IL NEGOZIO
di
Sandra Puccini
Ci
sono luoghi - opera dellĠuomo - ai quali il tempo che trascorso ha dato un
fascino, unĠeleganza, una rigorosa completezza che nessun manufatto recente pu
eguagliare. Sono semplici abitazioni contadine, piccole chiese abbandonate e
dimenticate dai fedeli, vecchi muri a secco di terrazzamenti disusati che
ricoprivano le nostre pi impervie colline - su cui continuano a crescere,
stenti e contorti, ulivi e carrubi -; filari dritti e regolari di viti ancora sorrette
dai pali di legno o dai tronchi degli olmi; case di campagna cadenti e
solitarie, con finestre vuote dalle proporzioni perfette. E la loro bellezza
non dipende solo dalla patina antica che li avvolge.
Cos era il negozio di Scoppetta: remoto, antico, nobile - se questo aggettivo si
pu usare per un oggetto inanimato.
Stava,
con la sua grande vetrina e lĠampio ingresso, sul corso di Maratea, poco prima
della piazza, quasi a presidiarne lĠaccesso. Occupava lĠintero piano terra di
un palazzetto costruito ai primi del Novecento, intonacato di bianco, con i
balconi di ferro battuto dalle leggere linee floreali. Gli stucchi che
decoravano i cornicioni e gli angoli dellĠedificio riprendevano nitidi lo stile
deco, forse portato in questa terra del Sud dagli
emigrati tornati dal centro Europa o dal nord America che lo avevano
reinventato nei colori e nelle forme meridionali, fino a renderlo simile a quei
dolci locali, fatti di zucchero e chiara dĠuovo. La vetrina a tre ante aveva le
cornici di legno intarsiato sovrastate da mascheroni ovali, allungati - musi
grotteschi di animali immaginari. Entrando si era accolti da un vasto ambiente
ombroso, quasi buio, con un alto soffitto oscuro, tutto foderato di scaffali di
legno intagliato con gli stessi morbidi decori floreali: alcuni ripiani chiusi
da vetri, altri suddivisi in cassetti, altri ancora aperti a mostrare le merci
pi disparate allineate in disordine fino al soffitto. Al centro di un lungo
bancone a semicerchio, separata e contenuta da una piccola vetrata, stava una
grande cassa di ottone tintinnante: giunta fino a noi da unĠepoca nella quale
anche gli oggetti dellĠindustria erano decorati per mascherare, pudicamente,
lĠessenzialit del loro uso, la loro ÒmodernitÓ.
Chi
fosse entrato nel negozio una trentina di anni fa, vi avrebbe trovato un uomo
bello e gentile, di una et indefinibile tra i 30 e i 40 anni e, seminascosta
dietro la cassa imponente, una vecchia con i capelli bianchi, tutta vestita di
nero, piccola piccola e sempre sorridente che,
nonostante lĠet apparentemente veneranda, riconosceva tutti e non sbagliava
mai nel dare il resto ai clienti e che avrebbe occupato il suo posto nella
bottega quasi fino al giorno della sua morte.
LĠuomo
era il proprietario del negozio, Andrea; la donna era sua madre. Li univa,
palpabile, un legame di affettuosa e intima consuetudine che, se non li si
conosceva, faceva pensare che lui fosse scapolo e che i due condividessero,
oltre alla comunanza tra le mura del negozio e la consonanza nel lavoro, anche
il resto della loro vita.
Come
recitava una insegna appesa fuori, con le lettere incise su una grande lastra
di metallo, il negozio era stato fondato nel 1920 dai fratelli Scoppetta ed era giunto ad Andrea dal padre, ormai morto da
molti anni.
Probabilmente
era stato lui il principale artefice della ricchezza della famiglia: interi
palazzi nel centro della cittadina, terreni nelle fertili campagne circostanti,
e soprattutto lĠampliamento della bellissima casa di famiglia, che - allĠinizio
degli anni Trenta - si era aggiunto come una propaggine alla pi antica e
severa residenza originaria. Era un prolungamento leggero, che si appoggiava ad
un lato dellĠedificio quadrato e ne proseguiva la facciata con una lunga e
ariosa vetrata liberty affacciata su un giardino pensile dove crescevano
oleandri e palme sottili e dal quale si dominava la valle fino al mare.
La mamma di Andrea era ricordata da tutti
come una donna buona e generosa, e lui, fin dal sorriso aperto e disarmante, le
somigliava e da lei aveva ereditato lĠumanit e quel disinteresse aristocratico
verso i soldi - e verso il suo stesso mestiere di commerciante - che lo
rendevano affascinante ed anomalo, quasi fuori posto in quel luogo e in quel
mestiere.
Per molto tempo nel
negozio si erano venduti soprattutto articoli di ferramenta: strumenti di
lavoro, chiodi, viti, candele, vernici, scale, lampadine, solventi. CĠerano
per anche i casalinghi: pentole, piatti, bilance di ottone, vasi di coccio e
di vetro con il tappo per conservare i cibi, bicchieri, qualche lampada,
posate. Un assortimento dimesso ed essenziale, per una clientela che - negli
anni Sessanta - era formata in larga parte dai contadini poveri che arrivavano
dalle campagne circostanti nella piccola citt - da sempre punto di passaggio
delle merci - per acquistare le poche, indispensabili cose necessarie al lavoro
e alla vita domestica.
Poi,
man mano che anche l era giunto il turismo, portando benessere e perfino
qualche ricchezza, gli oggetti erano diventati pi raffinati e il negozio aveva
cominciato ad allineare sui suoi ripiani, accanto ai vecchi e modesti oggetti
di uso comune, articoli pi importanti: porcellane di Limoges, cristalli di
Boemia, tazzine da the inglesi e bavaresi, eleganti servizi di stoviglie
pregiate per i regali di nozze. E visto che erano sempre pi numerosi i turisti
che compravano l una casa per le vacanze, si erano aggiunte anche lucide
maniglie dĠottone con i loro battenti a forma di sfinge o di testa di leone per
i portoni delle antiche case restaurate, lampade e lumi di metallo brunito o di
legno anticato, attaccapanni, qualche mobiletto.
Ma
Andrea era rimasto quello di sempre.
Se
si aveva bisogno di un martello o di un cacciavite, lui spariva nei bui meandri
del negozio a cercarlo e, una volta trovato lo strumento richiesto dal cliente,
quasi sempre gli si rivolgeva dicendo: ÒMa no, non ve lo comprate, se vi serve,
ve lo presto, voi ci fate quello che ci dovete fare e poi me lo riportateÓ.
Oppure, senza neanche mettersi alla ricerca dellĠoggetto: ÒSi, ce lĠho, ma non
buono. Andate da TrottaÓ, che era il proprietario dellĠaltro negozio di
ferramenta del paese e avrebbe dovuto essere il suo rivale.
Si
raccontava che una volta una signora del paese, che aveva in programma una cena
con tante persone e si era accorta di non avere un contenitore abbastanza
grande per la pasta, era andata da lui per comprare un piatto da portata.
Andrea le aveva fatto vedere il suo assortimento, ma erano tutti pezzi
importanti e il pi economico dei quali costava pi di centomila lire. La signora
aveva detto che non voleva (o non poteva) spendere tanto per una cena e lui,
allora, le aveva proposto: ÒPrendetelo e usatelo. Poi lo lavate e me lo
riportate: tanto vi conoscoÉÓ.
Ogni
tanto, sugli scaffali o in vetrina, comparivano vecchi oggetti che stridevano
con il nitore delle altre merci: borse di paglia rosse da una parte e rosa
dallĠaltra, dove la luce le aveva scolorite; cartoline illustrate in bianco e
nero, che mostravano le case sul mare comĠerano cinquantĠanni fa, prima del
boom turistico; cappelli da spiaggia un poĠ storti, che portavano impressi i
segni del tempo passato; borse da mare di plastica antica, deformate ed
ingiallite. Tutti fondi di magazzino che Andrea ritrovava per caso, in qualche
angolo inesplorato del grande locale, e che gli sembravano ancora belli e
vendibili. Immancabilmente questi oggetti (tranne, naturalmente, le cartoline)
costavano 5.000 lire, anche se non ne valevano neppure 1.000. Un prezzo che
per non era dettato da avidit di commerciante. Andrea considerava affascinanti
quelle vecchie cose nobilitate dal tempo: lui stesso le avrebbe comprate ed
indossate volentieri e pensava che avrebbero potuto trovare un amatore, magari
qualche collezionista. Le esponeva perci con una soddisfazione un poĠ
infantile, attaccandole ad uno dei ganci che pendevano dal soffitto del
negozio.
Del
resto, la sua indifferenza per il denaro era dimostrata dal fatto che sempre,
al momento di pagare, senza che il cliente ne facesse richiesta, era lui, di
sua iniziativa, a fare lo sconto, arrotondando il prezzo con la sua grazia
ritrosa e sorridente.
E
sembrava che tutta la sua vita fosse racchiusa nelle quattro mura del negozio.
Invece,
a poco a poco, si veniva a sapere che Andrea aveva molti altri interessi e una
moglie.
Innanzitutto,
era un grande pescatore subacqueo, ammirato e conosciuto lungo tutta la costa
(anche Gian Paolo Nitti lo stimava e qualche volta andava a pesca con lui), che
aveva insegnato - nel suo modo timido, con la sua aria modesta - le tecniche di
pesca a molti giovani del paese che lo consideravano un maestro. Malgrado il
suo aspetto fragile e nonostante il fatto che, da ragazzo, avesse avuto un
grave incidente di cui portava ancora le vaste cicatrici sul petto, andava a
pesca da solo ed era capace di scendere in apnea fino a 15-20 metri, con una
attrezzatura che negli ultimi anni era migliorata ma che, per molto tempo, era
stata simile agli oggetti polverosi che tirava fuori dai suoi magazzini:
maschere e boccagli di forma antiquata che risalivano agli anni Sessanta, mute
slabbrate accomodate con lo scotch, pinne macerate dallĠintenso uso, coltelli
affilati che riponeva con cura in custodie ricavate da vecchi scampoli di tela
cerata e che allacciava fortunosamente alle gambe con pezzi di elastico. Il
tutto, racchiuso ordinatamente in una di quelle sacche di vecchia plastica
rinsecchita che proponeva in vendita alla sua clientela. Ma conosceva meglio di
chiunque altro i fondali della costa e le abitudini dei pesci: sapeva dovĠerano
le tane delle cernie e delle murene e quali erano il modo e il tempo migliori
per catturarle; e dalle sue cacce non tornava mai a mani vuote.
Poi,
nella stagione morta, quando la clientela si faceva pi rara, chiudeva il
negozio e, con sua moglie Bianca, faceva lunghi viaggi in paesi lontani ed
esotici, per conoscere posti nuovi (e nuovi fondali marini).
Bianca
era pi giovane di Andrea. Aveva il volto affilato simile a quello di un
uccello, grandi occhi neri ed un corpo sinuoso, insieme esile e femminile. La
sua famiglia era emigrata in Venezuela quando lei era piccola, ma
periodicamente tornava nel paese natio. Ancora bambina, si era invaghita di lui
- erano lontani parenti - e quando, ormai adulta, aveva deciso di rimanere in
Italia, quellĠamore infantile si era rafforzato ed infine era stato coronato
dalle nozze.
Dopo
il matrimonio si erano costruiti una villetta, nella stessa strada in cui stava
la grande casa avita che era toccata in eredit al fratello (professionista in
una citt del Nord). La loro abitazione era assai pi modesta: un solo piano,
un piccolo giardino sul quale si apriva un vasto soggiorno dalle finestre
enormi che davano allĠedificio le fattezze di un insetto dai grandi occhi o
quelle di certi pesci dal muso sporgente e lo rendevano bizzarro,
sproporzionato, come un volto dallĠespressione perennemente stupita.
Pure,
quelle finestre, avevano una ragione e dunque una storia. Fatte con il legno
dei castagni che crescevano rigogliosi alle spalle del paese, esistevano prima
della casa: infatti, il padre di Andrea, tanti anni prima, le aveva
commissionate ad un artigiano di quelli di una volta e poi le aveva messe da
parte (forse in uno dei suoi tanti magazzini), pensando che un giorno o lĠaltro
avrebbero potuto essere utilizzate. Erano finestre bellissime, come non se ne
trovavano pi e Andrea, infischiandosene delle proporzioni, aveva adattato la
casa a quegli infissi: insomma, lĠaveva fatta crescere intorno alle finestre.
Bianca
e Andrea non avevano avuto figli. Come spesso accade in questi casi erano una
coppia unita e solidale e, dopo trentĠanni, si amavano ancora teneramente. Dopo
la morte della suocera, di pomeriggio Bianca raggiungeva il marito in negozio:
gli dava una mano e intanto gli faceva compagnia.
Questa
vita tranquilla, sentimenti saldi e sicurezze quotidiane, si era spezzata
allĠimprovviso quando Bianca aveva scoperto di avere un tumore. Era cominciata
allora quella dolorosa odissea che si accompagna alla malattia: operazioni,
chemioterapie, miglioramenti e peggioramenti, ricoveri e ritorni a casa con
lĠillusione di essere guarita, per poi ricominciare da capo con tutta la
trafila. E Andrea sembrava patire la infermit della moglie sulla sua pelle,
come se il malato fosse lui. Quando - in un ospedale del Nord - le era stata
fatta la diagnosi di un Òmale incurabileÓ, era stato lui a piangere e a
disperarsi; ed era stata lei a doverlo confortare e sostenere - come raccontava
lei con tenerezza protettiva.
Tornati
a casa dopo il primo ciclo di cure, si erano mostrati pi uniti di prima. Lei
gli era sempre accanto e lui la guardava con amore, quasi come temesse di non
vederla pi, di perderla allĠimprovviso. Invece la malattia si prolungava,
mentre le speranze di guarire diminuivano. Bianca era condannata. E in molti
pensavano che Andrea non ce lĠavrebbe fatta a sopravviverle, e che sarebbe
morto anche lui.
La
sua sola distrazione, la sua unica passione oltre la moglie, rimaneva la pesca.
E ci andava da solo, allĠalba, cominciando fin dalla primavera, quando lĠaria
tersa e serena gi vibrava dei colori dellĠestate vicina e preannunciava il
primo caldo, le lunghe giornate assolate.
Una
mattina era uscito prestissimo, che appena albeggiava, mentre Bianca dormiva.
Voleva portarle del pesce per il pranzo: lei si doveva nutrire, aveva bisogno
di mangiare cibi genuini e saporiti, perch - gi
magra - ora si era fatta pallida ed emaciata mentre avrebbe avuto bisogno di
tutte le sue forze per combattere la malattia.
Quando
lei si era svegliata, lui non cĠera e alle 9 non era ancora tornato.
Un ragazzo, amico e
allievo di Andrea, che conosceva anche lui i punti pi pescosi della costa e
che era andato a pescare in una caletta, aveva visto galleggiare qualcosa
nellĠacqua limpida: era una pinna. Sotto, incastrato tra le rocce, cĠera il
corpo ormai senza vita di Andrea. Si disse che forse si era spinto troppo a
fondo per inseguire una preda ed era rimasto imprigionato: quando aveva provato
a risalire, lĠangoscia di non farcela a liberarsi lĠaveva privato del suo
sangue freddo, bloccandolo sul fondo. Si parl anche di un malore: lui non era
mai stato spericolato, ma ormai aveva ormai pi di 60 anni - unĠet che
consigliava la prudenza. Ma la verit non la conosceva nessuno: solo
congetture, ipotesi, fantasie. Si disse perfino che quella fine se la fosse
cercata, per non dover assistere alla morte di Bianca, per non essere costretto
a vivere senza di lei.
Ma
come dirlo a lei? Chi le avrebbe dato la notizia?
Quando
Bianca si vide comparire davanti la sorella, accompagnata da alcuni giovani, ad
unĠora insolita e con il viso cupo e addolorato, cap che era successo qualcosa
di grave e pens subito ad Andrea. E indovin prima ancora che qualcuno
parlasse. Rest muta, incredula, impietrita. E tutti pensarono che quella
perdita lĠavrebbe uccisa.
Al
funerale lei era in prima fila, inebetita, disfatta dalle lacrime. E la chiesa
era piena. Tutto il paese - e anche molti villeggianti - avevano voluto
salutare Andrea per lĠultima volta, ricordare lĠuomo gentile, la sua dignit, i
suoi insegnamenti, la sua finezza. Era anche un modo di star vicini a Bianca,
di farle sentire che non era sola, che il suo dolore era condiviso da tanti:
anche se non avevano figli, molti giovani avevano trovato in lui un modello
paterno, un esempio da imitare. E gli avevano voluto bene, come altri avevano
trovato in lei - che era maestra - una dolce presenza quotidiana.
Per
qualche giorno il negozio rimase chiuso, le serrande abbassate. In lutto.
Poi,
sorprendentemente, venne riaperto e Bianca era l, seduta su una poltroncina,
troppo stanca e malata per lavorare, ma presente. A chi entrava per salutarla,
diceva che non poteva credere che Andrea non ci fosse pi; che quando stava l
dentro, si aspettava di vederlo arrivare sorridente dal retro bottega - e forse
ci sperava.
I
mesi passavano, Bianca stava sempre peggio: ma la vita non voleva abbandonarla.
Contro ogni previsione, contro i suoi stessi desideri, lei continuava a vivere.
Un
anno sarebbe passato prima che - lentamente, proprio come una candela che si va
consumando piano piano - anche Bianca si spegnesse.
Ancora
una volta, dopo il suo funerale, il negozio venne riaperto: se ne occupavano i
parenti, per smaltire tutta quella merce che si era accumulata in quasi un
secolo. Gli scaffali si andavano svuotando, come le vetrine. E si diceva che lo
avrebbero venduto, perch nessuno di loro era commerciante, a nessuno
interessava proseguire lĠattivit che aveva impegnato la famiglia Scoppetta per pi di due generazioni. Anche la bottega,
dunque, era condannata a morte.
Ma
se i morti vengono seppelliti e si fanno polvere, che cosa sarebbe accaduto di
quel luogo? Sarebbe stato conservato, con il rispetto che si deve al passato,
oppure sarebbe stato distrutto dai nuovi acquirenti, trasformato in una
pizzeria o in un fast food, come volevano le leggi
del mercato e le mode?
Certo,
un negozio non una chiesa, non un palazzo antico, a proteggere i quali
possono intervenire le istituzioni, per impedirne la rovina o la distruzione.
Eppure, la memoria di un paese e la storia della sua gente, spesso, sono
racchiuse anche - e forse pi tenacemente - in posti come quello, che sono
stati animati dalla vita di tanti uomini e abitati dalle consuetudini
quotidiane.
Quel
negozio merita rispetto e attenzione: come se fosse un monumento - o una
persona. Anche se non fatto di carne e sangue, pure, un concentrato di
ricordi e di vite vissute.
E
forse dietro al bancone, o in fondo, nel buio dei grandi e misteriosi
magazzini, aleggia ancora lo spirito di Andrea. Come ha creduto e sperato
Bianca, fino alla fine.
Sandra
Puccini