Altri medaglioni marateoti

Di Pietro Basentini, di cui sono stato per molti anni amico e ho ascoltato più volte ballate e canzoni ogni volta commosso e divertito, l’ultimo ricordo che conservo è quello di due estati fa, una sera sulla terrazza del Gabbiano di Acquafredda, dove ci ha voluto intrattenere per due belle ore con la malia dolente dei suoi canti e filastrocche, intrise di una cultura e una storia del Sud filtrata attraverso il guizzo dell’ironia, della ribellione e di una mai definitivamente accettata, ma sempre in agguato, rassegnazione. Di Pietro conserverò la curiosità amica e l’attenzione carezzevole dello sguardo, il suo sorriso sempre accettante e comprensivo, la battuta folgorante. So che a maggio ha chiesto di essere accompagnato a Maratea a fare un ultimo giro lungo la costa, per un ciao sommesso in solitudine intensa. Oggi noi amici suoi siamo qui a goderci come al solito la bella vacanza. Ma l’assenza di Pietro la rende quest’anno malinconicamente diversa.

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Maratea Film Festival, bella formula. Evviva William Dafoe (presente solo in video) e Laura Morante, mostri sacri del cinema che raccontano di sé e della loro lunga carriera nella cornice di Piazza del Gesù a Fiumicello di Maratea. E benvenuta la fruizione gratuita di due film per tre giorni consecutivi ogni sera. Forse però qualche domanda su Maratea Film Festival, prima e dopo la manifestazione, è bene porsela. Il manifesto che annuncia l’evento, oltre all’annuncio a lettere cubitali del Festival, mostra in bella fila l’elenco delle aziende, enti e istituzioni che lo sostengono e sponsorizzano. Se ho contato bene, le firme sono 34. Wow! Sono poi entrato nel locale adibito ad agenzia promozionale dell’evento. Dietro un invalicabile bancone all’ingresso, dieci giovani, ragazze e ragazzi, sono seduti intorno a tavoli totalmente presi dagli schermi dei loro computer. Benissimo, saranno sicuramente impegnati da cose importanti: ma chi accoglie e informazioni al curioso interessato che entra? A Roma, ho la ventura di incontrare Laura Morante che porta a passeggio, dietro enigmatici occhialoni scuri, i suoi due cani. Non ho bisogno di incontrarla in carne e ossa a Maratea, anche se tutto simpaticamente fa. E della sua carriera so quello che basta. Mi piacerebbe piuttosto capire se a Maratea il Film Festival produce fatti e iniziative in modo tendenzialmente stabile attirando talenti affermati e favorendo opportunità di lavoro e crescita di talenti in loco. E se il tutto non rimane quindi passaggio effimero di meteora. So che in passato è stato offerto a Ulderico Pesce di utilizzare un edificio scolastico abbandonato del territorio per farne a favore dei giovani una scuola di teatro. Bella idea. Poi, non si è ben capito il perché, dell’idea e del progetto non se ne è fatto nulla. Maratea e la Basilicata hanno bisogno di presenze stabili, semina profonda, innaffiatura costante. Altrimenti i giovani lucani, specie i migliori, se ne vanno. Ah, dimenticavo: Maratea Film Festival, tutto interessante e bello: ma sapete che a Maratea non c’è una sala dove abitualmente si proietti cinema?

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L’altro giorno, sulla parte de La Repubblica dedicata a Napoli e alla Campania, è uscito uno splendido pezzo di Rino Genovese sull’intreccio nel Sud - ma se è per questo anche nel profondo Nord - tra modelli culturali arcaici e ipermodernità dell’immagine, della televisione e di internet. Risultato? Un disastro e un pasticcio modaiolo quanto regressivo. Ma – sostiene sempre Rino Genovese – ad avere per ora e ancora in pugno il comando, in un dilagare trasversale e interclassista di gesti e atteggiamenti plebei, è il familismo in generale, quello amorale in particolare (della serie: “tengo famiglia” , e del “poverino, pure lui deve campare” che assolve e giustifica tutti e tutto a prescindere), che sconfina spesso e facilmente nei comportamenti di illegalità e criminalità della mafia, della camorra, della malavita organizzata. Insomma, famiglia come comando ferreo, familismo amorale come anima fonda, conditi con le pulsioni di un individualismo violento come laghetto dalle acque melmose in cui disinvoltamente tuffarsi. A me, pungolato dalle riflessioni di Rino Genovese, è venuto da formularne una mia personale. La comunità qui è stata spesso quella che accoglie a schioppettate i patrioti risorgimentali che vengono a portare democrazia e libertà – vedi Costabile Carducci e Carlo Pisacane. Ma è anche la stessa che, ad esempio, in presenza di un proprio componente che replica tutte le estati gli incendi per ricavarne l’anno dopo pascolo verde o potenziale area edificabile, mettendo però a rischio l’incolumità dei borghi e dei loro abitanti, nel nome di una atavica e malintesa solidarietà si rifiuta di denunciare colui alle pubbliche e statali autorità, o di metterlo in qualche modo nelle condizioni di non nuocere. Insomma, chi è dentro la sua pancia va a tutti i costi difeso anche quando è oggettivamente pericoloso, mentre chi viene da fuori costituisce più che probabile minaccia, suscita diffidenza, va emarginato ed espulso. Genovese conclude che verrà necessariamente un tempo in cui la saldezza delle radici indigene saprà coniugarsi con il nuovo e il diverso della globalizzazione in atto: e allora avremo a Napoli e in tutto il Sud una nuova meravigliosa civile ed economica fioritura. Sapete che vi dico? Che io spero proprio di campare così a lungo da godermela.

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