Perch a
Maratea ci sono cinque cimiteri?
Lo scorso gioved 31 ottobre la
dirigenza dellĠI.S.I.S. ÒGiovanni Paolo IIÓ mi ha dato
la possibilit di incontrare gli studenti delle classi 3Ħ, 4Ħ e 5Ħ dei nostri
licei per un incontro a tema storico su un argomentoÉ non troppo allegro: Il giorno dei morti e i rituali della Morte.
Avrei voluto replicare lĠincontro
anche oggi 2 novembre in una delle nostre chiese ma il venir meno di altri relatori mi ha spinto a rinviare ad anni venturi
lĠoccasione.
In ogni caso, come ho promesso a
cultori di Storia locale che me lo hanno chiesto,
approfitto della sempre cortese disponibilit dellĠamico Biasino per pubblicare
alcuni frutti di ricerche nei nostri archivi sul tema.
Prima dei cimiteri.
Come ampiamente noto, prima della creazione dei campisanti
– i quali sono, va sempre ricordato, una invenzione recente – i
defunti della comunit erano tumulati nelle chiese.
Non tutte le chiese erano
deputate allo scopo. Nella parrocchia di Maratea Castello le chiese con sepolture
erano (almeno) quella di S. Maria Maggiore, che si
trovava vicino la porta principale della vecchia citt fortificata, quella di
S. Nicola, che non ho mai potuto (finora) localizzare nei ruderi, e il
Santuario di S. Biagio.
La basilica aveva undici sepolture,
otto delle quali appartenenti a famiglie gentilizie. Le restanti tre erano quella dei bambini morti prima dei 7 anni, la sepoltura
comune e quella dei sacerdoti. La sepoltura comune era enorme e pot ospitare
le ossa di tantissimi nostri antenati perch, quando la si
scav si ruppe la volta di una grotta e quindi, come dice un documento del 1841
trovato nellĠarchivio comunale, Çper
costante tradizione dicesi sprofondare in una Caverna
interminabile, che niente puol pregiudicare alla
salubrit dellĠAriaÈ.
La sepoltura dei sacerdoti stava
sotto il presbiterio e, durante i lavori del 1940 per lo spostamento della
Regia Cappella del santo, don Domenico Damiano (1891-1969) annot come egli con gli operai Çdiscesi
in una specie di antro attraverso una botola, al solo lume della stearica, ci
trovammo tra ventiquattro sacerdoti seduti intorno, nellĠimmobilit silenziosa
della morteÈ.
Nella parrocchia di S. Maria
Maggiore, invece, non tanto la Chiesa Madre, quanto lĠAnnunziata era la
principale fossa per i defunti. Qui, tra lĠaltro, le sepolture gentilizie sono
facilmente individuabili perch, ancora oggi, sopra i quadri degli altari
laterali sono rappresentati gli stemmi delle famiglie a cui
appartenevano.
Come erano fatte le sepolture nelle chiese?
Per sopperire alla scarsa
quadratura dei piani di calpestio, le sepolture erano progettate per sfruttare
le cubature ricavabili nel sottosuolo delle chiese.
Generalmente, le sepolture
avevano due piani. Il primo, a cui si accedeva dalle
botole del pavimento, era il putridarium o camera di decomposizione. S, esattamente quel che sembra. In questo
ambiente, a cui lati cĠerano dei sedili con al centro un foro, si mettevano i
defunti a scolare: il becchino
trafiggeva i cadaveri, avvolti in sudari, cos che i liquidi di decomposizione colassero
nel foro.
Quel foro, cos come la fessura
posta al centro dellĠambiente, era lĠunica comunicazione con il secondo piano,
lĠossario, in cui, una volta scheletrificati i corpi,
si buttavano gi le ossa.
Per noi moderni difficile immaginare
lĠorrore cui si trovavano di fronte i becchini quando entravano
nel putridarium:
non ci sorprende, allora, di scoprire dai registri parrocchiali che questi
lavoratori erano tra i meglio pagati della comunitÉ
Il caso degli innamorati di Messina.
Le sepolture gentilizie non erano
aperte unicamente ai membri di una determinata famiglia: in caso di parentela
– anche lontana – si poteva chiedere
la cortesia che un congiunto potesse essere sepolto in una di quelle, cos
da evitare, almeno per qualche tempo, lĠanonima sparizione dei suoi resti
dentro un ossario comune.
Anche le persone giuridiche
potevano avere una propria sepoltura: il caso delle congreghe.
Ma anche lĠospedale
dei Pellegrini aveva la propria. Questo ospedale,
fondato nel 1695 in concomitanza con lĠallungamento della festa di maggio di S.
Biagio e pensato per dare soccorso ai forestieri che si ammalavano a Maratea,
aveva la propria sepoltura sotto lĠaltare di S. Maria di Costantinopoli nella
chiesa dellĠAnnunziata. LĠaltare oggi quello a sinistra entrando, intitolato
poi a S. Biagio.
Questa sepoltura cela una triste
storia dĠamore. Due innamorati di Messina, Anna Starraggi
e Antonio Fogliano, erano cugini: per sposarsi dovettero veleggiare fino a
Roma, dove ottennero dispensa papale. Sposatisi in
Vaticano, tornarono a casa ma, nel viaggio di ritorno, Anna si ammal e mor
nellĠospedale di Maratea il 4 marzo 1740. Per poter un giorno riposare affianco
allĠamata, Antonio si stabil a Maratea e qui mor, anni dopo, chiedendo di
poter essere sepolto affianco ad Anna!
LĠodissea del camposanto di Maratea.
Dopo la conquista francese del
Regno di Napoli si promulg anche nel Mezzogiorno dĠItalia una legge per la
creazione dei campisanti, luoghi deputati a sostituire le sepolture nelle
chiese – considerate antigeniche – e diventare lĠunico luogo per la
tumulazione o lĠinumazione dei morti.
Ma in molti paesi, compresa Maratea, questo passaggio fu
una vera e propria odissea.
In un documento dellĠarchivio
comunale del 1829 abbiamo traccia del primo tentativo di costruzione di un
camposanto, il cui progetto allĠepoca risultava gi
abbandonato. Nel documento di dice che il ÇCampo Santo principiato nella Contrada detta
Mazzarelle, non niente adatto, anzi incomodo per
questa Popolazione per tanti riflessi, come sono la lontananza di circa due
miglia, la strada alpestre, la situazione non Centrale, il terreno ghiaioso,
perch sito in un punto dove manca il Sole tre mesi, e quindi non atto a
favorire la decomposizione deĠ CadaveriÈ. Il sindaco Donato Marini
DĠArmenia, allora, proponeva di spostare il progetto. Secondo il sindaco, Çil Luogo unicamente adatto, e che offre
insieme un risparmio, quello in contrada nominata S. Giovanni, esistente non
molto lungi dallĠAbitato in elevato sito, e quindi esposto nella sua isolazione [sic]
al soffio di ogni vento, che comunque si scaglia, e da qualunque parte spira,
anche in grado fortunale, giammai le esalazioni possono penetrare nel Comune,
perch sempre collĠinfuori, ed in lontananza di
dissipanoÉ considerando [anche] che
nella nominata Contrada vi unĠadiacente Cappella eretta sotto lo stesso
titolo, che apre al pubblico, al quale appartiene, e che non ha nel suo
circuito profondit di terreno, da potersi cavare dalle fossate,
che la inumazione impreteribilmente richiede, sia come si sperimenterebbe in
ogni altra parte anche pi lungi del Territorio, per essere petroso, e quindi
povero di terra mobileÈ.
LĠidea piacque agli organi
amministrativi, ma la spesa per realizzarlo richiese di trovare una
sistemazione provvisoria: nel 1839, infatti, erano state chiuse le sepolture
delle chiese.
Si scelse allora di utilizzare
come camposanto provvisorio la chiesa di S. Francesco di Paola –
allĠepoca non circondata da case – Çla
quale contiene sufficiente numero di sepolture, atte a contenere i cadaveri del
Comune, ed a supplire al momento per lĠoggetto, e sita
da circa un quarto di miglio dallĠAbitato e nella parte bassa del Paese, in
modo di non poter arrecare nocumento veruno alla pubblica saluteÈ.
Ci per provoc le perplessit
degli abitanti delle zone pi lontane dal paese. Poche settimane dopo, quindi,
si deliber anche Ç1)
che provvisoriamente e fino a quando non va ad aprirsi il Camposanto di questo
Comune, che trovasi fin dallĠAnno scorso progettato,
gli abitanti di Brefaro, Massa e Castello vadino a
seppellirsi nella solita Chiesa del Castello medesimo che chiamasi
Maratea superiore, luogo questĠultimo senza abitanti, quantunque sede
parrocchiale; 2) che gli abitanti del Villaggio Acquafredda dovessero
seppellirsi anche provvisoriamente in quella Chiesa e finch non sar aperto il
succennato Camposanto del Paese in generale; e poich
la strada di Marizzi che in detto Villaggio conduce
essendo inaccessibile nella lunghezza di due miglia devesi
prima rendere atta al trasporto della Bara, in modo che gli Uomini non
andassero soggetti a perdere la vita, essendo situata su perfetto pendio, in
unĠaltezza smisurata del mare sotto della quale va a frangersiÈ.
Ma la famiglia Di Lieto,
proprietaria di alcuni fondi intorno la cappella di S.
Giovanni, ricorse contro la decisione di costruire l il camposanto. Secondo la
famiglia anche la cappella apparteneva a loro e la decisione del Comune era
inapplicabile.
Il Comune cerc di far valere le
sue ragioni, ma quando, nel 1840, si fece un sopralluogo a S. Giovanni con un
perito – un tal ingegner Dente – si ebbe una sorpresa: il luogo Çnon pu essere addetto a tal uso per essersi
rinvenuta dellĠAcqua nel fondo, come oculatamente ha
osservato il detto Signor Dente, nella cui presenza si scavato il terreno, ed
alla profondit di circa un palmo subito comparsa lĠacqua, ci che prima non
erasi verificato; ed una tal cosa dipendente dal trovarsi il sito prescelto
alla falda del Monte S. Biase, per cui soggetto sempre ad inondarsiÈ.
La situazione cominci a mostrare
tutta la sua drammaticit.
La chiesa di S. Francesco inizi
a riempirsi di cadaveri a un ritmo maggiore di quanto la naturale
decomposizione dei corpi permetteva di recuperare spazio. Per cercare di
controbilanciare, nel 1843 si decise di permettere ai membri delle congreghe di riprendere a seppellire i propri morti a parte, ognuno
nelle chiese dove avevano sede.
Le sepolture gentilizie vennero sequestrate, anche per evitare le ambigue situazioni
in cui certe famiglie provavano a vendere le proprie sepolture al Comune,
conoscendo la situazione di bisogno.
Nel 1846 la chiesa di S.
Francesco venne chiusa al culto. Anche la statua del
santo di Paola dovette essere trasferita. Non si riusciva pi a entrare stante ÇlĠinsoffribile
puzzore che sentesiÈ. La situazione stava
sfuggendo di mano, anche perch particolari cittadini, per dare sepoltura ai
propri defunti, avevano Çrotto e scavato il pavimento in vari punti, ed ivi indecentemente si pratica lĠinumazione deĠ Cadaveri
colla copertura di poca terra e calceÈ.
Rifiutando le proposte degli
organi superiori di costruire un camposanto per inumazione a La Moneca o in altri punti della valle, il Comune di Maratea
insistette pi volte, a questo punto, per trasformare la parte intanto crollata
dellĠex convento dei Paolotti (di cui la chiesa di S. Francesco faceva parte)
in un camposanto per tumulazione.
Il braccio di ferro non si
risolse mai, costringendo il Comune a decidere Çche urgentemente dovesse aprirsi una Sepoltura per ogni Chiesa del
Comune pel seppellimento deĠ Cadaveri, e ci finch
vanno a principiarsi i lavori del nuovo Camposanto, non essendovi altro mezzo
con cui poter dar riparo allĠimperiosa CircostanzaÈ. Una delle chiese pi
sfruttate in questo senso fu S. Vito, adatta perch isolata.
Nel 1856 venne anche autorizzata
la costruzione di una sepoltura nella chiesa di Cersuta, che ne era priva.
Gli attuali cimiteri di Maratea.
Dopo lĠUnit nazionale, verso il
1870 si riprese in mano la situazione, intanto immutata.
Nel 1878 si individu
come luogo pi adatto per il camposanto un terreno di propriet del sig. Biasantonio Napoli in contrada La Moneca.
Venne acquistato dal Comune nel 1879 per 4.337 lire.
LĠappalto dei lavori venne chiuso nel 1881 e il 3 febbraio 1888 il cimitero
ospit il primo defunto, lĠottuagenario Francesco Panza.
Restava risolvere un problema per
nulla secondario per: come sarebbero arrivati i corpi dei defunti al nuovo
cimitero da Acquafredda o da Castrocucco, dal Porto o
da Brefaro?
AllĠepoca il territorio di
Maratea aveva solo tre strade carrabili: la Provinciale Tirrena verso
Trecchina, la vecchia comunale verso il Porto, non in
ottimo stato, e il tronco di strada comunale verso Acquafredda, che di fatto si
arrestava a Cersuta.
Poich le capacit dellĠepoca
facevano s che costasse meno immaginare la costruzione di altri cimiteri
piuttosto che di nuove strade, si and verso la polverizzazione dei luoghi di
sepoltura.
Ecco allora che nel 1901 si
inizi la costruzione del camposanto di Acquafredda, nel 1913 quello di Cersuta
e nel 1921 quello di Marina, questĠultimo soppresso e ricostruito in altro sito
nel 1957. Ultimo ad arrivare, qualche anno dopo, quello di Massa-S.
Caterina.
Il numero di cimiteri di Maratea, strano a trovarsi in un comune di 5mila anime, quindi spiegato dalle contingenze di epoche passate in cui la carenza di finanze veniva controbilanciata dalla popolare Piet e attivo civismo.