Vacanze al Sud. Una serata al Porto.
Una serata al Porto è istruttiva. Intanto, e innanzitutto, fa scoprire che la bella piazzetta circolare a
perpendicolo sul mare non è più totalmente disponibile e di
libero accesso al pubblico come negli anni scorsi, quando era spesso adibita a
spazio espositivo per mostre d’arte o a luogo riservato alla
presentazione di libri. Ora è stata trasformata in succursale e appendice
funzionale al contiguo ristorante. Ci mangiano intorno a tavolini e sotto gli
ombrelloni decine di clienti. Ma quello non era spazio
di proprietà del Demanio, quindi di tutti? Certo, ma basta pagare che
diventa esclusivo e funzionale a vantaggio di qualcuno. Il Comune avrebbe
potuto opporsi – mi spiega paziente il proprietario del ristorante
–, aveva potere e diritto di destinare, così come negli anni
passati, quello spazio privilegiato a usi pubblici.
Non l’ha fatto, la piazzetta è stata fittata
e quindi di fatto privatizzata. E
non siete curiosi di sapere dove ha sede l’Ente del Demanio Pubblico?
Prima era a Pizzo Calabro, adesso a Matera. Ditemi voi cosa c’entra con
il Porto di Maratea… Burocratica e illogica follia. Si direbbe un
ennesimo episodio di appropriazione a uso privato di
un bene pubblico, così come, ahimè, in
giro accade per tratti di costa e letti di torrenti. Tutto a norma e in regola,
senza ombra di dubbio. La gente deve pure campà. Berlusconismo puro.
Poi l’amico ristoratore guarda l’orizzonte preoccupato
per il balenare di qualche lampo. “Speriamo che non arrivi il temporale.
Per noi, una serata persa in agosto non è che la si
può recuperare a settembre: è come perdere l’incasso di una
settimana normale.”
Io mi siedo a un tavolino, ho fame e
quindi mangio. Alla mia destra c’è un gruppo
formato da tre giovani coppie tranquille: se a turno non telefonassero per
annunciare ad amici e parenti: “Siamo in un ristorante al Porto di
Maratea, stiamo mangiando un’ottima fragaglia.
Peggio per voi che non ci siete…”, e giù
risate. Alla decima telefonata uno un po’
si incazza.
Al tavolo alla mia sinistra c’è un secondo gruppo un
po’ anomalo. Due padri, forse fratelli, con cinque
figli ragazzini. Due femmine di dodici, tredici anni, tre maschietti
sugli otto/dieci. Donne adulte, le mamme, intorno non si vedono. Saranno a fare
dieta, o shopping, o insieme dieta e shopping. Il
gruppo è particolare, ne seguo le dinamiche
incuriosito. Dei due maschi adulti, fratelli o meno che siano, chi
comanda è vistosamente uno, quello con un
vezzoso cappelluccio di paglia in testa, occhialoni bianchi alla Lina Wertmuller
sulla punta del naso, pizzetto alla Italo Balbo. E’ lui che parla e
decide per tutti, rimbrotta le ragazzine per quello che vorrebbero o non
dovrebbero mangiare, urla ai maschietti di pulirsi le labbra dopo ogni
forchettata di pastasciutta. A uno in particolare, il
più piccolo e bellissimo, ordina perentorio ogni tre secondi di alzarsi
da tavola, di avvicinarsi per pulirgli con il tovagliolo direttamente la bocca.
Una tortura e uno strazio. Lo so, me ne vergogno, non dovrei dirlo, ma in presenza di questa grossolana pantomima del dispotismo
patriarcale in azione mi sono visto alzare di scatto il braccio e puntargli
contro una fantasmatica pistola. A me le esibizioni
pubbliche dei padri padroni evidentemente non piacciono,
hanno il potere di indurmi alla puerile fantasia del giustiziere.
Dopo cena, salutato il proprietario del
ristorante che ci tiene a precisare che paga molto più di fitto al
Comune per i tavolini posti sulla strada che non il Demanio per quelli posti
sulla piazzetta, me ne vado a bere una caipirinha
sulla piazza centrale del Porto. E lì, dopo un
po’ che mi osservo intorno, mi rendo definitivamente conto che il Porto
di Maratea, la sera, è sì uno spazio tutto sommato tranquillo,
gradevole e ben curato, ma anche che in buona sostanza è il risultato
della somma di un centinaio di auto parcheggiate tutto
intorno, un secondo centinaio di barche a mollo in acqua, un terzo centinaio di
sedie disposte fitte sulla piazza. Un ritrovo con offerta di
bar e ristoranti dove convergono in auto e barca centinaia di persone.
Null’altro.
Così mare e paesaggio sono bell’e andati. Certo, poi tra i tavoli, sulla
passeggiata lungo il mare, sulle panchine e negli angoli in penombra, il Porto
dopo mezzanotte diventa approdo di uno sciame di giovani dai quindici ai trent’anni che pure loro in qualche posto hanno
diritto di andare. Fumano buttando a terra le cicche, bevono
birra direttamente dalle bottiglie che acquistano al vicino bazar, e
l’immagine che danno non è così gradevole. Anche se si
baciano continuamente tutti sfiorandosi ritualmente
zigomi contro zigomi e riprendendosi reciprocamente con video e foto manco fossero Lele Mora, Belen e Corona.
Capi firmati, birra e sigarette a gogò,
esaltazione della propria immagine come vetrina narcisistica, questo è
quanto apparentemente i venti/trentenni propongono, si scambiano e trasmettono.
Direi non molto, da indurre a un pensiero: ma un
progetto serio, un bisogno forte, una passione vera, una collera e una incazzatura, una voce che assomigli a un ruggito e non a un
belato tra una leccata e l’altra di gelato, da qualche parte i
venti/trentenni di oggi ce l’avranno? Intanto i loro coetanei indigeni,
pallidi, camicia bianca e aria tirata, corrono silenziosi tra i tavoli a
servirli, e a me sembrano tra i giovani presenti gli unici autentici e veri.
P.S.: Arriva la notizia del mandato di
arresto per associazione a delinquere a carico del capo Ufficio Tecnico del
Comune di Maratea.Vuoi vedere che il mio libretto sul
dilagare degli abusi edilizi negli ultimi anni ha un qualche oggettivo
riscontro? O si tratterà sempre dell’opera delle famigerate
“toghe rosse”, o delle regole che erano
troppo strette, e che in qualche modo, per campare, andavano allargate?