Una
descrizione inedita di Maratea nel Seicento
Luca Luongo |
Alla biblioteca nazionale di Napoli esiste una descrizione di
Maratea nel Seicento. Fu scritta alla fine del XVII secolo ed rimasta l
conservata per trecentocinquanta anni. Incredibile ma vero, il testo ancora
oggi inedito.
La Lucania sconosciuta di Luca Mandelli.
La Lucania sconosciuta un manoscritto
conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli. Fu composto da Luca
Mandelli, monaco agostiniano di Teggiano, morto nel 1672. Oltre a riassumere la
storia della regione, ne descrive i principali paesi.
Non il primo lavoro in assoluto sulla storia della
Basilicata. Il primo di cui si ha una qualche notizia fu la Storia della
Lucania completata nel 1615 dal barone Francesco Sanseverino, mai
pubblicata a stampa e oggi perduta. Non sappiamo se o in che misura il Mandelli
benefici di quellopera per il suo lavoro.
Anche La Lucania sconosciuta
esiste ancor oggi solo in versione manoscritta. Ma molti autori successivi la
lessero e citarono nei propri lavori. In alcuni casi, dei brani del Mandelli
sono stati pubblicati in studi particolari. Per quanto concerne Maratea, il
primo autore a dar notizia dalla citazione della nostra Citt nellopera di
Mandelli fu Jos M. Cernicchiaro (1949-2010) nel suo Maratea nella storia,
primo capitolo della guida storico-turistica Conoscere Maratea.
Maratea vista da Mandelli.
Lopera di Mandelli dedicata alla Lucania,
quindi parla anche di paesi che oggi come allora facevano parte della provincia
di Salerno. Il Mandelli present Maratea proprio al termine della loro
descrizione.
Intorno a 8 miglia, dopo
Policastro seguendo la distanza di navigazione, ritrovansi
Maratea, buona terra, divisa per in due popolazioni, la maggiore delle quali
presso il mare e dicesi Maratea di giuso, la
minore situata sopra dun alto e scosceso monte chiamata Maratea di suso
et da credere fosse da medesimi Terrazzani edificata, per rifuggirsi alloccorrenza
dimprovvisa invasione di Corsari.
Queste parole sono molto affascinanti. Gi allepoca a
Maratea circolava la tradizione che il Castello, ossia la Maratea superiore,
fosse il primo nucleo della comunit, e da questo fosse poi scaturito il Borgo,
ossia la Maratea inferiore. Mandelli non ne tenne conto e immagin che la cima
del monte San Biagio fosse stata insediata come rifugio estemporaneo.
La questione di Blanda.
Scrivendo di Maratea, Mandelli cit anche la citt Blanda
Julia. Fino ad allora, Maratea appariva nelle storie del Regno di Napoli
esclusivamente in relazione alla storia e alla ricerca di questa antica citt,
di cui allepoca si erano perse le tracce.
Quantunque di questa terra non si trovi memoria presso
gli antichi, alcuni moderni cedettero fosse gi famosa citt, ricordata col
nome di Blanda da Livio, e Tolomeo; la quale anco ne
tempi pi bassi era citt vescovile, leggendosi che S. Gregorio Magno impose al
vescovo di Agropoli visitasse quella Chiesa allhor
senza proprio Pastore, come anco quella di Velia e Bussento,
per essergli vicini. Di tal opinione fu quel raro ingegno dei nostri tempi
Camillo Pellegrino, il quale nella Tavola in piano del Ducato di Benevento segnolla in questo sito: Blanda, nunc
Maratea.
Ma il Mandelli non era affatto daccordo
con questa interpretazione. Avendone la possibilit, scrisse una lettera a
Camillo Pellegrino (1598-1664) confessandogli i suoi dubbi.
La risposta di Camillo Pellegrino.
A questo punto, Mandelli interruppe la descrizione di Maratea
e riport la risposta datagli dal Pellegrino con una lettera del 25 luglio
1662.
Non volendo contradire s degno scrittore, honor del nostro secolo - scrisse Mandelli - che in queste materie di antichit sha
lasciato addietro quanti moderni prima di lui hanno scritto, volli per lettera
palesargli il mio dubbio come altre volte gi feci di smiglianti
cose, e ne riportai questa risposta: "Di Velia e di Blanda non mi
sovviene hra quali autori ebbero a credere Pisciotta
e Maratea; e per essere ci notato da me fuori del mio istituto principale, non
ne presi di molta cura. Tolomeo in vero riconosce Blanda fra terra, ma quella
Tavola di Pirro Ligorio Maratea gi e Maratea suso, che sarebbe la Blanda
mediterranea. Ma io ne rimetto alla diligenza di V. S. non gi a quella di Gioseffo Moleto che nella sua edizione di quel Geografo
espose Blanda per Castel a Mare della Bruca, accortomi nelli
nomi antichi della nostra Campania di siffatti errori suoi e di altri men cauti
autori." Non essendo dunque necessitato dal detto di si degno amico a
credere che Maratea fusse lantica Blanda, non potr
persuadermelo altri, per il motivo dianzi accennato.
Il testo della risposta molto interessante. Ci fa comprendere
con quanta sufficienza e poca attenzione critica alle fonti il Pellegrino
avesse compiuto le sue ricerche. Non solo allepoca della lettera ricevuta da
Mandelli non ricordava dove avesse letto la notizia su cui si era basato, ma
confess con grande tranquillit non se ne preoccup pi di tanto, non
parendogli una notizia fondamentale. una cosa che gli storici ed eruditi
locali dovrebbero tenere bene a mente quando idealizzano fin troppo lautorevole
attendibilit degli antichi autori!
Una storia di Maratea.
Mandelli non aveva basi per raccontare, seppur per sommi
capi, una storia della citt. Tuttavia, continu la descrizione con
interessanti considerazioni.
Ancorch questa terra non avesse antichit cos grande, non
penso devesi credere moderna, ritrovandosene memoria
seicento anni a dietro nelle Bolle dianzi appostata da
Alfano Arcivescovo di Salerno; il quale determinando la diocesi al primo
vescovo di Policastro fra laltre terre si annovera
Maratea e ben si pu credere fosse antica, e opera dei Greci, avendo nel Nome
non so che di grecanico.
Nei passati secoli fu meglio popolata e da habitatori pi nobili e ricchi il che ben si raccoglie da
loro trafichi marittimi nei quali simpiegavano nelle
pi rimote regioni dellOriente, al pari degli
Antichi Amalfitani, gi loro vicini, donde pu giudicarsi trahessero
gran ricchezze.
Il passaggio molto importante. Mandelli fu il primo autore
a riconoscere nella Bolla di Alfano del 1079 la prima traccia di Maratea nella
storia. Suo anche il primo accostamento del nome alla lingua greca: duecento
anni dopo, Giacomo Racioppi (1827-1908) spiegher il
toponimo come derivato di μάραθος, ossia il greco per finocchio
selvatico.
In pi, interessante ci che Mandelli scrisse sul commercio
dei marateoti. Nel Seicento Maratea era un affermato porto di commercio, in cui
venivano scambiate le materie prime prodotte nel Lagonegrese con i beni
lavorati prodotti a Napoli. Eppure Mandelli sent il bisogno di arcaicizzare le
fortune commerciali di Maratea, paragonandole a quelle degli amalfitani e
collocandole in un imprecisato passato. Se ne serv per spiegare quella che, a
suo avviso, era la principale ricchezza della citt.
Le reliquie di S. Biagio.
In ogni epoca, come si sa, parlare di Maratea implica parlare
del suo santo patrono e viceversa. Mandelli non solo non fa eccezione, ma identific
nel possesso delle reliquie del santo armeno il pi bel tesoro di Maratea.
Ma la pi degna merce, che ogni altra in infinito
super fu lhavere trasportato nella patria il corpo di S. Biase, che in Sebaste
dArmenia havea sofferito
il martirio e vivendo e dopo morto oper molti miracoli a beneficio degli
oppressi del mal di gola, per lo che sar sempre Maratea famosa al mondo non
che in questo regno, mentre in essa si conserva cos gran celeste tesoro.
Queste parole, scritte in continuazione del passaggio precedentemente riportato, rapportano il possesso delle
reliquie ai commerci via mare dei marateoti. Questa non fu unidea originale
del Mandelli. Laveva gi esposta il mons. Paolo
Regio (1545-1607) in una sua agiografia dedicata al santo di Sebaste. Come ho scritto in un mio piccolo studio,
intitolato Divo Blasio. Ricerche storiche e
sociologiche sul culto di S. Biagio di Sebaste a
Maratea, in questi due lavori potrebbe essersi conservata traccia di una
pi antica tradizione circa larrivo delle reliquie rispetto a quella che tutti
conosciamo, che narra del loro sbarco a Santo Janni.
Un tesoro ancora inedito.
Mandelli chiuse cos la sua descrizione di Maratea, passando
poi oltre, verso Scalea e Cirella. Il suo lavoro, sebbene possa trovarsi su
internet ricopiato con certosina pazienza allinterno di una tesi di dottorato
discussa presso lUniversit di Roma Tre, ancora privo di una edizione a
stampa. Spero che un giorno un istituto culturale lucano se ne prenda carico,
per non far dormire ancora per tre secoli questo pezzo di storia in un cassetto
della biblioteca napoletana.