Di tori e marateoti in quel di Montpellier

Giuro di non avere mai assistito, a notte fonda, allo spettacolo di un paese intero che nella piazza antistante il municipio salta per ore al ritmo di una musica indiavolata inneggiando a quello che in evidenza è il proprio animale totem: il toro. Siamo nel villaggio di Les Matelles, a venti minuti d’auto da Montpellier, nella regione del Languedoc Roussillon (non lontano dalla Camargue: ecco spiegato il mito del toro). E’ oramai mezzanotte, birra e vino scorrono a fiumi, panini lunghi quaranta centimetri farciti di salsiccia con mostarda piccante e patate fritte vengono ingurgitati in un batter d’occhio, mentre bambini, giovani e meno giovani rimbalzano in pulsante sintonia verso l’alto come ricadessero su molle elastiche gridando invasati ritornelli musicali propiziatori in onore del loro dio taurino. Mi trovo coinvolto e travolto da una energia tellurica – di natura evidentemente sessuata, visto il luccichio ridente negli sguardi e l’espressione di godimento sui volti. Tutto questo fermento e brulichio di corpi seminudi - saranno intorno al migliaio, prevalentemente ragazze e ragazzi - ribolle e si agita gratificandosi e rinfrescandosi dello scorrere incessante di liquidi: dai secchi d’acqua scherzosamente lanciati sui corpi infuocati, alle birre gelate e schiumanti che scendono lungo le gole a riempire stomaci capaci.

A parte qualcuno crollato su una panchina in un angolo perché preso da un improvviso e invincibile sonno catatonico, non vedo nessun altro corpo che non si dimeni e agiti, che non si torca e sussulti, che non rimbalzi quasi a sfidare la forza di gravità e la legge che impedisce la compenetrazione dei corpi. Musica, alcol, ritmo, buio finalmente rinfrescato da un gradevole venticello in questo passaggio centrale di un infuocato agosto, e poi il nome e le virtù proprie del toro ripetute in tutti i modi e i toni a dare un sigillo pagano a una folla urlante che sembra perduta nell’ebbrezza di un primordiale sabba. Alcuni tori sono effettivamente sfilati durante il giorno per le vie del paese, scalpitanti e solenni con le loro froge fumanti, alternandosi a gare popolari ludiche che hanno fatto da controcanto a queste giornate di insopportabile clima di fanatismo olimpionico passivizzante. Non vedevo dal tempo della mia infanzia in Veneto la corsa delle carriole, o quella su ruote a reggere i pedalatori seduti su grandi oggetti famigliari appositamente costruiti: dalla scarpa, alla vasca da bagno con annesso bidet. Ad assistere ai bordi della strada e a tifare anche lì c’era l’intero paese a sganasciarsi e scompisciarsi per i capitomboli dei volonterosi protagonisti. Le venti coppie in gare erano formate da coppie di ragazzetti di quattordici anni a quelle muscolose e forzute di trenta o quaranta, e pure da ragazze anche loro decise a cimentarsi e combattere. Alla fine, più agili e leggeri su un percorso più di destrezza e agilità che non di pura forza, ha vinto, tra risate e capitomboli, la coppia dei folletti quattordicenni. Nel frattempo, nel cortiletto della scuola, attrezzato con tavoli e panchine alla bisogna, decine e decine di anziani si cimentavano pensosi nel tradizionale torneo delle carte. Alla fine, aperitivo gratuito per tutti offerto dagli sponsor.

Les Matelles, villaggio di 1.500 abitanti ( quarant’anni fa erano 350!) dove vivono mia figlia, il marito e i loro quattro bambini, oltre al municipio, che amministrativamente include anche alcuni villaggi confinanti, ci sono le scuole primarie, una biblioteca con sala annessa per incontri e convegni, la farmacia, l’ufficio postale, un negozio di generi alimentari, un bar con edicola, tre trattorie specializzate in menù diversi. Il centro del paese, un ben conservato borgo medievale, è semplicemente delizioso. Ma quel che mi ha colpito è stato soprattutto il grado di solidale coesione sociale, il clima di relazioni positivamente collaborative. Cosa che nelle grandi città è sempre più raro trovare. E poi mi ha impressionato la grande quantità di bambini presenti. Mia figlia mi racconta che in una sezione della scuola materna, l’anno scorso già frequentata da 35 unità, quest’anno se ne sono aggiunte altre dieci. E poi ha aggiunto di avere fatto amicizia con i genitori di bambini in classe con i suoi di origine italiana. Provenienti da dove? Ma da Maratea, naturalmente. Me li ha presentati durante la notte del sabba in onore del dio toro. Di incontrare dei marateoti in Francia impegnati nell’interpretazione di una danza pagana in onore del dio toro proprio non lo sarei mai immaginato.

Mentre sto scrivendo queste note, mio nipote Simon, che ha compiuto l’altro ieri un anno, succhia il latte dal seno di sua madre e intanto mi osserva curioso. E se io non corrispondo sollecito con il mio sguardo interrompe il suo ciucciare frenetico per richiamarmi all’ordine con un suo strilletto perentorio che suona di un evidente significato: “ma veramente mio nonno pensa di potersi occupare d’altro?” E poi, appena obbediente lo guardo ammirato, mi risponde con un sorrisetto compiaciuto. Che ti viene da pensare un po’ sbigottito e senza fiato: ma noi, veramente, chi siamo?

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