Riflessioni su alcuni fatti marateoti estivi.
Tra i tanti fatti marateoti in questa estate accaduti, mi limiterei a considerarne tre.
Il primo incarna e rappresenta il capostipite esemplare degli abusi edilizi:
una colata tumorale di cemento dentro un vallone, colata che nel corso del
tempo ha assunto la forma di un vero e proprio mini villaggio
turistico composto da diversi appartamentini con annessa piscina, gradinata di
statue classicheggianti in pose imperial lascive,
palme, ulivi e cipressi disseminati un po’ dovunque. Ciò che
è grave non è l’esagerazione o il cattivo gusto, il punto
è che l’opera è in gran parte abusiva (esisterebbero due
ordinanze di blocco dei lavori, ma il proprietario procede imperterrito).
L’aspetto peggiore dell’abuso riguarda l’annessione al
perimetro della costruzione di buona parte del letto del torrente confinante,
ridotto ora a una stretta gola a canna di fucile
chiusa tra muraglie e puntata diritta al ponte sottostante su cui passa la
strada statale. Con il mutamento climatico in corso, caratterizzato da periodi
di siccità prolungata rotta da improvvise e violente precipitazioni (i
40 morti dei giorni scorsi a Istanbul ne sono precisa
conseguenza), anche a chi non è nel campo competente verrebbe da prevedere
e paventare conseguenze catastrofiche. Non è la storia recente di questo
Paese caratterizzata da tragedie con frane e morti causati da costruzioni
invasive realizzate sul letto di torrenti e corsi d’acqua? Possibile che
la spregiudicatezza abusiva di qualcuno riesca così facilmente a far
dimenticare responsabilità e doveri dei pubblici amministratori? E dove
sono le autorità ispettive preposte?
Secondo fatto. Una bimbetta di quattro anni confida alla madre di
avere partecipato a dei giochi “particolari” con il giovane
marinaio della barca di un albergo che organizza quotidiane escursioni lungo la
costa del Golfo. La bambina, evidentemente turbata per quanto le è
accaduto, il giorno dopo racconta tutto alla mamma, che individua un arrossamento
alle parti intime della figlia, ne parla sconvolta al marito, decidono di
procedere con la denuncia del fatto alla locale stazione dei carabinieri. Le
indagini investigative partono, il giovane marinaio - un ventenne romeno
– non nega il gioco né la sua natura sessuale. Sostiene essersi
trattato di qualche carezza esplicita, qualche bacio e strofinamento. I
genitori della bambina riposavano rilassati sulla tolda
dell’imbarcazione, la bambina aveva chiesto di essere accompagnata al
bagno. Lui riconosce che non avrebbe dovuto abbandonarsi a quelle carezze, ma
sostiene che non immaginava trattarsi di cosa per la legge così grave.
Il ragazzo è da due anni in Italia, conosce e parla la lingua italiana
in maniera ancora approssimativa. I carabinieri, ottenuta confessione piena, ne
passano i verbali alla procura di Lagonegro, che nel
giro di un mese, interrogate e messe a confronto le parti, emette sentenza di
condanna a 5 anni di carcere. Sui giornali si dà ampio risalto ai fatti,
al ragazzo romeno viene affibbiato il nomignolo di Mostro di Maratea. Vedete
– commenta sui giornali qualcuno del personale giudiziario della procura
di Lagonegro – c’è chi sostiene
che il nostro lavoro è scarso e questa sede giudiziaria andrebbe chiusa.
Ma non vedete invece come siamo efficienti e tempestivi? Nei commenti di
strada, le donne, le mamme specialmente, non esitano ad affermare che, fosse
dipeso da loro, quel ragazzo dal carcere non sarebbe uscito mai più.
Il terzo fatto è successo ieri l’altro. Come ogni
estate che Dio manda sulla terra, alla fine della stagione il solito o i soliti
noti hanno dato fuoco al sottobosco riarso di una pineta. Se ne siano resi
conto o meno, il forte vento ha alimentato ed esteso le fiamme fino al punto da
divorare completamente l’intera splendida pineta di Acquafredda – quella per radicare, far crescere e
sviluppare la quale sono venute tanti anni fa apposite squadre di forestali
dall’Abruzzo. Le fiamme sono arrivate a un punto di estensione tale da
dover procedere allo sgombero di diverse abitazioni, l’Hotel Gabbiano,
sul mare, compreso. Statale e ferrovia sono rimaste diverse ore interrotte. Il
danno al patrimonio boschivo è immenso, si sono fortunatamente evitati
guai alle case e alle persone. E’ purtroppo prevedibile che nessuno dei
responsabili dell’incendio, anche quest’anno come i precedenti,
avrà sanzione punitiva. Anzi, come sempre, a primavera vedremo le mucche
pascolare in bella mostra e cibarsi dei germogli freschi spuntati sul terreno
bruciato. Viene da dire che la collettività risparmierebbe – anche
considerando le sole spese di spegnimento che hanno visto impegnati aerei,
elicotteri, forestali e vigili – se si facesse dono ai pastori di un
numero equivalente delle bestie in loro possesso.
Questi i tre fatti. Prima riflessione: perché la legge e la
giustizia sono così efficienti e rapide soltanto in uno? Forse
perché l’accusato è un romeno di vent’anni, da poco
in Italia, senza famiglia né amici, con scarse conoscenze linguistiche e
poche relazioni sociali? Forse perché il suo è un reato (carezze
vietate a una bambina) che ripugna all’opinione pubblica e di quelli che
attirano attenzione morbosa e titoli cubitali a piena pagina (il Mostro di
Maratea)? Certo che è piuttosto facile dare addosso a un ragazzotto
romeno (“quelli hanno lo stupro nel Dna!”, ha recentemente
dichiarato l’ottima nipote di Benito Mussolini, quello così ben
descritto nei suoi comportamenti famigliari da Bellocchio nel film Vincere) che
non sa stare correttamente al suo posto, nelle forme e nei limiti di un gioco.
Ma allora, il predone che ruba e si annette pezzi di territorio pubblico e che
non si arresta neppure davanti alla eventualità
che la sua opera metta a repentaglio l’incolumità delle persone e
di parte di un paese che lo ospita? E l’altro predone che appiccando il
fuoco distrugge parti estese di verde pregiato, e mette a repentaglio e a
rischio le proprietà e la vita dei cittadini? Ma non dovrebbe
interrogarsi una comunità così immediatamente reattiva quando si
tratta di baci e carezze sicuramente riprovevoli e giustamente punite dalla
legge, e così poco reattiva, anzi, così lenta e refrattaria a
muoversi in presenza di fatti che provocano danni gravi alle cose e, Dio non
voglia, potenzialmente anche alle persone? C’entra forse il fatto che il
ragazzo romeno è un isolato forestiero semi
sconosciuto, quindi bersaglio facile e capro espiatorio perfetto, mentre
gli autori di reati altrettanto riprovevoli e forse peggiori sono concittadini
abili, spregiudicati e protetti, temuti perché capaci anche di
comportamenti intimidatori violenti? Non è che il bene pubblico –
il bosco, la pineta, l’acqua e il letto di un torrente – viene
considerato res nullius e quindi di scarso o nessun
interesse, a disposizione di chi se lo vuole prendere? E forse che la tendenza
a privatizzare i beni pubblici è oggi considerata fisiologica,
legittima, quindi non riprovevole, socialmente da non condannare e
giudiziariamente da non reprimere?
Ma allora è proprio vero quello che quel giudice di
Cassazione dice, e cioè che la legge è quella cosa che si applica
rigorosamente nei confronti di chi ci è lontano ed estraneo, mentre non
si applica o, nel caso, si interpreta prudentemente, se l’imputato ci
è consonante e amico…