Sud - alcune brave
signore del paese lessero una pagina in cui le dipingevo come abitualmente
curiose e pettegole, a volte un po’ troppo fastidiosamente invasive, quelle
signore si offesero a morte, si ritennero intollerabilmente denigrate, si
unirono in coro contro di me al grido: ha da schiattà! Ma le due
scelte/comportamenti - quello della valanga di cemento sul letto del torrente,
l’altro della irrefrenabile compulsione a ficcanasare nella vita altrui -, sia
pure di peso e forma diversi -, non hanno in comune la stessa natura di
occupazione proprietaria indebita e interferenza invasiva? In nome di una
logica di possesso e controllo sullo spazio pubblico, non si pretende di ledere
o impedire la sicurezza e la libertà altrui? Difendendo il diritto di libertà
innanzitutto mia, io ho inteso appoggiare e difendere quello della libertà di
tutti. Ne ho pagato le conseguenze.
Il sindaco di Maratea, al mio racconto della vigliacca aggressione
notturna subita, per consolarmi non ha trovato di meglio che raccontare il
furto d’auto che anche lui dieci anni prima aveva subito.
La signora proprietaria del Gabbiano, in conseguenza al fatto che
mi sono schierato a favore dell’istituzione della riserva marina e contro la
costruzione di duecento villette ai piedi del Cristo, essendo casualmente
ospite a pranzo nel suo albergo, incontrandomi mi ha trattato come si tratta un
corpo estraneo sgradito.
Se ne deduce che anche a Maratea, come d’altronde dappertutto, vige
una logica per la quale chi è più forte ha più diritti, e chi si oppone va
emarginato, aggredito, punito. Ma non è la stessa logica, fatte le ovvie dovute
differenze, contro la quale si sono battuti i Nitti, nonno Francesco Saverio e
nipote Gian Paolo? E chi saranno oggi ad Acquafredda e Maratea gli eredi degli
squadristi che hanno cacciato Nitti in esilio, o quelli del prete Peluso che
hanno vigliaccamente assassinato Costabile Carducci?
Io di certo non sono né un Nitti né un Costabile Carducci - anche
perché tutto voglio fuorché finire come loro. Però…
Gian Carlo Marchesini