Ciao Biagio: nell'inviarti la nota di lettura di Silvio Pancheri del mio Maratea
- Il sogno di una cosa ,
mi sono scordato di segnalarti che l'autore della nota è Direttore
unità degli investimenti pubblici del Ministero dell'economia e delle
finanze - oltreché stimato pittore. Un saluto,
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Silvio Pancheri, in margine a:
Gian Carlo Marchesini. Maratea. Il sogno di una cosa.
Graus editore (2010)
Ci vuole amore e stomaco, cervello e passione per trattare di questi
tempi di Mezzogiorno, di etica e politica. Questo
scrittore non è uomo da slogan, non cerca il consenso facile; forse ci
nasconde qualcosa, qualcuna delle sue intenzioni. Forse gli basta averci
mostrato la strada, la sua strada, originale e
praticabile per farla finita con questa secessione parolaia e sconsiderata. Ma il libro, sia esso autobiografico o meno, non importa,
è un bel libro da leggere direi in un fiato (io, in tre serate). Narra
la storia di un uomo che viene a vivere nei luoghi che descrive, situati in
quello sbocco a mare della Basilicata che ritaglia per sé pochi
chilometri di costa, quasi il porto fosse un nodo strategico per
l’economia lucana (ma non lo è). La
roccia sotto e sopra il mare regala pezzi meravigliosi della natura prescelti
proprio per questo migliaia di anni fa da chi volle
fondare nuove colonie; ci hanno fatto case, palazzi, monumenti e forse quei
luoghi divennero ancora più belli proprio perché per lungo tempo
la convivenza uomo-natura è stata facile, forse agevolata dalla povertà,
che mai ha abbandonato quei luoghi, anche nel pieno dello splendore e della
ricchezza.
Ma quando la povertà è la derivata seconda
dell’opulenza, quando cioè la
povertà è un gioco dialettico, l’effetto è
deprimente per la mente oltre che per i rapporti interpersonali. Così,
dice l’autore, è cominciato il declino di Maratea; uno a uno i bei luoghi sono spariti dietro un cancello e via via cancello su cancello la bellezza rischia di essere
cancellata.
Questo è l’abusivismo, che potremmo
definire come un attacco alle bellezze del nostro Paese con effetti devastanti
e irreversibili. Queste sono anche le pagine più belle e struggenti -
sì, lo confermo, così è per me, sono pagine che fanno male e danno però il senso di appartenenza
dell’autore a quei particolari luoghi d’Italia.
Ho letto quel libro come l’avessi scritto
io, a matita mi sono appuntato anche qualche correzione. Lui ha scritto parole
dolci e parole dure sul Mezzogiorno, come avrei
scritto io.
Così il finale è come me lo fossi
sognato. Un finale a due voci. Seduti sulle rocce, Marchesini e Pancheri guardavano lontano e si davano il cambio, come
dovessero custodire qualcosa che sfugge, forse la bellezza dell’universo
(estrapolata da quell’angolo di paradiso). Lui
guardava il mare al mattino, quando io finivo di
vivere l’evento della notte che si perde in un girar di terra, ed era
incantato dal brillare del sole che da terra spingeva la sua luce color di
nebbia e d’argento fino all’orizzonte, ed era giorno. Di nuovo
eravamo lì la sera e lui guardava in tralice perché tale è l’esplosione di luce del sole che nessuna
pupilla si sarebbe mai assuefatta, al più c’era da perdere la
vista. Ricorda straniero che questo è un sole meridionale, solipsista, qui anche il sole ha il sangue caldo e splende
di una luce che lo carica di energia – è
solare – ed è come se i fotoni sparassero colpi di luce di
intensità mai vista. E’ il sogno di una cosa.