Altri medaglioni marateoti
Sergio Scognamiglio è un cristiano
vigoroso e alto oltre i due metri, da buon ex giocatore di basket, che ti
guarda dall’alto del suo sguardo azzurro con dolcezza. Mi racconta di
essere stato folgorato dieci anni fa sulla via di Damasco in quel di Cetara dall’artista Ugo Marano, di avere piantato
Napoli e il basket e tutto il resto per dedicarsi totalmente all’arte del
vasaio manipolatore di creta, del modellatore di oggetti,
in questo periodo innanzitutto pesci. Ho conversato per qualche minuto con lui,
che mi osservava con affetto dall’alto in basso con il suo sguardo di
gigante materno, poi sono stato preso per mano e
guidato a visitare la sua mostra allestita su una terrazza dell’agenzia
di viaggi MondoMaraTour di Mimmo Longobardi e Pompeo Limongi. Sergio Scognamiglio
predilige effettivamente la creazione di sagome colorate di pesci disposte a
terra in un crescendo di stazze e misure, dai minuscoli ai giganteschi, a
comporre insieme una figura di pesce riassuntivo enorme. Su qualcuno dei pesci
sta sdraiato uno stilizzato e nudo omino, le braccia e le gambe spalancate come
un grido, come se volesse aderire in toto al pesce e
a ciò che esso simbolicamente rappresenta. Già,
cosa simbolicamente e concretamente rappresenta oggi un pesce? Forse ci
vuole ricordare che nel mare nostrum la sua specie si va estinguendo, e che
sulla tavola, stante il saccheggio cui l’abbiamo
sottoposto, arrivano oramai quasi esclusivamente pesci di altri mari, di altri
fiumi lontani ed esotici come l’asiatico Mekong,
o l’africano lago Vittoria? E sarà anche
per questo che i pesci modellati da Sergio Scognamiglio
ricordano straordinariamente la forma di lacrime azzurre? E
quegli omini nudi sdraiati in spalancata adesione totale ai pesci, simbolo fallico maschile e femminile, cosa vogliono rappresentare:
forse un grido disperato per una virilità, un’energia sessuale che
sembra volerci inesorabilmente abbandonare?
*
Anche Antonello Leone, maestro lucan-napoletano
di tante forme d’arte, è venuto ad arricchire con i suoi manufatti
la stagione estiva in una galleria d’arte del centro storico di Maratea.
Ho conosciuto Antonello qualche anno fa – eravamo
allora più giovinetti, anche se in qualche misura morale e spirituale
ancora lo siamo -, invitato a presentargli un libro di poesie intitolato Venti
paralleli, in una piazzetta fatata del centro di Maratea con tanto di fontana a
chioccolare in sottofondo e un sassofono baritonale a contrasto. Ricordo che mi accorsi all’ultimo minuto di essere incorso in
un equivoco: avevo scambiato come centrale del suo poetare il termine erotico, quando in realtà in
termine era eretico. Ebbi un
istante di smarrimento, poi mi resi conto che via via
che parlavo non dovevo fare i conti con nessun equivoco. L’eretico e
l’erotico in Antonello Leone perfettamente si sposavano. Oggi, rivedendo
le sue opere, mi è venuto da pensare che Antonello intreccia
insieme Geppetto, il personaggio di Collodi, con il
biblico Vento Paraclito. Come mastro Geppetto Antonello sa far balzare fuori
dalla materia inerte la vitalità irrefrenabile di Pinocchio; come
il Vento Paraclito Antonello, con il suo sguardo e
fiato, suscita, là dove proprio non sembra esserci, la qualità e
l’essenza della vita. D’altra parte, non si dice
che l’artista è creatore di bellezza in sempre nuove e inaspettate
forme?
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Più tardi a Scario trovo schierata
un’intera orchestra e coro provenienti dalla Bulgaria a formare un
insieme di ottanta elementi. Non male, per un borgo di pescatori frazione del comune di San Giovanni a Piro nel profondo Cilento. Non bastasse,
ad arricchire il programma musicale della serata sono ospiti
dell’orchestra sei cantanti lirici famosi nel loro Paese d’origine:
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Rientrando a mezzanotte a casa mi sono fermato al bar del Sombrero,
accanto a Villa Nitti, per salutare gli amici e bere
con loro il bicchiere della staffa. E, guarda caso, a
intrattenermi con i suoi racconti è il gestore del bar, originario del
posto, che come tutte le estati prepara i suoi drink e cocktail esotici. E di cosa è fatto, di quali avventure è
intrecciato il suo racconto? Del fatto che oramai da molti anni la sua scelta
di vita è quella di fare il suo lavoro stagionale estivo al Sombrero di Acquafredda, per poi durante
l’inverno riparare in luoghi esotici lontani famosi per la loro bellezza:
i primi due anni in Messico, i secondi cinque in Brasile, ora da tre anni in Thailandia. Lì, mi racconta, a svernare per una
scelta analoga di si vita ritrova una comunità
di italiani ed europei che condividono valori e gusti: vivere il meglio possibile,
in semplicità e amicizia, lo splendore della bellezza dei luoghi. Il
racconto si prolunga interessante e inaspettato per oltre un’ora. Ecco cosa può capitare di vedere ed ascoltare in una serata esriva percorrendo i centri della costa lucan-cilentana.