Vacanze al Sud. O la riscoperta della solitudine
pensosa.
Provate,
in vacanza, a rinunciare (più che potete) all’uso
dell’auto. Sui benefici effetti del camminare ho già parlato.
Spostarvi abitualmente a piedi comporta un rapporto con il paesaggio, le
persone, voi stessi, che vi consente nelle sensazioni ed emozioni
l’esperienza di un assaporamento lento e
prolungato. La rapidità rombante di chi è auto munito
e auto sequestrato è abolita. Altro aspetto positivo
rimarchevole è la possibilità, a causa della eventuale vostra richiesta
di un passaggio, di incontri con umani altrimenti ignorati e ignoti. Le
reazioni che al proposito incontrate possono essere le
più diverse. Un signore, cui a un semaforo ho
cortesemente chiesto un passaggio, mi ha squadrato per qualche secondo e poi,
impassibile e gelido, mi ha risposto: non è mia abitudine dare passaggi,
a nessuno. Evidentemente non gli ero piaciuto. Ma anche questo, tutto sommato,
è un esercizio di umiltà prezioso.
Ma normalmente
non è difficile trovare in vacanza chi accetta e ti apre sollecito la
porta. Una gentile coppia di Barletta mi ha accompagnato a Sapri
ragguagliandomi sulle bellezze della Puglia, mettendole perspicacemente a
confronto con quelle
della Basilicata. Una
signora – anche le donne sole oramai si fidano di un
allampanato e questuante anziano bisognoso – mi ha accolto volentieri a
bordo raccontandomi durante il passaggio luci e ombre della sua attività
professionale – e io della mia. Insomma, uno dei risultati positivi del chiedere un passaggio è incontrare e
scoprire persone che altrimenti sarebbero rimaste sconosciute. Il muoversi blindati dentro un’auto fa risparmiare
sicuramente tempo e fatica, ma sottrae e impedisce gran parte della
possibilità di contatto. La macchina è protesi
potente, ma isola. A piedi, nel confronto con il fragore superbo di chi ti
sfiora, si è più esposti e vulnerabili, ma anche più
autentici e veri. Lo spostarsi abitualmente in automobile atrofizza muscoli del
corpo e facoltà della mente,
disabitua al contatto corporeo diretto con la gente, allo scambio alla pari, a
fare i conti con la propria autenticità limitata e concreta.
A casa, in vacanza, non ho televisore. Nei bar, nei ristoranti, nei
negozi in cui entro il televisore è presenza ossessiva e quasi sempre sintonizzata sui canali Mediaset.
E poi dice perché Berlusconi
vince. Smorfie e smorfiette, strilla garrule e
canzonette. Soap opera del cazzo. Come se si avesse
difficoltà ad affrontare direttamente la vita, che poi è madre
generosa di tutte le vere e meravigliose soap opera
del mondo. Stare senza televisore significa non dare il cervello in affitto e
in appalto alle tante fasulle star. Non c’è nessuno che a casa tua
pensa per te, decide su che cosa la tua attenzione si deve applicare, di cosa
si deve nutrire. Non ci sono immagini petulanti e
mirabolanti, voci esterne, estranee e invasive. Sei solo con
i tuoi pensieri, i tuoi umori, le tue emozioni, con le immagini, i suoni e le
voci che tu hai deciso di invitare e accogliere. Nel caso si volesse compagnia, e non bastasse il frinire delle cicale o
lo stormire del vento tra le fronde, meglio in sottofondo una buona musica.
L’altro giorno sono rimasto choccato nel
sentire un ragazzino appena arrivato dalla città esclamare: mamma, io
non sopporto il gallo e gli uccelli che mi svegliano la mattina… A Roma a
svegliare la mattina è normalmente il rombo del traffico sotto casa.
Abbiamo generato generazioni snaturate.
In vacanza, d’estate, fate in
modo da restare soli per diverse ore. Non per ipocondria o
misantropia, ma per riscoprire quanto è necessario e nutriente tornare a
dimorare sereni nella propria casa, riscoprire chi siete o cosa siete
diventati, i sogni e la stoffa di cui siete fatti, i
bisogni reali di cui siete costituiti, quante delle protesi e degli strumenti
che pensavate indispensabili rischiano in realtà di prendervi la mano,
diventando invasivi e sostitutivi.
In vacanza provate a riflettere in compagnia di Colette Soler,
analista lacaniana, che scrive: “Dopo avere puntato
all’emancipazione da tutti coloro che ci hanno sovraccaricato dei loro
precetti fin dalla nascita, siano essi i nostri genitori o i nostri maestri,
vale la pena di disalienarci dall’altro, dagli
altri che lo hanno rappresentato, vale la pena di sapere di che cosa si
soffriva, di sapere anche che cosa ci risulta impossibile, e di arrivare a noi
stessi, a ciò che siamo nella nostra singolarità.”
In vacanza, d’estate, esercitatevi con i mezzi e gli
strumenti che più vi aiutano a essere semplici,
autentici e creativi. Camminate, nuotate, leggete e
scrivete, zappate l’orto e coltivate il giardino, suonate e dipingete,
dormire e sognate, vedetevi un buon vecchio film, preparatevi un buon cibo,
accarezzatevi e accarezzate. Sceglietevi una solitudine amica o la compagnia di
persone con cui potete anche restare in silenzio, oppure
liberamente riflettere su ciò che realmente vi sta a cuore.
In vacanza lasciate perdere i giochi
mentali o elettronici fuorvianti e furbi, le interminabili chiacchiere oziose
al cellulare. Recuperate un rapporto semplice e diretto, senza filtri né
fronzoli, con voi stessi, le vostre incertezze e paure, i vostri
desideri e bisogni. In
vacanza toglietevi protesi, ragnatele e
sovrastrutture, regalatevi il lusso di scoprirvi semplicemente, basicamente
umani.
Spero di non turbare qualcuno dei miei cinque lettori, ma una buona
vacanza somiglia anche, in qualche misura ovviamente parziale e non definitiva,
a un esercizio della buona morte. Nel
senso che le è propria una necessità di togliere e levare
ciò che è abituale e superfluo, ciò che eccede e impedisce,
ciò che distrae e distoglie. Il termine stesso, vacanza, viene da
vacuum: vuoto, interruzione,
intervallo, sospensione. Diciamocelo pure in senso laico e leggero: quale è la sospensione della vita per eccellenza se
non la commare secca?
Non mi resta che augurarvi una buona vacanza.